Nel totale marasma della realtà ambientale italiana, appare sempre più chiaro che l'ambientalismo nostrale ha fallito. I freschi, freschissimi rapporti che in questi ultimi tempi si susseguono danno conto che non è stata, non è e non sarà la caccia a mettere in pericolo la sopravvivenza delle specie selvatiche. Tant'è vero che, se nelle tante liste rosse ci sono alcune categorie di animali selvatici che se la passano meglio, sono proprio quelli oggetto di caccia. A conferma che il cacciatore, almeno per quello che lo riguarda direttamente, s'impegna a far sì che l'oggetto del suo desiderio abbia un futuro.
Una semplice constatazione dovrebbe mettere definitivamente la classica pietra sopra le tante stupidaggini propalate da decenni: molto di più di un terzo del territorio cosiddetto agrosilvopastorale è interdetto alla caccia. Se anche qui, come denuncia la nuovissima red list italiana, le specie più a rischio sono tre vulturidi, l'aquila del Bonelli, il forapaglie comune e la bigia padovana, ditemi voi come si fa a sostenere ancora con pervicacia che l'attività venatoria è fra le principali cause dell'impoverimento faunistico italiano! Quindi, ripensare la caccia vuol dire soprattutto rifondare l'ambientalismo italiano. Perchè, dunque, non proporsi noi, cacciatori, in prima persona, senza tante sigle, con la nostra esperienza, il nostro impegno, alla guida di un movimento che ha come obiettivo principale la tutela dell'ambiente e della fauna selvatica? E questo, senza rinunciare a nessuna delle nostre prerogative, delle nostre tradizioni, delle nostre aspettative più genuine.
In Francia, pur senza voler peccare di esterofilia, bisogna dire che fin dal 1972 opera un organismo governativo, l'ONCF (Office National de la Chasse e de la Faune Sauvage), che sovrintende a tutte le cose "tecniche" della caccia. In Inghilterra, da oltre settantacinque anni funziona il Game & Wildlife Conservation Trust, con analoghe funzioni; in molti altri paesi d'Europa, succede lo stesso. Sarebbe tanto difficile, a casa nostra, a proposito di modifiche della 157/92, abrogare quell'inutile Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale (art. 8), che in vent'anni non è riuscito a produrre granchè, e che anzi - aldilà della scarsa qualità di certi componenti - è stato lo specchio dell'incapacità tutta nostrana di dare risposte efficaci? E al suo posto, costituire un Ufficio Centrale simile a quello francese? Sarebbe difficile riformare l'ex INFS (art.7), oggi Ispra, che per mancanza di mezzi e per errati obiettivi denuncia tutta la sua inadeguatezza? Che sia incapace di assolvere ai propri compiti è palese, nel momento in cui lo stesso organo tecnico dichiara la propria impossibilità a fornire - su richiesta - dati aggiornati sulla consistenza di specie selvatiche. E tuttavia, richiamandosi a un malinteso principio di prudenza, pur non fornendo i dati, anzi proprio per quello, dà parere negativo. Ancora peggio si comporta quando, recentemente, e soprattutto al di fuori e aldilà delle proprie competenze, rilascia "opinioni" a soggetti terzi non competenti e - ancora più grave - invia motu proprio, senza che nessuno glielo abbia richiesto, una lettera nella quale invita - o vogliamo dire "sollecita", o vogliamo pensare "ordina" - a ridurre ancora di più i tempi di caccia o addirittura a sospenderla.
La cosa, si può immaginare, non finirà qui, perchè chi ha la competenza in materia (regioni) e chi ha il dovere di tutelare i diritti dei cacciatori si farà sentire. Il fatto che ormai in Italia siamo commissariati - dai professori al Governo, a loro volta commissariati dalla BCE - non vuol dire che tutto il paese, tutte le nostre istituzioni democratiche debbano soggiacere a certe confraternite i cui soggetti è difficile distinguere nella specifica funzione, visto che recitano almeno tre parti in commedia, con funzionari pubblici che fanno parte di organismi associazionistici o che vengono nominati presidenti di parchi, in concorrenza per la verità con dirigenti di associazioni ambientaliste che usciti dalla porta, si riaffacciano dalla finestra col ruolo di commissari, con l'assenso implicito del ministero competente, piuttosto incline a porre attenzione a istanze animaliste, che registrano appendici in rete, a supporto di personaggi ben connotati da una "carrozzeria" con chioma rosso fiammante.
Non c'è dubbio che ne sentiremo riparlare, perchè anche per questo, il nostro paese ha bisogno di forti riforme. Riforme che devono vedere anche noi in prima linea. Perchè, viene da chiedersi, nella necessità di riformare la legge sui parchi, ormai moribondi, dopo vent'anni di cura affidata alle sopraddette confraternite, non rivendicare con forza la nostra presenza negli organismi di gestione dei parchi stessi e di tutte le aree protette? Pretendiamolo, se non vogliamo assistere inerti al bisticcio fra rappresentanti di alcune delle sigle più roboanti dell'ambientalismo paesano e la Federazione dei Parchi che propone almeno di aggiornare gli obiettivi. La nostra competenza, la nostra dedizione, sono indubbie. Il nostro contributo (gratuito, fra l'altro) per un coerente riequilibrio faunistico è ormai di stretta attualità. Solo una cieca visione animalista insiste nel negare l'evidenza.
Giuliano Incerpi