In un recente articolo apparso sulla STAMPA.it – TuttoGreen – Elisabetta Corrà intervista l’Ecologo e Presidente del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze Guido Chelazzi che presenta il suo libro “L’impronta originale”. Titola l’articolo: “La guerra eterna tra uomo e ambiente” e poi continua; “Non esiste né mai è esistito un rapporto “naturale” tra l’uomo e l’ambiente”. Articolo che sicuramente susciterà polemiche nel mondo animal-ambientalista. Di fatto questa è la realtà delle cose:
Nel cocktail velenoso di fattori che hanno innescato il declino pauroso della biodiversità il più distruttivo è sicuramente la perdita di habitat. Non ha senso porsi come obiettivo la salvezza di una specie se non c’è più un habitat che la sostenga. Le aree protette, come i parchi nazionali, possono addirittura contribuire al declino di una specie, funzionando come “rifugi” temporanei, ma alimentando il crollo delle popolazioni per eccesso di impacchettamento.
Ho preso spunto da questo interessantissimo articolo per scrivere alcune considerazioni, anche ironiche, in merito ai gravissimi problemi causati dalla fauna selvatica problematica, situazione che ormai in Italia è diventata incontrollabile ed anche alquanto imbarazzante.
Giorni fa parlavo con un mio amico residente all’estero che mi fa questa domanda: ma voi in Italia i cervi li chiamate Bambi? Al che stupito gli rispondo: ma che dici Franco. Mi risponde: ha saputo che un Amministratore locale di una Regione Italiana che tra l’altro è stato a capo di uno dei più importanti Ministeri, dichiarava che mai si sarebbero uccisi i Bambi. A questo punto capendo di che cosa stava parlando, gli rispondo: si, ma ormai qui è così, nonostante ci siano le norme che permettano il controllo della fauna selvatica, e anche quando ci siano i pareri della scienza cioè dell’ISPRA, qui basta che qualche animalista strilli in difesa del Bambi, che molti Amministratori fanno dietro-front e non ottemperano a quello che invece è dettato dalle normative, o quanto meno si limitano a pagare i danni o a trovare soluzioni alternative. Ma comunque non risolvendo i problemi.
Franco mi chiede ancora: ma da voi come funziona se degli animali creano problemi? Gli rispondo: Il controllo delle popolazioni di fauna rappresenta un’attività in deroga al regime generale di protezione di tutta la fauna sia autoctona che alloctona. Questo è sancito dalla attuale normativa internazionale e nazionale:
- Legge 157/92 (art. 19, commi 2 e 3)
- Legge 394/91 (art. 11, comma 4; art. 22, comma 6)
- Direttiva Uccelli 1979/409/CEE e 2009/147/CE (art. 9, comma 1, lettera a),
- Legge 3 ottobre 2002, n. 221 nell’art. 19bis L.157/92
- Convenzione di Bonn (art. III, comma 5 per le specie in ALLEGATO I )
- Convenzione di Berna (legge 503/81, art. 9)
- Direttiva Habitat 1992/43/CEE (art. 16) e DPR n. 357/97 coordinato DPR n.
120/2003 (art.11, comma 1)
Di fatto queste norme ci danno nell’insieme le motivazioni per le applicazioni degli interventi in deroga per il controllo delle popolazioni animali problematiche:
- nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica,
- nell’interesse della sicurezza aerea,
- per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque ed alle proprietà,
- per la protezione della flora, della fauna e degli habitat,
- per la migliore gestione del patrimonio zootecnico,
- per la tutela del suolo,
- per la selezione biologica,
- per la tutela del patrimonio storico-artistico,
- per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche,
- per ricomporre squilibri ecologici.
Per intervenire su tutto quanto esposto ci dà anche gli strumenti e le modalità tecniche e burocratiche, sintetizzando: i piani di controllo faunistico devono quantificare il danno, menzionare le specie che ne formano oggetto, i soggetti, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa.
Il tutto con il parere favorevole della scienza e cioè dell’ISPRA.
Franco mi replica: ma ti rendi conto Stefano: se qui da noi un Amministratore pubblico chiamasse Bambi un cervo problematico, ma anche Yoghi o Bubu un orso problematico, oppure se i coyote o i lupi, che come spesso succede creano gravi danni alle farms, ti rendi conto che succederebbe se per caso li chiamassero Wilcoyote e Lupo Ezechiele? Qui da noi, rispondo, purtroppo (con le dovute eccezioni) ormai si è arrivati ad un rapporto con la natura e la fauna selvatica come fosse un grande cartoon, si è persa la logica delle cose, noi abbiamo Bambi, Yoghi, Lupo Ezechiele, Cip e Ciop, Red Fox; ma abbiamo anche Pluto, se pensiamo a quanti Pluto problematici che abbiamo, per esempio quelli che hanno aggredito e ucciso persone in vari parti d’Italia. Pensiamo solamente a quanti piccoli Topolino e Minny si uccidono con il veleno e trappole, con loro grandi sofferenze e morti dolorose. Che differenza c’è di diverso nel controllare una popolazione di Topolino e Minny dal controllare una popolazione di Bambi?
