Ancora una volta l’esperienza recente del Game Fair - che anche quest’anno, e siamo a quota 19, si è svolto a Tarquinia, in un tratto di Maremma Laziale di rara bellezza, sospeso fra campagna e mare - ci ha confermato nell’idea dell’importanza di appuntamenti di questo tipo.
Appuntamenti che consentono a cacciatori e appassionati di incontrarsi e confrontarsi, non nel chiuso di una mostra o di un palazzo espositivo, ma in quello che può essere considerato un po’ il loro ambiente naturale: all’aperto, fra i profumi e i colori della campagna e con l’occasione magari di poter fare anche un po’ di pratica con qualche piattello, di portarsi dietro il proprio ausiliare e magari proprio partecipando con questo a una gara cinofila.
Le riteniamo importanti, queste occasioni, per più di un motivo.
Prima di tutto perché vedere tanti appassionati - nello specifico del Game Fair di quest’anno si parla di 52.000 presenze in tre giorni - riuniti tutti insieme in una allegra confusione che però non va mai sopra le righe, mantenendosi sempre nei limiti dell’educazione e del vivere civile - ben diversamente da altre «riunioni» di supposti appassionati cui spesso le cronache ci danno conto - è un bel motivo di orgoglio, una vista che ti allarga il cuore e ti fa sentire felice di appartenere a questa grande famiglia. Indubbiamente una bella sensazione da provare, perché vedere quella folla, sentirne e viverne in prima persona l’entusiasmo e la gioia, ci aiuta a ricordarci che non siamo per nulla soli e che possiamo sempre contare su altre persone che condividono il nostro modo di vivere, la nostra passione, la nostra cultura. Immagini, suoni, risate, momenti di vita da mettere via e di cui fare tesoro.
È la forza di questi appuntamenti, che sono la dimostrazione pratica, colorata e a volte un po’ confusionaria, ma certo sincera e vera, di un modo di vivere in sintonia con la natura e i suoi abitanti. Altri esseri umani compresi.
Ma appuntamenti come questo sono importanti anche per la possibilità di incontrarci e confrontarci con altri appassionati. A livello personale certo, scambiando quattro chiacchiere con i tanti visitatori con i quali per un motivo o per l’altro si ha modo di venire in contatto, magari davanti uno stand o in fila in attesa del nostro turno in pedana o, ancora, per commentare un passaggio particolarmente avvincente di uno spettacolo.
Ma è anche l’occasione in cui le Associazioni Venatorie una volta in più hanno modo di far incontrare i loro vertici con la base dei cacciatori, per uno scambio franco, fresco e immediato di impressioni, opinioni, idee... Anche critiche, se servono; sempre utili e ben accette quando sono costruttive e rivolte con l’intenzione di far crescere entrambe le parti.
Non ci scordiamo poi, di una parte importantissima del pubblico che partecipa: quella dei non cacciatori.
Questi si avvicinano per la curiosità degli spettacoli, per la voglia - legittima e sacrosanta - di passare una giornata diversa, in mezzo alla natura, con mogli e figli.
Non è un caso che il loro numero e la loro partecipazione aumentino ogni anno. Sempre di più infatti quelli che a caccia non vanno, ma che guarda caso a queste manifestazioni sono sempre più presenti. «Non sono cacciatore, ma a queste feste partecipo sempre volentieri» è una frase che sentiamo ripetere sempre più spesso nel nostro girovagare per le tante feste del cacciatore che si tengono in Italia. E ci fa piacere, perché è la dimostrazione che quanto andiamo ripetendo da anni sull’importanza di questi momenti di aggregazione, di festa, di allegria per noi cacciatori, ma soprattutto per «gli altri» è vero. Sempre più vero.
Sono un modo per farsi conoscere, di presentare a chi altrimenti non ci ascolterebbe mai, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra ricchezza spirituale. È il modo per uscire da quel ghetto dove ipocrisia, ignoranza e egoismo tentano da anni di rinchiuderci, per entrare in contatto con chi cacciatore non è, soprattutto con i giovani e le donne.
