La caccia, lo sanno anche i sassi ormai, è stata la molla che ha permesso alla nostra specie di fare balzi da gigante altrimenti impossibili nel processo evolutivo. Nessun altro essere vivente è riuscito a ottenere risultati analoghi in un tempo relativamente così breve. Nel corso dei quattro e più milioni di anni, dagli antenati di Lucy di Afar, in Etiopia, a Steve Jobs, non esiste interruzione alcuna a questa spinta interiore che ci qualifica come CACCIATORI.
Abbiamo attraversato deserti, sopportato lunghissime glaciazioni, effettuato migrazioni intercontinentali, affrontato gli oceani e conquistato lo spazio, ma questa nostra caratteristica di “specie che caccia” è praticamente rimasta immutata nel tempo. E lo diciamo, lo vogliamo dire oggi, perchè più alte si levano le grida di chi fa finta di strapparsi le vesti ogni volta che cerchiamo di sostenere queste conclamate verità. Lo diciamo perchè temiamo che questa pseudocultura animalista che sta dilagando nelle società avanzate – e in particolare in Italia - porti a stravolgimenti tali nelle nostre comunità da farci rimpiangere il passato. In sostanza, se si dà retta a questi nostrani discepoli di Pecoraro Scanio (e il modello non è citato a caso) la nostra essenza vitale ne sarà irrimediabilmente stravolta.
La multiforme vicenda umana, oggi annientata dal progresso forzosamente omologante, che fino a pochi decenni fa era direttamente percepibile alle diverse latitudini dei cinque continenti, dimostrava meglio di ogni rappresentazione che potevano cambiare le condizioni sociali, economiche, culturali, ambientali, ma costante – ovunque – era il dato antropologico comune alle tribù del Borneo come alle società esquimesi o agli yuppies londinesi: la dedizione alla caccia. Una attività ritualizzata – ovunque - a conferma di una caratteristica insita nella nostra specie.
Non a caso, la caccia gode ancora di riconoscimenti che spesso, anche i più accorti, dimenticano. Basta andare – oggi, nell'era del web – sul sito del CIC Wildlife (il Consiglio Internazionale della Caccia, www.cic-wildlife.org) per rendersi conto dell'importanza che ha nel consesso mondiale. Il CIC, infatti, non è un'accolita di snob che si collegano fra loro per chiacchierare in santa pace, fra amici, della loro passione. No. E' invece un'organizzazione che attraversa oceani e continenti e raccoglie il fior fiore dell'umanità, sostenuto e riconosciuto dai governi e dai governanti del pianeta. E' un organismo sovranazionale, non governativo (ONG), che ha la struttura e le prerogative per interloquire direttamente con le più grandi istituzioni internazionali. Da oltre un secolo. Recentemente, ad esempio, ha collaborato ad un importante ricerca dell'ONU sull'uso sostenibile della fauna selvatica, insieme a FAO, Unesco, Unione Europea, UICN. (Per la cronaca, in questo consesso il WWF non c'era).
Osservando la mappa che individua i membri del CIC, constatiamo che i paesi che ne fanno parte sono ben 83, equamente presenti nel vecchio come nel nuovo e nel nuovissimo continente, suddivisi in 37 Delegazioni Nazionali Attive, 21 Delegazioni in via di costituzione e 26 Delegazioni associate.
Della prima categoria, la più strutturata, quella che guida l'istituzione, insieme all'Italia, ovviamente, fanno parte la maggioranza dei paesi dell'Europa, dell'Est e dell'Ovest, ma anche gli Stati Uniti, l'Argentina, il Sud Africa, la Tunisia, l'Iran, gli Emirati Arabi.
Nella seconda, sono elencati paesi come il Giappone, la Cina, il Canada, il Messico, la Nuova Zelanda, il Botswana, il Pakistan, il Kazakistan, la Tanzania, il Brasile.
Terza ma altrettanto importante, la categoria degli emergenti, che da poco tempo si stanno organizzando per farne parte a pieno titolo. E sono in particolare i principali paesi africani, ma anche l'India, l'Algeria, l'Azerbajan, la Mongolia, la Korea, il Nepal, l'Islanda.
L'organizzazione è unica nella sua diversità. Mette insieme gli Stati Membri (per la maggior parte rappresentati dai Ministeri responsabili nella gestione faunistica e ambientale), le Università, le Organizzazioni nazionali che rappresentano i cacciatori, ma anche i membri individuali e il fior fiore degli esperti scientifici. Un insieme insomma di competenze ed esperienze che nessun'altra organizzazione che si occupa della fauna selvatica e del patrimonio naturale è in grado di rappresentare.
Altro punto di forza del CIC è la sua forma federale, costituita da delegazioni nazionali che operano a livello locale e che in materia di attività venatoria e di gestione degli habitat costituiscono l'interfaccia dei governi. Fornendo indirizzi tecnici, progetti e raccomandazioni, in materia di legislazione, scienze applicate, cultura.
Cultura, sì, perchè è proprio di cultura che si nutre la caccia. Una cultura, sedimentata e consolidata nel corso delle generazioni, dell'evoluzione sociale, dei periodi storici, che ha unito e continua a unire prìncipi e popolani, potenti e umili, magnati dell'economia e semplici lavoratori, aldilà e aldisopra dei limiti di censo e di razza, di colore e di sesso, di lingua, di religione o di opinione politica. Un insieme di uomini, insomma, che uniti da una sola passione, con i loro comportamenti, con il loro impegno, continuano a garantire i basilari principi di civiltà.
Insomma, non sembri strano, ma la più grande, la più importante, la più attiva, la più autorevole organizzazione mondiale che si interessa di conservare il patrimonio naturale attraverso un uso saggio e responsabile, nell'interesse delle future generazioni, è proprio guidata dai cacciatori.
E anche questo lo sanno anche i sassi. C'è qualcuno che lo vuole spiegare ai nostrani soloni della casta ambientalista.
Gin Rutigliano
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