La comunicazione globale, non c’è dubbio, sta rivoluzionando non solo l’economia, ma anche i comportamenti dei singoli individui, delle comunità, dei “gruppi d’interesse”. Se il Watergate allora segnò la svolta per il modo di agire di certi politici, che fino a quel momento pensavano che l’uso della tecnologia fosse esclusivamente al servizio del grande fratello, cioè dei servizi segreti più o meno al loro…servizio, non potesse essere utilizzata da chi i loro affari voleva controllare, l’avvento della superinformatica e le conseguenti leaks (wikiLeaks, VatiLeaks eccetera), stanno dimostrando che l’universo del web sta sempre più diventando un pozzo senza fondo in cui puoi trovare tutto e il contrario di tutto. Il problema è che come è facile reperire info, non altrettanto facile risulta verificare se quelle stesse info hanno un minimo di collegamento con la realtà.
Oggi, se hai un problema, se non ti ricordi una cosa, se vuoi approfondire un argomento, entri in rete e clikki su…… (lascio i puntini per non beccarmi denunce; ma, per intendersi, mi riferisco a uno dei tanti siti che rappresentano una specie di enciclopedia universale). Sicuramente trovi un minimo di risposta alle tue curiosità. Ma, sei sicuro che quello che hai letto sia vero? Puoi dare per scontato che siano verità al cento per cento quelle informazioni che sono state “postate” da sconosciuti che magari, consapevolmente, le hanno messe lì, taroccate a bella posta, proprio per consolidare (errate) convinzioni?
Difficile dirlo. Se poi ti metti a clikkare su singole voci, ti appaiono sequele di link dove trovi di tutto e di più. E spesso ti si aprono dei mondi infiniti di magazine online (come questo di Bighunter, del resto) e blogs, tanti blogs, con tanti, innumerevoli bloggers. Chi ha voglia di perderci la testa, non ha altro che l’imbarazzo della scelta. Ma – purtroppo – chi non è attrezzato (mi verrebbe da dire: smaliziato) si perde nei meandri della…disinformazione. Alla confezione della quale, è bene ricordarlo, si aggiungono come sempre i tradizionali, ormai, mezzi di comunicazione di massa: quotidiani e settimanali ad alta tiratura, televisioni, agenzie. E’ triste riconoscerlo, ma a me sembra che nell’era dell’informazione a buon mercato, nella società della comunicazione, invece di progredire, si stia rischiando che la stragrande parte dell’umanità sia costretta a fare dei passi indietro. Regresso, insomma, invece che progresso.
L’odierna querelle sui cani e la vivisezione, anche e soprattutto seguendo le cronache (televisive, giornalistiche e internaute) farebbe pensare proprio che certa gente abbia perso il lume della ragione. Provo a spiegarmi. Ma prima, si badi bene, voglio sgombrare il campo da equivoci. Personalmente mi impegno, da inguaribile ottimista nei confronti della nostra “specifica” intelligenza, a credere che i nostri co-specifici abbiano diritto tutti – me compreso – di pensare ed agire secondo la propria sensibilità. Quindi se tu sei un animalista, va bene, è un tuo diritto. Se pensi che la ricerca debba fare a meno della sperimentazione sugli animali, ok, anche questo un tuo diritto pensarlo. Pensarlo, dico, ed eventualmente testimoniarlo nei limiti delle regole della convivenza civile. Quello che non tollero è che non si rispetti la legge e si calpestino i diritti degli altri. La legge. Che legge è, perché è legge. Chi non ne condivide certi contenuti può sempre adoperarsi perché vengano democraticamente cambiati. Sicuramente, anch’io come la stragrande maggioranza della gente sana di mente pretendo che gli animali soggetti a sperimentazione vengano trattati con umanità, e che – verificato che non ci siano soluzioni alternative - si faccia il possibile per limitare al massimo il numero dei soggetti utilizzati. Sempre e solamente, e dico sempre e solamente, se tutto questo serve per salvare vite umane. Fra il sacrificio di un cane e la vita di un bambino malato di cancro, non ho dubbi. E non è una questione di sensibilità. E’ la mia specificità che me lo impone. Se la pensassi diversamente commetterei un atto contro natura. Contro la natura della mia specie.
I cani, dunque. Secondo dati incontestabili, su 12 milioni di animali su cui si effettuano ricerche in Europa in un anno, il 50% sono topi, mentre i cani oggetto di sperimentazione sono lo 0,2%. Mi chiedo, allora: perche così poca attenzione per i topi?
Ancora sui cani, o meglio, sui beagle (e non voglio spingermi in ulteriori approfondimenti, sempre nell’interesse del mio quieto vivere). Se ne sono lette di tutti i colori, sui blog, in questi giorni. Come quella che ad adottare questi cagnetti fosse un cacciatore, sarebbe una cosa estremamente riprovevole. Da evitare come la peste. Per cui, ecco che si sta alzando una…canea, tesa a impedire che questo possa succedere. Come se il solo fatto di essere cacciatore escludesse un individuo dal consesso umano e civile. Chi, secondo voi, potrebbe meglio rispondere ai principi informatori dello specifico affido, che contempla di “mantenere e curare l’animale con la diligenza del buon padre di famiglia, secondo gli impegni assunti con il presente contratto e si obbliga a garantire al cane ottimali condizioni di vita e di salute, secondo le caratteristiche etologiche proprie della specie, impegnandosi a detenerlo nel miglior modo possibile, garantendogli ogni cura ed assistenza necessaria“? Chi, secondo voi?
E’ lapalissiano che se su questa terra esiste la razza beagle, lo si deve esclusivamente alla passione e all’impegno di allevatori che li hanno selezionati per la caccia. E qui viene in mente il solito paradosso di Peter Singer, docente di bioetica a Princeton, animalista convinto, riferendoci al quale paradosso non si può fare a meno di confermare che gli animali domestici, se per ventura sono al mondo, lo devono all’utilità che l’uomo ha riscontrato in loro. Altrimenti ben più grama sarebbe stata la loro vita, ammesso che alla vita qualche scintilla casuale avesse loro consentito di affacciarsi. Nel mondo, centinaia di milioni di maiali, o di conigli, o di vitelli, o di cavalli, di cani vivono perché in qualche modo si rendono utili all’uomo. E non per il capriccio di qualche scellerato che passata l’infatuazione del momento lo abbandona in autostrada.
In conclusione. Nell’interesse di quei duemila e più soggetti canini, questa trista vicenda venga discussa e definita al più presto. La magistratura una buona volta faccia il suo lavoro alla svelta. Si decida secondo giustizia, e non secondo ben orchestrati piagnistei, se davvero ci fu maltrattamento animale. Dopodichè, nel caso si dovesse procedere all’assegnazione definitiva, si faccia davvero un pensierino una volta tanto con la testa sulle spalle. A chi potrebbero essere affidati questi cani che, pur non ancora addestrati, hanno nella loro indole (caratteristiche etologiche della specie?) una indiscutibile propensione alla caccia?
A chi?