Una volta tanto parliamo un po’ di me. Non per vanagloria, il cielo me ne liberi, ma solo perché – ahimè – sono anzianotto assai.
Lo dico per introdurre l’argomento, l’unità dei cacciatori che, mai sopito, oggi torna non di stretta ma di strettissima attualità. E, appunto, anzianotto come sono, mi sovviene che una delle prime questioni che mi trovai di fronte, appena approdato a “Diana”, alla fine degli anni sessanta, fu la necessità di trovare una sintesi interassociativa per sostenere i primi attacchi alla caccia italiana, che allora, in pieno boom (oltre un milione e mezzo di cacciatori), riguardavano, quasi come oggi, la titolarità della selvaggina. Il possesso insomma di fagiani e starne, di lerpi e beccacce, di tordi e caprioli. Dalla Res nullius, come veniva definita allora, alla “disponibilità” del proprietario del fondo agricolo.
N’è passata d’acqua sotto i ponti, fra un CIC, una Face, un’Unavi e l’altro. Qualcuno che esce, qualcuno che entra, qualcuno che fonda nuove associazioni, partiti e partitini, di cui francamente pare difficile credere che ce ne sia bisogno. Ma siamo ancora qui, a valutare, sostenere, sollecitare attenzione su come e quando si potrà finalmente superare questo scoglio. Questo stesso portale, www.bighunter.it, benemerito in tempi di crisi di comunicazione per la caccia, ha proposto un sondaggio per richiamare l’attenzione sul problema. La risposta, come potete vedere, assomiglia ai risultati del miglior Mc Enroe: 6-0. 6-0. 60. Non c'è partita. I cacciatori la vogliono fortemente, questa benedetta unificazione.
E allora, viene da chiedersi, che cos’è che impedisce finalmente di superare il problema?
Dal mio sedimentato punto di vista, posso dire che le ragioni sono tante. In buona parte legittime. Ma nessuna, a mio avviso, può più essere giustificata. Occorre trovare nuovi stimoli, nuovi obiettivi, nuove motivazioni. Occorre anche trovare la strada per una nuova classe dirigente, giovani, donne, tecnici. Filosofi, anche, come diceva qualcuno tempo fa. Perché no. In questi ultimi mesi, per la verità, si sta assistendo a un lento, farraginoso tentativo di unificazione. Un paio (o tre) di associazioni, fra cui la più importante, la più diffusa e gettonata, la più trasversale, hanno deciso di incontrarsi, di ragionarci sopra, di stabilire un percorso a tappe, di buttare giù un canovaccio d’intesa. Chi c’è c’è, e chi non c’è verrà. Prima ancora, ma tuttavia in tempi recenti, si era provato a coniugare un acronimo: UNICA. Unione Italiana dei Cacciatori. Poi, si provò a proporre una Associazione dei Giovani Cacciatori, in cui confluissero tutti coloro che avessero meno di 30 (max 35) anni. Niente. Continuano i distinguo, continuano i mal di pancia. Fra le associazioni in via generale, che si rimproverano a vicenda le cause della inefficacia di una politica a favore della caccia. Fra le associazioni che aderiscono a Face Italia, alcune delle quali dicono che forse, prima di tutto, sarebbe meglio rafforzare la Face stessa. Dissensi pure all’interno della medesima Federcaccia, dove esistono correnti di pensiero per le quali risulta sgradevole rinunciare a una identità consolidata, ai simboli, al nome.
Nel 2000, a Pescia, la mia città natale, fu celebrato il centenario della nascita della prima, e unica, associazione di cacciatori dell’Italia unita. Perché a Pescia? Non certamente per merito mio. No. Ma perché a Pescia, grazie ai cacciatori pesciatini e alla loro passione, furono ritrovati dei documenti che ne testimoniavano la storia. Documenti che furono acquisiti dall’allora presidente nazionale Giacomo Rosini, per farne copie anastatiche e dare il via alle celebrazioni. Qualcuno, anche allora, ebbe a criticare, affermando che quel primo tentativo del 1900 non era del tutto assegnabile alla Federazione Italiana della Caccia. Che invece – si diceva - fu fondata, in pieno ventennio, molti anni dopo. Non c’è dubbio, invece, che quella “Federazione”, presieduta dal Deputato al Parlamento Emidio Chiaradia, di Udine, fu la prima, e l’unica, associazione dei cacciatori italiani, e in quel lasso di tempo – con alti e bassi per due o tre decenni – nessun’altro sodalizio nazionale strutturato su tutto il territorio poté rivendicarne il primato.