Cerchiamo di rimanere con i piedi in terra e ragionare, pensando a come si può sentire quell’allevatore o quell’agricoltore che ha perso il suo capitale, il suo reddito, il suo lavoro, la sua passione, la sua vita. E’ bello e comodo sentenziare da una scrivania al fresco di un ufficio con l’aria condizionata e dettare o peggio imporre regole a chi sul territorio ci sta da una vita e conosce i ritmi naturali e non vede e vive la natura su un PC o su un IPod o su un Tablet. Bisogna fare anche un’altra considerazione in relazione a questi tempi in cui ci si riempie la bocca con frasi tipo: bisogna allevare in modo estensivo in questo modo gli animali vivono meglio ed hanno carni migliori; tutto giusto, ma poi chi e come si difendono gli animali liberi al pascolo?? Qualcuno ci proverà ad insegnare i vari sistemi di difesa indiretta ed ecologica, sistemi che tutti conosciamo, ma che poi la maggior parte delle volte si sono rilevati inefficaci contro popolazioni animali sempre più numerose ed invasive. L’unica difesa? Allevamento intensivo, animali chiusi, stabulati e mangimi. Ma questo giustamente non piace a nessuno. Allora quale è la soluzione? Semplice, applicare le leggi senza se e senza ma.
Al mondo venatorio si può contestare molto, ma certo non si può contestare che le AAVV sono capillarmente presenti sul territorio con le loro delegazioni, circoli ed i propri aderenti, pronti volontariamente ad intervenire qualora necessiti per il controllo delle popolazioni di fauna selvatica problematica. Tra l’altro i cacciatori volontari per intervenire devono aver effettuato dei corsi di abilitazione e sostenuto degli esami, corsi che rispecchiano dei dettami voluti dall’ISPRA ed approvati dalle Amministrazioni competenti.
Non credo che esistano altre associazioni in grado di poter intervenire con i propri volontari competenti ed abilitati ed i propri soldi, in modo sempre tempestivo e capillare alla chiamata delle Amministrazioni provinciali competenti.
Che fare?? Quale soluzione per cercare di sbloccare questo stato di cose? Girare il problema a chi si oppone immotivatamente e che la maggior parte delle volte non propone soluzioni alternative idonee per risolvere il problema, magari sollecitando il solo risarcimento dei danni, che come abbiamo visto, molte volte non vengono risarciti o lo sono in ritardo, o in parte od in forma minima, o ancora sostenendo soluzioni alternative come catture e spostamenti o sistemi dissuasivi, etc. Ancora peggio è che i problemi continuano a crescere in modo esponenziale, rappresentando quindi un fallimento totale. In ultimo ma non per importanza, con un immenso sperpero di denaro pubblico.
Credo che sia arrivato il momento di adeguarsi ai tanti lavoratori di tante attività sociali e produttive, che quando le cose non vanno si sciopera. E’ ora che tutti i cacciatori che operano nel controllo delle specie selvatiche problematiche smettano in tutta Italia di effettuare tale attività, questo anche e soprattutto per solidarietà a quelle province dove per i motivi elencati si è impossibilitati a tali controlli.
Quindi in definita quattro azioni immediate:
1) Stop al controllo in tutta Italia della fauna selvatica problematica da parte dei cacciatori;
2) Che di questi controlli se ne occupino gli animalisti e gli ambientalisti, con le loro proposte ed i loro sistemi, ma chiaramente anche con i propri soldi ed i propri volontari, anche loro chiaramente abilitati secondo i crismi correnti: appositi corsi. (ci sarà da ridere alla verifica dei risultati);
3) Adoperarsi per le vie legali verso quelle Amministrazioni che non ottemperino o che non producano risultati tangibili in materia di controllo delle popolazioni di fauna problematica.
4) Che i risarcimenti dei danni vengano pagati da chi si oppone immotivatamente, salvo che questi si prendano la responsabilità di azioni alternative per la risoluzione del problema. (anche in questo caso vogliamo vedere i risultati).
Un documento che tutte le AAVV dovrebbero stilare uniti e solidali e da inoltrare a tutte le Amministrazioni competenti: Ministero Politiche Agricole, Ministero Ambiente, Regioni e Province.
La fauna selvatica ovunque nel mondo è considerata una risorsa, da noi purtroppo delle volte e per certi versi è un problema ed una immensa remissione economica.
Se questo modello di comportamento fosse applicato alla gestione di un azienda privata, i risultati sarebbero fallimentari, con conseguente licenziamento dei responsabili. Da noi, cosa si aspetta?
Stefano De Vita