Me ne rendo conto. È difficile capirlo. Faccio un passo indietro. Spiegarlo è più grande di me. Perchè se fosse una favola, Perrault mi avrebbe preceduta, se bastasse una poesia, versi endecasillabi e figure retoriche l'avrebbero raccontato, se fosse una magia, sarebbe brillata come un'esplosione. Sarebbe per assurdo stato semplice! Non è semplice invece spiegare cosa è vivere la vita di una bambina che nasce e cresce tra i cacciatori: una favola. Una poesia. Una magia.
Sono conosciuta per essere una che non si preoccupa di fare proselitismo: mi basterebbe che ognuno si occupasse del suo; ho slanci chiassosi e plateali, è vero, ma il sentimento è così intimo che non meriterebbe di essere messo in piazza. Non ho nemmeno i mezzi per farlo. Eppure mi sento costantemente sotto esame, interrogata, giudicata da chi vorrebbe che io non avessi questa passione. E se la cosa, devo ammetterlo, in realtà poco mi cambia, dall'altro lato è fastidioso. Sgradevole come mani poco premurose che frugassero continuamente nel mio ego.
Io non lo so se cresce più la voglia di tacere o la voglia di parlare. Però una voglia di sicuro c'è. E sarebbe la voglia di alzare le braccia al cielo e poter far sentire cosa esce dal cuore. Cosa di bello c'è in un bambina che nasce tra i cacciatori.
Faccio esplodere la realtà, è chiaro. Le mie parole scoppiano nella testa come fossero coriandoli colorati, ma non so fare la cronaca di una vita che è stata favola, poesia e magia. Non interessa a nessuno poi. Però se ci fosse anche solo una persona a cui interessi una storia che non sia Bamby e animaletti parlanti, io ho voglia di raccontarla.
Ecco. Facciamo così. Non è né voglia di tacere, né voglia di parlare. Ora è voglia di inventare. Mi invento tutto, così nessuno ha da ridire.
C'era una volta una bambina, che nacque in una famiglia attraversata dalla caccia. Non toccata, attraversata proprio; dove la quotidianità non era tale se non comprendeva stivali impantanati davanti alla porta, una cartuccera arrotolata meccanicamente, senza pensarci,e appoggiata al primo mobile trovato, bossoli estratti dalle tasche e l'odore di polvere da sparo aprirsi invisibile nella stanza, farsi spazio nelle narici e arrivare alla testa.
Tanto che chiudendo gli occhi lo si può ancora sentire.
Facciamo che questa bambina si chiami Eleonora. Per semplicità.
Eleonora vive in questa casa in campagna, dove d'estate cammina scalza tutto il giorno e gattona tra i cani, gioca a “mamma-casetta”, fa una zattera per navigare nei fossi ma che non sta a galla, costruisce una canna da pesca senza amo, fa i vestitini alle bambole poi le porta in giro col trattorino, annoda una cinghia per il suo fuciletto, ha un ranocchio che si chiama Filippo, tira i gatti in un carrettino, a cinque anni sa già leggere e porta un libro nel cestino della bici.
Eleonora è quel genere di bambina che non ha bisogno di andare allo zoo per sapere quante zampe ha un pollo. A casa di Eleonora è tutto un via vai di cacciatori, di gente che ride o che impreca, di cacciatori grandi e grossi che fumano attorno al tavolo, di domeniche di pioggia dove “vengono i tósi a fare cartucce” , di sguardi sempre rivolti al cielo o alla campagna per vedere se “c'è qualcosa”.
C'erano, come in tutte le fiabe, dei personaggi particolari. Ed anche Eleonora ne aveva uno di preferito. Era preferito perchè spesso arrivava a casa sua con una busta nella tasca, di quelle della banca, con la finestrella trasparente. Il contenuto della busta sembrava essere ogni volta più scottante. Ma non era il bottino di un estorsione né dosi di droga. Era semplicemente il frutto della naturale regolarità di qualche lepre... ma Eleonora “quello con le popò delle lepri” lo adorava e si metteva in piedi sulla sedia per vedere.
Come a poker, il contenuto della busta veniva svuotato sul tavolo. La mamma brontolava portando “almeno” un quotidiano da metterci sotto, e si apriva un dibattito sul sesso, età, peso della lepre; poi arrivava con i bicchieri, con il vino, e stai pur certo che anche lei dopo aver fatto un giro apparentemente distratto del tavolo emetteva il suo verdetto: “femmina!”. E giù quello che dice hai visto che lo dice anche lei, e l'altro ma di cosa vuoi che sappia lei che è una donna, e l'altro ne sa più di te, e lei che soddisfatta di aver smosso il vespaio tornava ai fatti suoi.
Quando apre la caccia è come salire in giostra, e la giostra gira fino a gennaio veloce.
La mamma di Eleonora, è diversa dalle altre mamme. Perchè a differenza delle altre mogli lei la passione del marito non la subisce o accetta: la conosce e la vive quasi come se ci andasse anche lei.
