La diversa struttura della società contemporanea, rispetto a quella di mezzo secolo fa, fra i tanti problemi pone anche quello dell’educazione naturalistica, una volta affrontata già prima che il cittadino - in questo caso bambino - entrasse nella scuola. L’ambiente agricolo, preponderante su quello industriale, e lo stesso ambiente cittadino (in un centro dove il verde non mancava e dove arrivava ancora l’odore della campagna) permettevano ai bambini di prendere contatto con piante e animali fin dalla più tenera età: i loro giochi avevano come ispirazione i vari aspetti naturali e come palestra i prati, i campi, i boschi. Imparavano a riconoscere i fiori, le piante. gli animali e le loro abitudini.
L’avvicendarsi delle stagioni, i diversi e interessanti fenomeni naturali con tutto quello che essi provocavano: le stesse esigenze di sostentamento di quel tipo di società insegnavano presto ad amare e rispettare gli esseri viventi, fossero essi animali o piante da frutto, olivi e viti o messi.
A continuo e diretto contatto con queste essenziali forme naturali, i bambini scoprivano il meraviglioso segreto della vita: l’albero che si risveglia, la gemma, il fiore, il frutto; gli animali che si accoppiano, il nido, la prole, la lotta per l’esistenza.
Il valore dell'acqua, i pericoli della siccità e delle alluvioni, come combatterli, l'importanza del sole. Conoscendo i meccanismi era più facile per loro adattarli alla loro esistenza, farne una regola di vita, una sperimentata filosofia.
Cosa sanno oggi i bambini della natura? Prima di andare a scuola le loro conoscenze sono molto limitate: spesso distorte da quello specchio della non verità che è la televisione: quelli che riescono a fuggire - magari per il fine settimana - dai ghetti-alveari tutti buchi e cemento delle nostre città, arrivano nel prato, nel bosco direttamente con l’automobile, si trovano di fronte a una realtà che non è la loro quotidiana e non riescono a farsene partecipi; indubbiamente si sentono attratti dai fiori e dalle altre bellezze, ma non sono capaci di anteporli ad esempio alle rombanti moto da cross, che sono piu frequenti alla loro vista degli animali selvatici. E forse anche più interessanti. Al mare, un pesce - quando c’è - o una conchiglia fanno parte, per loro, dello stesso mondo popolato di motoscafi, di ombrelloni,. di scorie della nostra civiltà (nafta, scatolette vuote, rottami, soprattutto di plastica).
La tendenza del bambino a dare un’anima a tutto, quindi a neutralizzare anche gli oggetti, lo obbliga a fare una grande confusione. La natura di oggi non è più natura, o meglio: è molto difficile farne capire concretamente il concetto che si ha per tradizione, oggi che di quella natura resta ben poco, e quel poco si confonde, quando addirittura non viene sopraffatto, dai preponderanti aspetti della nostra epoca postindustriale.
Cosa fa la scuola per modificare questa situazione? Molto poco, ci sembra. Fornita di programmi inadeguati, tutta presa a costruire cervelli che si inseriscono nella logica della produzione e del consumo, spesso carente di docenti sufficientemente preparati al grande compito di iniziare gli allievi del tutto ignoranti) alla natura. Scarsa di motivi concreti per applicare in pratica i possibili insegnamenti naturalistici, sorvola, nella maggior parte dei casi il problema. Nella più felice delle ipotesi la società lascia al singolo insegnante o genitore, e alla sua sensibilità, il compito di educare in questo senso i futuri cittadini. Quel singolo insegnante che però, più o meno preparato sulla materia, è incessantemente bersagliato egli stesso da informazioni attraverso televisione e grande stampa, che fanno anche della natura soprattutto un bene di consumo: gli stessi cibi in scatola (che passano attraverso processi chimico-industriali) vengono etichettati con l’aggettivo “naturale”.
Le organizzazioni naturalistiche, nate e sviluppatesi autonomamente, mentre lo Stato non ha ancora attuato una efficace politica propria, non sempre riescono a sottrarsi alle ferree regole del consumo e dai tipici strumenti collaudati per l’imbonimento delle masse. E mescolano i loro messaggi, diretti soprattutto ai bambini e ai giovani, con quelli che reclamizzano le patatine (fritte in oli nocivi alla salute) e le caramelle alla menta. Per cui non di rado succede - complice anche la scuola dove queste associazioni hanno più o meno libero accesso - di assistere a distribuzioni in massa di magliette, invece di sollecitare una protesta (il semplice, incruento, vecchio tema in classe, per carità!) nei confronti della speculazione edilizia o dell’inquinamento dell'aria, dell'acqua, del territorio, a discapito dei residui spazi verdi ancora rimasti nella città. Si assiste ad esperimenti su vasta scala per l’installazione di nidi artificiali, per cinciallegre, invece che alla sollecitazione di un rapporto diverso, più critico, nei confronti dell'abuso del territorio.
Le derive animaliste sembra prendano anche certi ambienti governativi. La Brambilla, ad esempio, la Martini, Frattini, tanto per citare i più noti. Ma i toni e gli argomenti usati denotano povertà di idee e stanchezza.
Sarebbe il momento giusto per il mondo della caccia, per prendere il toro per le corna e riaffermare quella sana filosofia di vita, la nostra, anche nei confronti dei bambini e della scuola, che da una parte assicurerebbe alle nuove generazioni un'educazione più adatta ad affrontare il mondo, e dall'altra ne plasmerebbe le personalità, con una diversa e più concreta attenzione nei riguardi della natura e dell'ambiente.
Massimiliano Betti