Chi non ha mai, da piccolo, giocato agli indiani con arco e frecce o al luna park non ha provato a colpire il bersaglio con questo vecchissimo attrezzo diffuso in ogni parte del mondo?
La storia dell'arco ha più di 15.000 anni ed è legata in modo indissolubile alla vita dell'uomo, che se ne è servito per sopravvivere in un ambiente ostile il cui confine tra prede e predatori era molto labile ed altrettanto difficile era catturare le prede per chi, come l'uomo, era nato predatore pur non avendone le doti fisiche.
Quindi è facile intuire come questa semplicissima invenzione abbia fatto la differenza a nostro vantaggio. Chissà se chi ha costruito il primo arco, unendo una rudimentale corda ad un legno flessibile, si sarà reso conto di aver cambiato le sorti del genere umano essendo diventato più semplice procacciarsi il cibo, colpendolo da lontano e con una precisione difficilmente ottenibile con altre armi da lancio.
Nella sua lunga vita l'arco a subito poche modifiche, le quali sono state fatte soprattutto in base ai materiali che i popoli avevano a disposizione per la sua costruzione. Il principio è rimasto comunque invariato: una leva che accumula energia attraverso la trazione della corda che al momento del rilascio la trasmette alla freccia.
Mentre l'arco è un propulsore molto semplice, il suo uso invece non lo è affatto, perchè per poterlo padroneggiare occorrono una buona conoscenza tecnica ed una ancora migliore preparazione fisica e mentale, che devono agire in sintonia. Però quando tutto funziona, niente può uguagliare la magia evocata dal volo silenzioso di una freccia.
Esistono tre tipologie di archi da caccia: il Long Bow, il Ricurvo ed il Compound.
I primi due sono l'evoluzione degli "archi antichi" e anche se i moderni sistemi di lavorazione e di incollaggio del legno hanno permesso ai costruttori di garantire risultati eccezionali in termini di velocità e di precisione, il progetto è rimasto sostanzialmente invariato.
Il terzo tipo è invece un invenzione moderna nata dalla genialità di un cacciatore/arciere (Wilbur Allen) che unì la tradizione alla tecnologia creando l'arco Compound, che utilizzando speciali " carrucole " permette performances incredibili.
Un grande passo in avanti la tecnologia lo ha fatto fare anche alla costruzione delle frecce, che in origine erano solo delle asticelle in legno con un osso o una selce come punta, e che nella nostra epoca invece vengono costruite in alluminio e carbonio con punte a lame in acciaio e titanio.
Nell'era delle odierne armi da fuoco, talmente sofisticate da riuscire a colpire un bersaglio a distanze impossibili, un numero sempre maggiore di cacciatori si trova a proprio agio usando un mezzo concettualmente arcaico, ma nello stesso tempo moderno ed attuale, operando una scelta che difficilmente regala grandi carnieri, ma che mette in risalto più l'azione di caccia che la cattura della preda.
Ecco perchè chi usa un arco da caccia lo apprezza a tal punto da preferirlo agli altri ben più comodi strumenti di cattura. Chi vuol cacciare con l'arco deve prima di tutto cambiare la propria mentalità ed il suo approccio con la natura ed imparare a gestire l'atto del tiro come un'azione puramente istintiva.
Il vero fascino sta proprio nel riacquisire la nostra primordiale istintività. Il nostro istinto predatorio, con l'uso delle armi da fuoco è notevolmente regredito perchè di fatto non ne abbiamo più bisogno.
I nostri limiti vengono sopperiti dalla potenza dei fucili e dalla loro maneggevolezza consentendoci ad esempio di trascurare le informazioni lasciate dai selvatici sul terreno. Se invece scegliamo un arco con una freccia incoccata come compagno delle nostre uscite venatorie, dovremo accostarci alla natura con un approccio diverso, perchè sarà necessario avvicinarsi a pochi metri dalla preda e questo può essere possibile solo integrandoci con l'ambiente fino farne parte, sia pure da predatori.
L'uomo, durante la sua evoluzione, è il solo predatore che ha scelto di vivere al di fuori della natura e di usarla solo per il proprio interesse, mentre tutti gli altri carnivori vivono ancora insieme e come le loro prede. Siccome sarebbe oltremodo scomodo tornare al modo di vivere dei nostri progenitori, dobbiamo almeno riappropriarci del loro sistema di cacciare, in modo di battere la preda prima di poterla abbattere.
Una bellissima sfida per un arciere consiste nel riuscire a superare quel limite sensoriale delle prede oltre il quale solo un predatore naturale può arrivare. Per questo il nostro istinto deve essere allenato a leggere il libro del terreno, per poter andare a caccia non con l'arroganza dell'essere superiore, ma con l'istintiva semplicità del predatore che di quella natura è parte integrante.
L'arco è sempre stato, ed a maggior ragione lo è oggi grazie alle moderne tecnologie, un attrezzo letale con un alto potere lesivo ed il suo limite principale è solo la ridotta distanza di tiro. Gli archi sono strumenti precisi fino ad un centinaio di metri (molte competizioni vengono svolte tirando ad un cerchio di circa 10 centimetri dalla distanza di novanta metri) ma siccome la caccia è cosa ben diversa dal tiro sportivo, con l'arco non si può e non si deve andare oltre i quaranta metri.
Per avere la sicurezza di uccidere senza provocare inutili sofferenze (soprattutto parlando della caccia con l'arco per eccellenza, quella agli ungulati) bisogna centrare i punti vitali e perciò non sempre quando si incontra un selvatico si può tirare. Ma la bellezza di questa caccia sta anche nel riuscire a dominarci aspettando il momento giusto. Del resto i casi in cui non si tira non saranno mai occasioni perse, in quanto permettono di vivere emozioni eccezionali che finiranno nel bagaglio di esperienze di cui ogni arciere deve far tesoro per trovarsi in sintonia con la natura.
Per questo la prima vera sfida di ogni arciere è sempre contro se stesso, e questa ricerca costante dell'auto controllo diventa non solo una componente importante per ogni azione di caccia degna di questo nome, ma anche una vera filosofia di vita. La consapevolezza dei nostri limiti e di quelli del mezzo che si ha in mano, e di tutte le difficoltà che il tiro comporta, funziona da freno in certe circostanze critiche, e ci informa ancora prima di scoccare la freccia se tutto è stato fatto bene.
Probabilmente è l'istinto resuscitato, anziché il ragionamento che fa decidere all'arciere quando è il momento di scoccare la freccia. E nessuno, tranne chi lo vive può percepire quanto si dilatino quegli istanti in cui stiamo per lasciare libera una freccia di volare con un animale ignaro a pochi metri da noi, e quanti dettagli riusciamo a memorizzare in quel breve spazio.
Dettagli che lì per lì potranno apparire insignificanti, ma che fissati nella nostra memoria ci renderanno quell'episodio vivo e reale ogni volta che lo ricorderemo permettendoci di rivedere e di rivivere emozioni semplici ed entusiasmanti che sono l'essenza della caccia stessa.
A caccia con l'arco... a caccia con la storia.... a caccia di emozioni uniche.
Emilio Petricci
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