Da pesciatino, socio e presidente onorario di questo circolo cacciatori fondato nel dicembre 1899 da tale Raffaello Lavoratti, Segretario Comunale, con il supporto del M.o Giacomo Puccini, mi sono ritrovato in questi giorni a rigirarmi fra le mani quel documento originale di cui parlavo, e ho con non poca soddisfazione scorso lo statuto, le regole sommarie, provincia per provincia, l’elenco dei soci fondatori, oltre tremilacinquecento, rappresentanti anche interi circoli di tutti i territori del Regno. Financo residenti all’estero. Vi ho ritrovato nomi, che a me, anzianotto, hanno ricordato grandi cacciatori di cui ho molto letto e sentito parlare. Padri o granpadri di altri che anche ho conosciuto personalmente.
A testimonianza di una fede, di una passione, tramandata “per li rami”. Come è successo a me, come è successo sicuramente a molti di voi che leggete. Nomi importanti, di ogni parte d’Italia, a mia conoscenza legati a specifiche forme di caccia, migratoristi, padulani, stanzialisti, beccacciai, cacciatori di montagna. Dirigenti, in molti, di quell'unica associazione venatoria che regolava e orientava le scelte sulla caccia fino al 1963, anno in cui con la famosa sentenza della Corte Costituzionale si decise di smembrare le nostre compagini e dare inizio alla caccia al...cacciatore.. Allora, chi per amore di libertà, chi per dissidi, chi per altro, alcuni di questi nomi noti si trasferirono armi e bagagli nelle altre associazioni che subito si costituirono. So che farò torto a qualcuno, ma un po’ di questi nomi che ho letto in questo “registro” del 1900 mi piace ricordarli. A partire da Arturo Renault, fondatore della mia cara “Diana”, Giacomo Puccini (posso dire: mio predecessore a Pescia?) e Raffaello Lavoratti, il Conte Arrigoni degli Oddi, grande ornitologo, fino a cognomi come Amaduzzi, Gori, Valentini, Borromeo, Lazzati, Griziotti, Mazzucchelli, Fabrello. E Malavasi, Garrone, Toschi, Patrizi, Fermariello, Gualandi. E Garagnani, Pellagri, Patrizi, Delor, Colombo, Spreafico, Fiocchi, Frigerio, Zanussi. Ciceri, Negri Giuseppe, Fancelli, Fanfani (Ugo), Malenchini, Mazzei, Ponticelli, Matteoni, Cattani. Piccolomini (anche quel suo familiare Papa Pio II, fu cacciatore), Bergoglio (parente dell’attuale Francesco?).
In gran parte erano la classe dirigente di allora. Principi e marchesi, conti, baroni, deputati del Regno, professionisti, avvocati, ingegneri. Sacerdoti, anche. Gente colta, sensibile, consapevole dei valori di un’attività che non praticavano certo per soddisfare la fame. Accomunati dallo stesso sentimento che li spingeva a unificare la nazione in tutte le sue espressioni civili e sociali. Emuli dei loro antenati, dei grandi del passato, Federico di Svevia, Lorenzo de’ Medici, e dei loro contemporanei, primo fra tutti il Re Vittorio Emanuele II, i Borbone, gli altri regnanti d’Europa. E dietro di loro c’era uno stuolo di gente semplice, del popolo, ma altrettanto appassionata, consapevole di vivere in una dimensione sociale e culturale strettamente connessa con la terra, anche loro, i cacciatori di allora, parte integrata con gli animali e tutti gli esseri viventi, in quella che oggi si definirebbe biodiversità. Che niente altro vuol dire, scusate la digressione, se non far parte del ciclo naturale delle cose, animate e inanimate.
Ma che c’entra tutto questo, dirà qualcuno, con l’odierna congiuntura? Niente, rispondo. O tutto, invece. Dipende da cosa, tutto questo - a ognuno di voi, e agli attuali dirigenti della caccia, così tanti e cosi distanti nell’intravedere soluzioni - fa venire in mente questo mio modestissimo memento. A me fa venire in mente che storicamente, geneticamente, siamo tutti una grande famiglia. E sarebbe un peccato perdere la nostra memoria storica.
Ah, dimenticavo. L’associazione, unica, da cui tutti, bianchi, rossi, verdi o giallocanarino, proveniamo si chiamava: Federazione Cacciatori Italiani. FCI. C'è scritto in bella mostra sulla copertina di quel documento ritrovato a Pescia. Un documento e un nome, in cui tutti noi, senza distinzione, possiamo ritrovare il nostro comune passato. Giuliano Incerpi
|