Approfittando del periodo pasquale, pubblichiamo con piacere questo fresco raccontino di Michela Pacassoni, che ci ricorda e ci ricollega alle tante cose sagge e meravigliose della nostra infanzia, quando chi più chi meno aveva la possibilità di vivere in un mondo semplice e saggio. Vivere in campagna, allora, era una scuola di vita, dove s'imparava a conoscere le regole della natura, la bellezza e la crudeltà della vita e della morte, l'amore, la pietà, la dura realtà del ciclo legato alla catena alimentare. Tutti, e prima di tutto noi cacciatori, dovremmo fare tesoro di quegli insegnamenti. I ricordi di Michela ci aiutano anche in questo.
Buona lettura!
Oggi è una di quelle giornate di primavera, che mi aspettava mia nonna Eva, su alla "casa vecchia". Attraversavo i campi e la strada maestra e andavo su, lassù, dove la nonna teneva gli animali e dove era vissuta mia mamma bambina.
Camminavo sotto le querce maestose piene di edera e facevo un salto dalla fifa, se tra i cespugli e le ginestre strisciava una lucertola... In cima alla salita mi venivano incontro le galline rosse, facevano sempre così, anche quando arrivavo con la nonna... o col nonno... ci venivano incontro.
Erano le giornate vicine alla Pasqua, quando la primavera arrivava prima, tiepida di sole, e già si potevano mettere le maniche corte.
La casa era azzurrina e rosa, molto grande, non più abitata, nella loggia si tenevano i polli e i conigli e nella stalla che una volta serviva da ricovero alle vacche, anche.
La grande cucina con l'altrettanto grande camino serviva per tenere i sacchi di orzo e grano al riparo dai topolini di campagna... c'era un vecchio lavello di granito nero e grigio e tre scalini che davano alla scala stretta e ripida che portava al piano superiore.
Lì avevano vissuto i miei nonni, i bisnonni da mezzadri, mia madre e mia zia Iride, lo zio Ferruccio con la sua giovane moglie Giuliana, fino a che le campagne si erano spopolate, che i contadini andavano a stare in paese e a lavorare nelle fabbriche giù in città.
Lì, una volta, mia nonna Eva mi aveva dato un pulcino marrone in mano da accarezzare e mi era caduto a terra....
Lì, si facevano le feste con gli amici, il nonno Dante faceva il vino buono e suonava la fisarmonica.
Lì correrei oggi, a ricordarmi che sono speciale, come i miei nonni mi ricordavano ogni volta che andavo su per star con loro.
Si va sempre verso dove si sta bene.