Per noi sono posti un po’ magici queste fiere, e un po’ di questa magia, fatta di suoni, di colori, di odori, di amicizia e complicità rimane attaccata anche a chi a caccia non va. Ma che si scoprirà la voglia di partecipare ad un’altra festa, a cercare un’altra occasione per incontrarci e stare insieme. Per provare, magari per la prima volta, ad imbracciare un fucile inseguendo un piattello; a emozionarsi per un riporto ben eseguito, a fremere assieme al cane sulla ferma, a sognare inseguendo con lo sguardo il gioco di un branco di volantini. E magari a sorprendersi ad ascoltare i racconti di caccia di un uomo che improvvisamente realizzerà poter essere suo padre o suo nonno.
Sono l’occasione per noi di far respirare anche a loro l’aria che si respira fra cacciatori; fargli cogliere, anche se è solo un assaggio, un po’ dello spirito che ci contraddistingue, fatto di tanta passione, allegria e amicizia.
Molti di loro restano conquistati da questo mix e iniziano a vedere la caccia e i suoi praticanti con un occhio diverso, più benevolo e consapevole. Magari non a condividere la stessa passione, che sarebbe troppo, ma a rispettarci sì. E anche questo per la caccia è importantissimo.
Si accorgono insomma, che questi cacciatori non corrispondono a quell’immagine che una certa stampa con le lenti “verdi” continua imperterrita a dare di loro e che a ben vedere – ultime elezioni europee insegnano – ha francamente stufato chi si ferma a riflettere un attimo e realizza, piuttosto facilmente, che l’ambiente ha problemi ben più gravi di un arrosto di tordi e che nel carniere qualcuno ci vuol far finire tutti noi.
E a proposito di arrosto di tordi... Altra faccia della questione su cui riflettere.
Argomentazione facile e scontata, ma anche troppo spesso trascurata, proprio la gastronomia, componente fondamentale della passione venatoria è, come più volte sottolineato, un importante legame fra cacciatori e non cacciatori, uno fra i pochi modi per il nostro mondo, assieme all’impegno civile, per trovare posto sulle pagine e sugli schermi che altrimenti mai ci ospiterebbero.
È un altro dei motivi del successo di queste manifestazioni, serate a tema, sagre, settimane gastronomiche e quant’altro si voglia.
Non sono mica tutti cacciatori quelli che riempiono i tavoli delle tante sagre del cinghiale ormai diffuse ovunque…
La gastronomia venatoria è un modo di valorizzare una diversa cultura del cibo e della vita, legata alla difesa della biodiversità, dell’agricoltura sostenibile, delle tradizioni – eh, sì, perché la caccia è proprio tutto questo - e di tutto quanto fa parte del patrimonio gastronomico, luoghi conviviali compresi. Un modo di contrapporsi a una crescente omologazione del gusto quindi, ma anche di difendere e diffondere un patrimonio culturale legato alle campagne e alla ruralità troppo spesso ignorato, non solo dalle nuove generazioni.
Tutelare, diffondere e far conoscere cultura e tradizioni vicine al mondo rurale significa anche ricucire almeno in parte quello strappo ideologico fra città e campagna che fa percepire molte pratiche - fra le quali la caccia - come non accettabili semplicemente perché ormai distanti dal sentire comune della maggioranza della società, che delle leggi naturali e della vita ha una visione asettica e falsata.
Guardate quanti spunti solo partendo da quella che alla fine, grossa quanto volete, rimane pur sempre una festa di cacciatori.
È questa la magia della caccia. Una magia buona, che contrariamente a quanto si potrebbe credere si sta diffondendo e ancora maggiormente si potrà diffondere se solo saremo capaci di trasmetterla a chi ci sta intorno.
Imparando a comunicare meglio, certo. E qui si aprirebbe un altro fronte, già trattato in modo certamente migliore di quanto non potrei fare io. Ma comunicare lo si può anche attraverso una sagra. In bocca al lupo.