Di questi tempi, fra covid e guerre alle porte, sempre più spesso ci troviamo a riflettere sulla nostra esistenza e su come funzione il mondo, fra la vita e la morte, sul rapporto fra noi e gli altri, e - da cacciatori - sul legame fra noi e gli animali, l'essenza della vita, "...l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva...", come dice Leopardi.
Chi siamo noi?, vien da chiedersi. Chi siamo come uomini, chi siamo come cacciatori? Qual è il nostro ruolo nel mondo? Quale nei confronti della natura e degli animali?
Secondo Charles Stepanoff, antropologo francese di chiara fama, ad esempio, i cacciatori sono più preoccupati per le fragilità della natura di quanto creda la maggior parte della gente. Sono i primi testimoni e il loro rapporto con l'animale non è fatto solo di cieca predazione. Anzi. Sono i più sensibili alla difesa dell'ambiente e degli animali. Secondo lui, i danni all'ambiente e al patrimonio naturale li fanno proprio coloro che a parole professano il benessere animale. In altre parole, chi più idolatra gli animali, più distrugge il loro ambiente.
In una sua indagine, Stepanoff considera i cacciatori della periferia della metropoli parigina, che praticano la caccia regolamentata, molto più “ecologisti” delle popolazioni siberiane dedite alla caccia per sopravvivere.
Gli fa eco lo scrittore, soggettista e regista messicano Guillermo Arriaga (autore fra l'altro de "Il selvaggio", storia di un legame fra un bambino e un lupo): "La caccia - dice - è un rito profondo, doloroso e con una componente sacra. Io mangio per metà dell'anno quello che caccio io, con arco e frecce. Ho profondo rispetto di quel cibo perchè conosco il dolore che c'è nel sacrificare una vita. In quel tipo di caccia l'animale può fuggire, e salvarsi: la mucca, il pollo, il maiale no. Pensiamoci quando mangiamo. La caccia ti permette di entrare nella natura che è dentro di noi, e di capire meglio la natura umana".
Rovesciando le parti, volendoci mettere nei panni degli animali, uno spunto ce lo dà anche la ricercatrice Giulia Corsini, che di recente si interroga sui loro sentimenti, che a suo dire comprendono anche l'odio. E cita uno dei più celebri esperimenti dell'etologo olandese Tinbergen sullo spinarello, un piccolo pesce d'acqua dolce: Il maschio, nel periodo riproduttivo, acquisisce una vivace livrea rossa sul ventre, ma che - secondo il noto etologo - diventava irrequieto quando passava il furgone del postino, che dalle sue parti era di colore rosso, scambiandolo per un concorrente in amore. Un po' come succede ai pettirossi e a mille altri animali, conferma la Corsini, che conclude: "Anche agli animali gira il cazzo, e diventano cattivi, lo fanno per il territorio, lo fanno per le risorse, lo fanno per la riproduzione o per mille altri motivi. E anche noi. Non vorreste dirmi che un sentimento conservativo quale l'odio non abbia una radice filogenetica comune con gli altri animali? Esiste odio ed esiste amore (spesso connessi da un filo diretto) e tutti questi sentimenti sono presenti in tutte le varie forme possibili, alcune che non siamo neppure in grado di concepire".
Lo sapeva bene anche Edward Wilson, recentemente scomparso, grande studioso del popolo delle formiche, padre della moderna "Sociobiologia", da lui tradotta in un trattato sul comportamento degli animali, che porta a riconoscere - almeno a mio avviso - che fra noi e loro, alla fin fine, c'è poca differenza. Del resto, già Fedro, duemila anni fa, con le sue favole aveva inquadrato i comportamenti umani raffrontandoli a quelli degli animali. Da allora la scienza - al contrario della natura - ne ha fatti di salti, ma ancora sia noi sia gli animali (e le piante? e gli altri esseri viventi?) siamo soggetti al comportamento dettato dalla singolare combinazione dei geni (ereditati) e dagli stimoli acquisiti dall'ambiente in cui sia noi, uomini, sia loro , animali, ci muoviamo e... facciamo esperienza.
Antonio Rocca
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