I loro nemici sono i campi spremuti a forza di diserbanti, i fumi delle fabbriche, il cemento che divora le campagne. Le vere insidie per uccelli come la rondine, solo per citare la più caratteristica frequentatrice dei nostri cieli a primavera, e per decine di altre specie migratorie, sono la devastazione degli habitat, l'inquinamento e più in generale l'incuria, il disinteresse per l'ambiente ed il paesaggio, oltre che per la cultura delle tradizioni rurali e per la salute del pianeta.
Lo scenario è praticamente lo stesso in tutto lo stivale, con le periferie che si allargano si restringono gli spazi naturali per i selvatici, sostituiti sempre più da specie che ben si adattano alle città, sempre più sporche e inquinate. Non bastassero le cause antropiche, a dare un'accellerata al tutto ci pensa la natura, con i suoi meccanismi di adattamento tanto più violenti quanto veloci e violenti risultano le modifiche a clima e habitat. Gli uccelli che meglio si ambientano nel contesto cittadino, che sanno bivaccare tra i rifiuti dell'uomo e approfittano del calore della città, proliferano. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, basta fare una passeggiata in centro per avvistare in ogni angolo corvi, gabbiani, gazze, storni, piccioni e perfino pappagallini esotici in numeri davvero impressionanti.
Uccelli ultra protetti, specie se in un contesto metropolitano. La legge, nella maggior parte dei casi, impedisce di agire subito, se non presentando una sequela di scartoffie e certificazioni mai del tutto inappuntabili. Con quel che può comportare, anche a livello di immagine, un eventuale ricorso al Tar degli animalisti, con annesse campagne stampa sostenute dalle associazioni ambientaliste (che per l'occasione indosseranno le vesti della loro retorica irrazionale) le amministrazioni scelgono di non avventurarsi nei meandri di direttive e deroghe e semplicemente rinunciano a quei contenimenti che, se sistematici, sarebbero in grado di mitigare la sproporzione in termini di quantità tra una specie e l'altra.
Storni, piccioni e cornacchie sempre più prendono il posto di allodolole, passeri, usignoli e rondini, che fino a qualche decennio fa erano i veri protagonisti delle campagne e dei paesini di provincia. C'è una stretta correlazione tra la crescita dei primi, quasi tutti animali opportunisti, e il declino degli altri, uccelli più che altro insettivori, specializzati nel volo su lunghe distanze e quindi migratori. E' una vera e propria guerra, dove gli scontri corpo a corpo sono all'ordine del giorno. I gabbiani attaccano i piccioni, le cornacchie i passeri, i pappagalli le upupe e gli assoli. Ed essendo spesso i primi più grossi, più aggressivi e assai più numerosi, i secondi soccombono o semplicemente cambiano destinazione.
Gli uccelli in netta crescita sono quelli più furbi e maggiormente inclini all'adattamento, sia in termini di habitat che di alimentazione. Gabbiani e storni, per esempio sono ormai presenti ovunque, con conseguenze immaginabili in fatto di danni alle attività umane, ma soprattutto alle altre specie avicole. Lo storno soprattutto, da grande migratore si sta trasformando in specie stanziale: in molte città, soprattutto del centro sud lo si può trovare tutto l'anno, concentrato in enormi stormi chiassosi e voraci. Da non sottovalutare anche il problema dei pappagalli parrocchetti, in particolare in alcuni quartieri di Roma, dove pochi individui liberati in natura da chi non voleva più tenerseli in casa, si sono moltiplicati, e hanno pian piano occupato il posto delle civette e delle taccole. In drastico calo i passeri autoctoni (probabilmente hanno risentito più degli altri gli effetti dell'inquinamento), le rondini, che non trovano più né cibo né tetti dove nidificare, e l'usignolo, il cui canto melodioso sta diventando ormai un lontano ricordo. Certamente qualcosa si può ancora fare per rimediare al pasticcio che noi stessi abbiamo creato. Ma per farlo non basta che qualche studioso presenti i suoi dati. Occorre che questi rispecchino una condivisa concezione della gestione della cosa pubblica (quale risulta essere per legge la fauna selvatica), nel senso più alto, ovvero rispettando gli equilibri ambientali e quelli della nostra specie, per una volta magari, integrandoli tra loro.
Altro che la caccia. L'impatto dei cacciatori sulle specie avicole (ovviamente qui parliamo di quelle cacciabili, la rondine non lo è) è irrisorio e scientificamente sostenibile, tanto che nemmeno gli ambientalisti sono mai in grado di affermare il contrario e il più delle volte se presentano dati e statistiche nemmeno ci provano, preferiscono aspettare di sentirsi un po' meno razionali e ricorrere al lessico delle fiabe. Ma questo, i cacciatori, lo sanno fin troppo bene.
Cinzia Funcis
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