Vox populi, vox dei, si dice. La voce del popolo è la voce di dio. Insomma, se lo dicono tutti, deve essere vero. E di sicuro, che la nostra madre terra se la passa male, lo dicono proprio tutti, ormai. Sarà che questi social ingigantiscono anche lo squittire di un segugio indeciso sulla traccia di una lepre, ma insomma la questione pare proprio che sia seria. Del resto, basta dare un'occhiata a uno qualsiasi degli indicatori frutto di elaborazioni statistiche per vedere che la curva negli ultimi cinquant'anni ha preso un chiaro andamento verticale. Velocissimo.
Anche il mare, l'immenso crogiuolo dove ha avuto inizio la vita, ultimo baluardo capace di digerire tutte le nostre sporcizie, sta in affanno. Le nostre coste, i nostri fondali sono soffocati da otto milioni di tonnellate di rifiuti, soprattutto plastica, plastica e plastica. Sugli oceani galleggiano interi continenti di questa materia derivata dal petrolio, croce e delizia del nostro "progresso". I tanti marcopolo che rientrano dalla Cina ci raccontano di megatropoli affogate nello smog, mentre basta leggere le cronache quotidiane per scoprire che le nostre falde acquifere attingono veleni da terre intrise di pesticidi.
Già nel 1968, mentre l'occidente inneggiava al Che (Ernesto Guevara), il Club di Roma, fondato da Aurelio Peccei, lanciava i primi appelli raccolti pochi anni dopo nel Primo Rapporto sui limiti dello sviluppo. Dopodichè, ancora ieri, questa sedicenne con le treccioline e lo sguardo da furetto incazzato stenta a convincere masse imbambolate che la nostra Gaia è ancora in tragica sofferenza. E di brutto.
Il progresso, quello che ha stanza a Wall Street, per intendersi, lancia periodicamente messaggi ingannevoli per far credere che i padroni del mondo se ne stanno occupando. Praticamente, almeno nel breve periodo, poco cambia. Anzi, quegli indicatori ci dicono che tutto si complica.
La caccia, i cacciatori, testimoni inascoltati, a volte derisi, a volte esecrati, ultimamente anche minacciati e aggrediti, messi al bando, potrebbero invece costituire un riferimento per ridisegnare quei comportamenti che nelle nostre società, ormai inurbate, si vanno perdendo. Inesorabilmente. Chi non ricorda gli appelli di Fulco Pratesi, l'ineffabile, a fare una doccia una volta alla settimana, ad andare in bicicletta, quando nelle segrete stanze "cedeva" la sua poltrona a Susanna Agnelli, che "concedeva" il marchio alla Fiat per quel modello sempre in cima alle classifiche delle auto più vendute nel nostro paese. La Panda.
In questi giorni si sprecano gli appelli al ravvedimento, pur funzionali al sistema, ma tuttavia utili per cominciare a formarsi una coscienza green. Quella di cui noi da sempre disponiamo, di sicuro in misura più marcata rispetto a chiunque la manifesta nei salotti radical e nei talk show. E oggi sui social. Noi non siamo loro. Siamo qualcosa di più e di meglio. Le politiche del nostro ministro dell'ambiente che giorni fa omaggia di un importante riconoscimento quella Licia Colò, passata alla storia per la pubblicità delle caramelle alla menta, non sono certo il nostro modello di riferimento.
Si sprecano i decaloghi, i doppi decaloghi. Addirittura c'è qualcuno che elenca le "duecento cose che tutti possiamo fare per l'ambiente". Piccoli comportamenti che se adottati e professati almeno dal 3,5 per cento della popolazione, possono fare la differenza.
E allora, visto che mediamente, in Europa, i cacciatori e le loro famiglie girano intorno a questa cifra, proviamo a vedere di cosa si tratta. Molto probabilmente, se già non fanno parte dei nostri comportamenti, tramite il passa parola (anche digitale), facilmente li potremo adottare e soprattutto promuovere. Ce ne verrebbe anche un merito nei confronti di una società che quando va bene ci ignora.
Chi meglio di noi, infatti, può sostenere che alle piante occorre garantire aria acqua e suolo non inquinati? Chi meglio di noi è in grado di trasmettere l'emozione di immergersi in un ecosistema rigenerato? Chi meglio di noi potrebbe fare da guida alle giovani leve fin dalle scuole elementari? Chi potrebbe dimostrare più di un cacciatore che siepi e terreni incolti servono alla ricostituzione delle popolazioni selvatiche?
Nel nostro piccolo, siamo deposatari di grandi responsabilità, non solo per la caccia e la fauna selvatica, ma per l'intera società. Facciamone tesoro.
Alessandro Ferrone