Già lo fanno. Si, già lo fanno e sono in tanti. Sono i titolari dei residui impianti di cattura, sono i titolari di appostamento per la caccia ai piccoli uccelli, sono i titolari degli appostamenti agli acquatici e ai colombacci, sono tutti coloro che spontaneamente aderiscono ai nostri Club, anche più di uno per categoria.
I club del colombaccio, i club della beccaccia e del beccaccino, i club dei cacciatori di acquatici, tutti coloro che fanno parte di quei gruppi di lavoro coordinati dall'Ispra e dai centri di ricerca universitari. Sono loro che hanno la massima competenza ed esperienza in fatto di migratoria.
Solo gli ambientalisti/animalisti, nella loro stragrande maggioranza, non sanno che se ancora godiamo di un invidiabilissimo patrimonio di uccelli migratori, lo dobbiamo a loro. Ai tantissimi appassionati cacciatori di tordi, merli, cesene, allodole, colombi, anatre, beccacce, beccaccini, pavoncelle e altri trampolieri (diciamo caradridi in genere, vah, - una trentina di generi, una settantina di specie - che sennò qualcuno mi potrebbe far passare per più ignorante di quel che sono).
Ma allora, perchè, fra i tanti, e nessuno di noi può dire di essere amato da tutti, i migratoristi sono sempre sotto critica? Eppure, noi lo sappiamo, e lo ripeto, se non ci fosse questa rete capillare di migratoristi appassionati, gli uccelli che a milioni tutti gli anni passano sopra le nostre teste potrebbero trovarsi a mal partito. Addirittura, chi se ne intendeva davvero, alludo ai primi scienziati ornitologi dei due secoli passati, riconosceva che gli esperti veri erano i nostri cacciatori di uccelli, i roccolatori, i padulani, i cosiddetti capannai o capannisti. Ricchi di un'esperienza sedimentata e tramandata nei secoli.
Oggi, più che mai, grazie a quell'infernale strumento che è il telefonino, ormai smartphone, sempre più di livelli tecnologici avanzati, da fantascienza, è tutto un chiacchiericcio (la caccia è tutto un tweet, si potrebbe dire), una forma inconsapevole di monitoraggio, specialmente in epoca di passo, che in tempo reale la rete dei "cacciatori in rete" effettua, registrando a beneficio degli amici, dei clan, le presenze e le consistenze dei flussi migratori. Un potenziale di dati, col quale neanche un centro di controllo satellitare della CIA sarebbe in grado di competere.
Ma perchè, mi chiedo, non mettere a frutto questa massa enorme di dati, di cui non solo in autunno, ma anche in primavera, disponiamo noi cacciatori pressochè gratuitamente? Perchè i nostri dirigenti, le nostre organizzazioni di categoria, che encomiabilmente si adoperano a fianco della ricerca ufficiale (senza essere quasi mai ringraziati per questo), non mettono in cantiere un progetto - organico, come si dice - per elaborare questi dati più o meno informi, collegarli alle diverse realtà del territorio (ambiente favorevole o sfavorevole, clima, disponibilità pabulare eccetera) e per prefigurare strategie serie di tutela e corretto utilizzo (wise use), dimostrando al volgo e all'inclita quello che tutti noi sappiamo, e cioè che la nostra passione di cacciatori - mantenendo e migliorando gli habitat - svolge una forte azione sociale, sempre più misconosciuta?
Chissà, proviamo a sognare, chiassà se fra di noi, fra i nostri giovani amici, quelli della generazione informatica, non ci sia uno Steve Job o un Mark Zuckerberg che con un po' di passione per la caccia, altrettanta "fame" di conoscenza e un po' di "follia", non sia in grado di mettere a punto un programmino che a lui garantisca il futuro e a noi metta a disposizione uno strumento per rafforzare quell'immagine quei meriti e quell'onorabilità che tanti, troppi cialtroni vorrebbero demolire.
Qualcuno lanci la sfida (un concorso? una borsa di studio?)! E almeno qualche migliaio di giovani cervelli la raccolga!
Gianni Peroni
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