Quando il cittadino dialoga con l'uomo di campagna molto spesso il confronto si ferma alle prime battute. Ognuno ha il suo mondo, si è portati a pensare. Ma il mondo in cui viviamo non è forse per tutti lo stesso? Le risorse utilizzate dall'uno e dall'altro non sono forse le identiche, finite, risorse per tutti? E allora perché i due modi di intendere la vita dovrebbero restare separati e contrapposti? Molti dei cittadini di oggi sono stati dei bambini di campagna, spesso grazie alle lunghe estati passate con i nonni o perchè nati in uno dei tantissimi comuni di poche anime e campi arati di cui il nostro paese pullula ancora oggi, prima di trasferirsi in grandi aggregazioni urbane per motivi di studio o lavoro. Il confronto con il proprio “io rurale”, quindi, è difficile da evitare.
In uno scambio di opinioni con Massimo Zaratin (cacciatore e presidente dell'Associazione per la difesa e la promozione della Cultura Rurale), Paola Comelli, scrittrice di successo e conduttrice televisiva di programmi per bambini, racconta la sua opinione sulla “ruralità”, vissuta da bambina tra Cadine (Trento) e la campagna di Mestre, spiegando, con una disarmante sincerità, come di quella vita, bella sì, ma faticosa e tutt'altro che facile, oggi fa volentieri a meno: gli odori della stalla, i troppi insetti, l'isolamento dalla febbricitante vita di città, sono tutte cose che le fanno consapevolmente rinunciare alla campagna. Quello della Comelli per Zaratin è un ritratto esaustivo e tutt'altro che artificioso, bello nella sua spontaneità e soprattutto utile a mettere bene a fuoco quello “strappo sociale” che divide le due categorie. “Inutile dirlo - spiega Zaratin nel suo commento - è molto più comodo vivere in città, è molto più semplice rivolgersi al supermercato che allevare e, ahimè, tirare il collo ad una gallina, cosa che peraltro mi è ancora “fastidioso” fare. E’ bella la città, non c’è che dire, offre tutto ciò di cui l’uomo occidentale può disporre in questa vita”.
Ci sarebbe tutta una parentesi da aprire allora sulla cosiddetta coscienza ecologica dell'uomo di città, che in un certo senso allontana da sé certe responsabilità strettamente connesse alla vita rurale come uccidere gli animali per mangiarli. L'uomo urbano, prosegue Zaratin “non ammazza gli animali perché li trova già pronti e puliti sugli scaffali degli iper, non inquina il territorio perché tanto lui vive sull’asfalto e sul cemento, non taglia gli alberi ed anzi, evviva i parchi che tanto lo fanno sentire “selvaggio” quando ci va in vacanza… ecchisenefrega se la gente che c’abita all’interno deve convivere con tutti i problemi che essi comportano?”
Ognuno è libero di decidere dove e come vivere, ma se nel caso della scrittrice veneta, che non fa fatica ad ammettere che “non tutti siamo fatti per vedere e conoscere certi aspetti della vita”, la scelta è una serena accettazione dei propri "limiti", per altri quel distacco produce un artefatto rapporto con la campagna e i suoi animali, che intende porsi a contrasto con il bagaglio di conoscenze e stili di vita della cultura contadina. “Purtroppo – prosegue Zaratin - uno dei prodotti del progresso e delle città, dettato appunto dal progressivo distacco dalla natura di questo ”super homo urbanus”, è lo svilupparsi di una concezione uomo-natura piuttosto diversa rispetto a chi vive immerso in essa. L’ambientalismo moderno è nato nelle città quando invece sarebbe stato più logico nascesse nelle campagne. Anche la molto simile (per l’Italia) ideologia animalista si è sviluppata tra l’asfalto ed il cemento. Un’ideologia che vorrebbe imporre la sua concezione di vita e di rapporto uomo-animali. L’urbano ha oltrepassato il confine di sua competenza, sconfinando il più delle volte in temi che non conosce direttamente. Una natura ideologizzata e non praticata; una convinzione su determinati aspetti della vita che, come riassunto bene dal filosofo Bartolommei docente di bioetica che amo citare spesso, “dissolve l’etica in una rete a maglie fittissime di relazioni morali dove è difficile stabilire chi è soggetto morale e chi no, in che punto finisce la “comunità biotica” e in che punto comincia la “comunità morale””.
“E’ naturale che due culture così diverse, quella urbana e quella rurale, si scontrino su alcuni aspetti che vengono ritenuti essenziali in questi anni come ad esempio la “questione animale”. Più difficile sarà far comprendere ai relativi sostenitori che solo da una sana convivenza, l’uomo ne potrà trarre vantaggio” conclude Zaratin. Con un minimo sforzo gli urbani, aggiungiamo noi, più disinteressati e distratti, potrebbero addirittura arrivare a capire cosa si stanno perdendo e decidere di tornare alle proprie origini. C.F. Vai al post sul blog della scrittrice Paola Comelli
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