Mentre nel silenzio più assordante passa in Parlamento l'ennesima gallettata, che obbliga ad annotare sul tesserino la fauna selvatica stanziale e migratoria abbattuta, subito dopo l’abbattimento, una stupidaggine bella e buona ad avviso di chi se ne intende (ed evidentemente in Parlamento e al Ministero sembra se ne intendano poco, mentre fanno di tutto per massacrare i cacciatori che - questo lo dimenticano sempre - sono fra i pochi che hanno la fedina penale immacolata), prosegue senza esclusione di colpi la disfida del cinghiale (e del capriolo e del cervo, daino, muflone).
Ultima puntata (last but not least), una biondina pentastellata consigliera regionale in Toscana, che trae profondi sospiri ed alti lai, all'indomani delle prime conseguenze della legge regionale sul controllo degli ungulati.
Non è il caso di entrare nel merito. Anche fra di noi c'è chi la vede bianca e chi la vede nera. Lasciamo perdere. Si sono già consumati fiumi d'inchiostro, infiammate infinite laringi, fatti incontri, conferenze, seminari, tavoli di confronto,...caminetti, che oggi sembra non vadano più di moda.
Sarebbe e a mio avviso è importante, invece, fare un'altro po' di chiarezza su come stanno realmente le cose su questa mitizzata fiera omerica, angelo e demone di cacciatori, agricoltori, immaginario collettivo, subornato dai media e da questi pifferai dell'ultim'ora che sono tanto immacolati quanto grondanti di perfidia e ipocrisia. Stanno in buona e larga compagnia, intendiamoci, visto che prendono spunto da favole che sono andate consolidandosi nel tempo grazie alle tante sciocchezze propagatesi su presunte certezze, frutto di sproloqui prima dei verdi, poi degli ambientalisti, poi degli animalisti, e degli anticaccia tout court, pure con qualche ciliegina, aggiunta da saputelli di casa nostra.
Le ultime testimonianze, scientifiche, ovviamente, ci raccontano invece tutta un'altra storia. E cioè che - chi se ne intende, anche se non è laureato in tuttologia, lo sa da sempre - il fenomeno cinghiale dipende da fatti ben precisi. Che non sono ascrivibili, come certi contestatori vanno dicendo da tempo, ad immissioni di ingenti rinsanguamenti mitteleuropei. Prima, i nostri cinghiali autoctoni - ci hanno voluto far credere - erano piccoli, mentre oggi hanno una stazza sicuramente superiore, per cui - questa la favola - non sono di origine locale, ma importati dalle selve ungheresi, "più prolifici, più grossi, più dannosi".
Anche recenti indagini (Apollonio, Franzetti), tuttavia, confermano per prima cosa che certe forme di ripopolamento (anche per il capriolo, a memoria mia) sono conseguenti alla sciagurata politica protezionista, che almeno da una paio di decenni ha favorito la cattura (non l'abbattimento, dio ne guardi) di capi in esubero in parchi e aree protette, cinghiali geneticamente "DOP", per ripopolare territori che ne erano sprovvisti, sia a fini faunistico-ambientali sia a fini venatori. Il tutto con il beneplacito dell'amministrazione pubblica, centrale e periferica. Sono anni che nei parchi nazionali del centro Italia si fanno delle aste a cui partecipano aziende commerciali (ma non solo) per aggiudicarsi "lotti" di capi che di certo non vanno all'estero, e che forse finiscono in frigorifero, anche se non subito. Inoltre, quanto alla presunta diversa origine genetica, tutti sanno che quando un animale ha da mangiare, ovviamente ingrassa, e quando è ben pasciuto, vive tranquillamente (nei parchi), gode di stagioni miti (cambiamenti climatici), porta a termine anche più figliate, prolifiche, che si conservano numerose e ben pasciute, e che sempre più spesso si impaesano, portando alle conseguenze che ormai quasi tutti in Italia conoscono.
Viene da sorridere, perciò, quando certe anime belle, candide, cadono dal pero e nel più classico rispetto della "legge di Murphy", cercano un capro espiatorio a cui attribuire le malefatte che invece da loro stesse dipendono.
Quale la morale, quindi? In prima battuta verrebbe in mente il ritornello della mitica canzone di Pino Daniele (Je so' pazzo"...e nun ce scassate o ....), ma affetti ormai dall'imperante buonismo, proviamo a stendere un velo pietoso sulle miserie di tanti saccenti sedicenti scienziati e di politicanti da strapazzo, vecchi e nuovi (di cui ormai ne abbiamo davvero piene le scatole), e cerchiamo d essere ottimisti. Andiamo avanti. Da cacciatori, ovviamente.
Vito Rubini