Anche il tanto vituperato e cacciatore di streghe maccartista, al secolo Disney Walt, ripropose in cartoon un “Lupo Cattivo”, come in effetti un lupo dev'essere. Nella fiaba, ovviamente, dava la caccia ai tre porcellini e, sempre per non discostarsi dal tessuto narrativo tradizionale (di matrice orale britannica), non moriva ma faceva una...brutta figura. Ovvero si bruciava coda e deretano e se la dava a gambe. (nella favola prima maniera cade nel pentolone, muore bollito e i due porcellini - mi pare - escono vivi dalla pancia del cattivone).
Poi prese forza la secolare leggenda agiografica del santo poverello, che proprio per esaltare la santità dell'uomo ne ridusse a più miti costumi la ferocia. E nello stesso tempo, però, questa ferocia ne congelava. Come dire, appunto: il lupo, lupo ha da essere, feroce cioè, ma la forza della santità di Francesco ne piegano anche le corde più intime, naturali.
Lo stesso “Balla coi lupi”, nel mentre riesce a giocare – e a...ballare - con “Due calzini”, lo rende unico, un “diverso” si direbbe oggi, ma qui, parafrasando Dante penso che più che 'l dolor, poté 'l digiuno. Del lupo, in questo caso, anch'esso solitario in una prateria desolata e priva almeno apparentemente di altri esseri viventi. Un tempo si diceva anche: la fame leva il lupo dal bosco, riferendoci nel caso all'uomo, e non al lupo, uomo che secondo certe circostanze (il bisogno, la fame) può anche comportarsi da lupo, ovvero in maniera...crudele.
Ecco, per sommi capi, che cos'era e, permettetemi, che cos'è il lupo. Un animale feroce. Che, per sopravvivere, fa il suo mestiere. Da millenni, ormai, con l'avvento della pastorizia e dell'allevamento, dalle nostre parti vive in simbiosi con le pecore e con gli altri animali, domestici e non, per sopravvivere. Tempo fa, seguendo il consiglio di amici, mi sono letto un bellissimo romanzo di un'autore cinese, Jiang Rong: Il Totem del Lupo. Una saga di un popolo di nomadi (allevatori di cavalli), nella Cina contemporanea, che convive con un “popolo” di lupi, fieri e abili cacciatori in eterno conflitto per la vita, ma che naturalmente mantiene fra alti e bassi un equilibrio precario di interdipendenza. Finchè ci sono mandrie di cavalli ci sono i lupi, e viceversa. Le diverse disposizioni del governo centrale, che mirano a modernizzare l'agricoltura, impongo lo sterminio totale del popolo lupino. Ma nello stesso tempo, ucciso l'ultimo lupo, condannano a morte quel popolo di nomadi e quello stesso territorio dove per millenni tutte e due le popolazioni (umane e canine) erano vissute. Un epilogo che intende sostenere, a mio avviso, come natura e cultura, uomo e animale vivono insieme la loro precarietà, e la ferocia non è niente altro che una delle due facce della stessa medaglia.
Fa sorridere pertanto l'umanizzazione (Lupo Lucio, Lupo Alberto et similia) propinata ai nostri fanciulli nei riguardi di una bestia, il lupo, che indubbiamente è animale dotato di forza morale, lungimiranza, capacità di coesione sociale, giusta dose di aggressività, coraggio, ma soprattutto di una fierezza tale da renderne impossibile lo stravolgimento della... personalità.
Fa pena assistere a un revisionismo della narrazione, quando si trovano recenti edizioni per l'infanzia di un “Cappuccetto Rosso” da cui è stato vergognosamente cancellato il cacciatore come figura positiva, che invece, come tutti sappiamo, salva bambina e nonnina, uccidendo ovviamente la bestia feroce. Mi direte: ma è tutta una metafora. In realtà il lupo rappresenta l'uomo cattivo, i mille pericoli a cui va incontro una bambina nell'affacciarsi al mondo (il bosco). D'accordo, ma tutto questo viene rappresentato da un soggetto – una bestia feroce - che quello deve fare. Non altro.
Fa imbestialire, infine, quando si legge nei commenti alle cronache odierne di lupi intoccabili, che vanno salvaguardati in assoluto, la cui presenza incontrollata è un bene a prescindere dai danni che fanno e dai numeri che rappresentano.
L'attuale consistenza lupina, più in Italia che in altre parti d'Europa, lo sappiamo bene, è un anomalia, frutto dell'abbandono di gran parte delle nostre campagne non più redditizie, che nel contempo sono state popolate da infinite popolazioni di cinghiali, caprioli, cervi, daini, anche grazie ai cacciatori e alle regole che si sono date. Per cui, stranamente, in territori altamente antropizzati, in un'epoca di semplificazione selvaggia della cosiddetta biodiversità, fra torme di moderni ecoturisti domenicali, dediti più a spargere cartacce e rifiuti piuttosto che a far finta di entrare in punta di piedi nell'eden, si sta assistendo al proliferare anomalo, abnorme, delle popolazioni di ungulati a cui consegue un'altrettanta proliferazione di lupi (o apparenti tali: ibridi, incroci con altrettanto pericolosi cani inselvatichiti), i quali, per massimizzare la rendita, come succede in natura, vivono sì in simbiosi con cinghiali e caprioli, ma non disdegnano una più facile e abbondante preda costituita da greggi e armenti, che da qualche decennio sono di nuovo presenti sui pascoli di pianura e di montagna.
Ecco allora che i soliti ambientalisti da salotto si strappano i capelli, nei salotti buoni ovviamente, appena agricoltori e allevatori sollecitano soluzioni che col vento che tira solo con l'aiuto dei cacciatori, finchè potranno, sarà possibile risolvere. Altre soluzioni? La vedo dura.
Vito Rubini
Ultime dal bosco. Si racconta, ma non è una favola, vi assicuro, che giorni fa, dopo Natale all'incirca, un tranquillo cinghialaio sonnecchiava nella nebbia alla posta nel corso di una battuta nell'appennino tosco-emiliano. Più o meno sul confine. All'improvviso, mentre la canizza era in tutt'altra zona affaccendata, sente un tramestio nel bosco e pensa subito a un cinghialone furbacchione che se la svigna alla chetichella. Non vi dico la sorpresa quando invece si trova di fronte, a pochissimi metri, un cervo imponente che caracolla sanguinante. S'immagina, il nostro cacciatore, che sia stato ferito per errore da qualcuno, ma è solo un'attimo, perchè come dal niente spuntano fuori dalla nebbia ben dieci, dico dieci, lupi (?) dall'aspetto... poco francescano, che – appena lo vedono - probabilmente considerandolo un antagonista e comunque un “nemico” - lo circondano cominciando a ringhiare. Fortuna vuole che l'uomo si trovi in pratica appoggiato a un robusto faggio. Pensiero e azione, a volte si sovrappongono. Soprattutto quando il terrore s'impossessa dei tuoi pensieri, dei tuoi muscoli, di tutto te stesso insomma. Il nostro, in un attimo, butta il fucile, s'aggrappa al tronco e come uno scoiattolo si mette in salvo sulla pianta. Intanto, il cervo raccoglie le forze residue, respinge l'ennesimo assalto combinato e si ributta a valle nella nebbia, trascinandosi dietro il branco dei lupi, che non intendono mollare le bistecche ormai a portata di mano. Passata la paura, ma non del tutto tranquillo, col telefonino dà l'allarme, perchè prima di scendere vuole il conforto di una nutrita pattuglia di body guard. E per stavolta la racconta.... (V.R.)
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