Non sono mai stato un “esterofilo”, ma quando ciò può risultare utile alla causa della caccia sono pronto a diventarlo e così torno a ribadire che abbiamo molti spunti, stimoli ed esempi a livello europeo e internazionale che potremmo intelligentemente seguire e copiare per valorizzare, promuovere e difendere la caccia nel nostro Paese.
L’ho già fatto in passato, descrivendo l’organizzazione dei nostri colleghi cacciatori del Nord Europa (Finlandia, Norvegia, Svezia, Danimarca e Islanda) riuniti in forti e organizzate Associazioni (uniche) nazionali, operative anche sul piano della ricerca scientifica in campo faunistico e agro ambientale, e poi riuniti anche a livello internazionale nell’efficientissima Nordic Hunters’ Cooperation.
Così in tutti i Paesi sopra citati, le Istituzioni, quando devono prendere decisioni in materia faunistico-venatoria, non chiedono pareri solo “all’ISPRA di turno”, ma li chiedono soprattutto ai cacciatori perché sono organizzati, autorevoli e scientificamente credibili, e la caccia, pur naturalmente avendo i suoi “avversari”, è in generale conosciuta, apprezzata e valorizzata.
Ora voglio aggiungere un secondo esempio, questa volta di livello internazionale.
Da quando ho l’opportunità di frequentare le annuali Assemblee Generali del CIC (il Consiglio Internazionale della Caccia e della Conservazione della Fauna) ogni volta mi sembra di fare un salto non in un altro pianeta , ma proprio in un altro universo.
L’anno scorso in Russia, a San Pietroburgo, all’insegna del motto “La Caccia, una parte di eredità culturale” e alla presenza delle massime Autorità istituzionali di molti Paesi aderenti, nonché di moltissimi rappresentanti di diverse organizzazioni non venatorie, ma di fondamentale complementarietà alla caccia e alla conservazione, si è discusso approfonditamente per definire le strategie di lavoro e gli obiettivi da conseguire su temi veramente strategici come, solo per fare qualche esempio, l’avanzata dei grandi carnivori, che stanno ripopolando i loro habitat originari in Europa e che pongono seri problemi di coabitazione con l’uomo e altre specie selvatiche, da governare e risolvere; la figura del cacciatore quale naturalista, conoscitore dei principi, criteri e indicatori della caccia durevole; le tecniche di limitazione degli impatti delle lavorazioni agricole nei territori a prati stabili e praterie da foraggio; le metodologie di conservazione degli uccelli acquatici, intesi come risorsa internazionale; la nuova strategia per la biodiversità programmata dall’Unione Europea.
Quest’anno, invece, l’Assemblea Generale del CIC si è tenuta in Sud Africa, a Cape Town all’insegna del titolo “Economia della conservazione della fauna selvatica”. Obiettivo ambizioso, cui peraltro l’organizzazione mondiale dei cacciatori lavora da tempo, è quello di rendere universale e condiviso il riconoscimento dell’attività venatoria – naturalmente ove condotta in maniera sostenibile e razionale – tra i principali e più efficaci strumenti gestionali per una perpetuazione delle popolazioni di animali selvatici nonché dei loro habitat.
A tale proposito, particolarmente rilevante uno dei numerosi messaggi scaturiti dalla discussione e rivolto alla politica, tale per cui deve essere essa, tassativamente, a uniformarsi al dettato della scienza e mai il contrario.
Ricchi di spunti e indicazioni di lavoro i tanti temi dibattuti, tutti connessi a esperienze pratiche, tra cui: gli aspetti economici della conservazione della fauna selvatica; le zoonosi trasmesse dalla fauna selvatica; l’allevamento della fauna selvatica a sostegno della conservazione; la costruzione di accordi ambientali multilaterali tra il CIC e altri soggetti; le basi di dati sulle differenti legislazioni venatorie collegate alle migliori pratiche gestionali faunistiche; la costruzione di un partenariato di collaborazione per la conservazione della fauna selvatica tra CIC, IUCN, FAO, CDB e OIE.
Di grande spessore anche la tavola rotonda intitolata “Conservazione, Utilizzo durevole ed Economia”.
Qualche esperienza di questo genere è stata già condotta anche nel nostro Paese ma è ben poca cosa al confronto: dobbiamo favorire in ogni modo un salto di qualità - anche culturale - affinché il mondo venatorio si unisca davvero, si organizzi sul piano scientifico e diventi interlocutore credibile per le Istituzioni e la società.
A mio avviso gli esempi che ho citato e che scaturiscono da queste importanti occasioni d’incontro con i nostri colleghi di tutto il mondo, ci offrono modelli organizzativi, metodi di lavoro, argomenti e alleanze esterne che rappresentano occasioni da cogliere velocemente per ottenere possibili ricadute positive e concrete anche in Italia.