Siamo appena entrati nell’anno nuovo e cresce la richiesta ovunque nel paese di dare un senso a tutti questi soldi che negli ultimi dodici mesi sono confluiti nelle casse dello Stato. O delle banche, come dice qualcuno. Una operazione colossale, così mettono le mani avanti in molti, alla quale dovrà seguire quello che finora è mancato. Un vero e robusto rilancio dell’economia senza il quale qualsiasi sacrificio sarebbe inutile. Intanto, ognuno dia la colpa a chi vuole, ma la riduzione delle province ha subìto una brusca frenata. Sicuramente slitterà tutto di un anno.
Probabilmente non se ne farà più di niente, visto che dopo le elezioni si dovrà trovare la soluzione per un governo stabile, e andremo avanti per qualche mese, poi – se va bene - si dovrà cominciare dai fondamentali, poi ci dovremo dedicare anima e corpo alla ripresina del 2013 e alla ripresona del 2014. Sperando che ci siano. Poi, molto probabilmente, ci saranno turbolenze a causa di possibili campagne referendarie. Poi, si ricomincerà a respirare aria di elezioni amministrative. Poi, poi, poi….
Insomma, majora premunt, e le cose veramente necessarie passeranno come al solito in cavalleria.
Non parliamo poi della caccia, che come abbiamo visto, aldilà delle promesse da marinaio di tanti nostri “amici”, si è persa in questi ultimi mesi in decine e decine di contenziosi giudiziari, soprattutto amministrativi (corsi e ricorsi, non storici, ma molto più banalmente al TAR), in beghe da cortile, in preziosissime riflessioni sul…nulla.
Eppure, questa rivisitazione delle competenze delle province poteva essere un’occasione per dare un po’ d’ordine anche all’organizzazione della caccia, e un po’ d’ossigeno (economico, soprattutto) per fare cose che enti organizzazioni e associazioni dovrebbero ormai inquadrare come “non più rinviabili”.
Si parla tanto di spending review e, per quel poco che ne abbiamo vista applicare, è andata a colpire soprattutto i territori e i bisogni primari della gente. Prospettando tagli su tutto e di più. Anche nelle regioni dove gran parte delle risorse statali e locali provenienti dai proventi della caccia venivano reinvestite in tutela dell’ambiente e della fauna selvatica, anche con obiettivi meritorii e vantaggiosi per l’attività venatoria, si sente dire che di queste risorse ormai si dovrà fare a meno, perché nella revisione generale della spesa saranno altrove dirottate. Ecco che allora, per poter continuare a gestire il territorio a fini faunistici e venatori, si dovrà aguzzare l’ingegno e ridefinire le priorità della spesa. Gli ATC, per esempio. Già l’anno scorso si sentiva parlare di un diverso modo di organizzarli. In qualche regione, addirittura si era andati avanti col lavoro, ipotizzando accorpamenti, ridefinendo funzioni e attribuzioni di responsabilità. Ricordiamoci che l’ormai definito processo di informatizzazione e cablaggio e la giovane età degli organismi (gli ATC sono stati costituiti relativamente da poco, ex novo, e quindi gli addetti, tecnici e funzionari) dovrebbero disporre di tutte le competenze informatiche su cui oggi si può contare. Per cui, non c’è bisogno di pagare costosi affitti per inutili locali. Oggi tutto un ufficio sta in un computer. Meglio ancora in un telefonino.
Tutto è inseribile in rete, quindi in tempo reale chiunque - addetto o semplice interessato che sia - può venirne a conoscenza. Fra l’altro se ne guadagnerebbe in trasparenza, a meno che non sia proprio questo, la trasparenza, che spaventa certi centri di (seppur piccolo) potere. Di più: all’interno di un odierno territorio di una provincia, ma anche di una regione delle nostre, le casistiche spesso si sovrappongono. Perché allora continuare a produrre e gestire progetti su argomenti similari, spesso in contraddizione fra loro, quando con un più semplificato coordinamento – auspicabilmente a livello regionale – si potrebbero ottenere migliori e più omogenei risultati e - anche - nello stesso tempo risparmiare risorse?
Ma, qualcuno potrebbe obiettare, così si verrebbe ad annacquare quella gestione rigorosa che a volte fa già acqua. Lassù, al nord, dove le cose funzionano, la gestione è a livello comunale, D’accordo, ma proprio lassù - dove opera un’unica “società” dei cacciatori, senza tanti eterogenei distintivi sul cappello - i modelli di gestione sono standardizzati, a livello comunale li applicano. E li applicano i cacciatori, direttamente, senza intermediazione, senza costi, senza pletoriche strutture. Se l’ente pubblico eroga ai cacciatori, direttamente, dei fondi, lo fa quasi sempre per affidare compiti di tutela del territorio agro-forestale, mantenimento dei sentieri, pulizia dei boschi, sfalci, sorveglianza antincendio, cose che anche al centro e al sud, le amministrazioni più lungimiranti già fanno. E per questo, non è necessaria tanta burocrazia. Anzi, volendo snellire l’ormai oltre ogni limite onerosa macchina burocratica, certe funzioni anche “pubbliche”, come per esempio il ritiro e il rilascio dei tesserini regionali (ma anche altre incombenze che oggi appesantiscono l’attività degli ATC), potrebbero essere affidate in tutto risparmio alle stesse unità comunali dei cacciatori. Se questa, nel nostro piccolo, non sarebbe spending review, ditemi voi cos’è.
Insomma, in un mondo in cui le distanze di spazio e di tempo si vanno sempre più riducendo, è indispensabile ridurre gli anelli della cosiddetta filiera, mettere tutto in trasparenza per favorire i controlli, soprattutto da parte degli utenti e dei cittadini in genere, e rendere più veloci i processi decisionali, per quanto ci riguarda accorpando gran parte delle competenze a livello regionale.
C’è poi il problema della certezza delle regole. Abbiamo assistito, quest’anno appena trascorso, a un tira e molla giudiziario sollecitato dalle sedicenti associazioni ambientaliste, spesso consociatesi per nascondere il pluridecennale fallimento delle loro politiche a difesa dell’aria pulita, dell’acqua pulita, del territorio integro, tanto che sono stati gli agricoltori, finalmente, imponendosi sul ministero dell’agricoltura, a far varare un provvedimento che – se confermato - d’ora in avanti quanto meno proibirà di rubare altro territorio agrario alla speculazione di ogni genere. Certa gente, che ci si è fatta tonda, col contentino della gestione delle aree protette, ha chiuso un occhio e spesso tutti e due sugli infinti obbrobri perpetrati a danno del nostro patrimonio naturale. Finiti i soldi e scoperto il giochino, adesso si sono buttati a corpo morto sulla caccia, intentando ricorsi - tanto, essendo in regime di onlus, non gli costano granchè – contro i calendari, contro le deroghe, contro tutto e il contrario di tutto. Contro la caccia in sé e per sé. Spalleggiati da loschi figuri che hanno consumato la loro celebrità politica con squallide comparsate televisive a supporto di un potere che si sta pian piano squagliando. Complice anche un Parlamento un Governo, che per la verità, ha avuto ben altro a cui pensare, i quali prigionieri delle contraddizioni e delle lobby intrinseche ai propri componenti e di un apparato burocratico che ormai fa di tutto per frenare con l’unico obiettivo di salvare il didietro, lo stipendio e le a volte incoffessabili prebende, non riesce neanche a produrre delle guide interpretative, incontrovertibili, sulle quali conseguentemente basare regolamenti locali, calendari, disposizioni in deroga.
Insomma. Siamo ancora ai vizi di un’Italietta che non vuole andare in soffitta. Con l’aggravante che adesso i soldi almeno per un po’ scarseggeranno, e la gente ne ha piene le scatole che i soprusi dei soliti noti ricadano sulle spalle di chi finora ha sopportato in decoroso silenzio.
Vito Rubini
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