E allora, se non lo è per la mamma, non c'è nulla di sbagliato se il papà la domenica a pranzo non c'è, se la sera si addormenta presto sulla poltrona esausto, se le cene con gli amici sono cene dove ci sono tutti cacciatori.
Quando il papà aveva il capanno dietro casa per le cesene la mamma spendeva le mezz'ore a vestire Eleonora, che di sicuro inciampava nella terra gelata ma altrettanto di sicuro rimbalzava! La guardava finchè non spariva inghiottita dai rami, e la sentiva gridare “papà! Sono qui anch'io a caccia!”. Berretti col ciuffo e piumini rosa confetto non giovavano al mimetismo, ma qualcuno sussurra che al papà non importasse poi molto del carniere in quei momenti e che fossero giornate di caccia a loro modo impareggiabili...
Qualche volta succedeva invece che la mamma aprisse la finestra della camera per far sentire ad Eleonora i segugi sulla lepre, a qualche chilometro di distanza. E si sentivano quasi come fossero lì.
Crescendo poi, appena a casa da scuola, partiva con la bicicletta e portava la merenda al papà nel capanno o la domenica si andava a caccia sui colli, con due succhi di frutta nel marsupio, uno per ciascuno.
Poi le ha lasciato sparare i primi colpi. Ci si accordava senza troppi discorsi. E sparavano nelle direzioni opposte su quei rami. Nessuna esitazione, un colpo, quella leggera sensazioni di colpa, di nuovo nessuna esitazione, e l'esultare chiedendo ogni volta “hai visto che l'ho preso?”.
E più grande ancora la vita si è arricchita di altre cose, della scuola, degli amici, dei motorini, delle nottate con le amiche, dei libri, ancora della scuola, dei tacchi, delle liti, delle delusioni, dei sogni, delle responsabilità. Piano piano si sono attaccati tanti altri elementi, ma il ritmo era ed è ancora scandito da quella quotidianità dall'odore pungente.
Lo sapete. Quell'odore che rimane sui pantaloni dopo la caccia. E quel fresco che si ferma dietro la nuca, quando pieghi la testa e un colpo di vento si infila proprio dentro il bavero. E quel rumore. Che per pigrizia diciamo è silenzio. Ma chi va a caccia lo sa che non è per nulla silenzio, è solo mancanza di voci, ma il rumore è ben pigiato addosso a tutto quello che hai attorno.
Eleonora in tutto questo non è stata una bambina e non sarà una donna a cui manca qualcosa, come vorrebbero far credere i cattivi di questa fiaba. Non è vero che è cresciuta tra gli ignoranti, che non ha sensibilità, che non ama gli animali e l'ambiente. Tutto il contrario. Era una bambina speciale cresciuta in un mondo magico, non dimentichiamocelo....
Avevo proprio voglia di inventare una fiaba. Chissà che qualcuno abbia voglia di raccontarla a qualche bambino, tra la canzoncina dei leprottini che “aiuto-aiuto il cacciatore mi vuol sparar!” (cito testualmente una canzone che viene insegnata all'asilo) e un cucciolo di capriolo rimasto senza mamma perchè i cacciatori gliel'hanno ammazzata (che raccontata così fa piangere anche me...), sottolineando sempre che si tratta di una cosa inventata.
Bisogna sottolinearlo questo. Mi appello agli opinionisti televisivi che si interessano di caccia\cacciatori e a quelli che pur non essendolo danno le loro (mai chieste) opinioni. Se mai dovessero leggere questa storia dell'orrore. Mi raccomando. Ditelo.
Che solo la mente malata di qualche visionario insonne poteva partorire una fantasia così assurda come quella di una bambina che conosce e ama la caccia eppure vive con gli animali, nella nebbiosa natura padana, in una famiglia serena, una bambina che legge e scrive, che va pure bene a scuola. E poi crescendo va a caccia lei da sola. Senza che le venga la gobba, i baffi e viva nella palude a staccar la testa alle rane.
Mi raccomando. I bambini devono crescere con principi sani. Realistici soprattutto.
Non dovrà mai succedere a nessun bambino figlio del progressissimo nuovo millennio che il primo giorno di scuola dica con orgoglio alla maestra come prima cosa, prima ancora di trovare posto nel suo banchetto,“sai che il mio papà ieri ha ucciso una lepre?”. Se malauguratamente qualche disgraziato di un bambino lo dovesse dire non dovrà mai succedere che la maestra possa rispondergli qualcosa di diverso da “poverino! Com'è cattivo e crudele il tuo papà!”. E il vostro bambino dovrà piangere, e appena a casa dire “papà sei un assassino!”.
Eleonora è pure invenzione. Non esiste che un bambino o un adulto possa riuscire a capire il giusto valore della caccia e il suo legame indissolubile con la natura. Non è reale.
E infatti solo perchè è invenzione, una bambina di sicuro sciocca, superficiale, mai arguta né sensibile, Eleonora a quella maestra ha risposto fiera “domenica ha detto che mi porta a caccia con lui” ....
Tutti noi che siamo diventati cacciatori con la nostra personale fiaba nel cuore da raccontare. Noi, con un tesoro che nessuno ci ruberà mai.
Noi che sappiamo, noi sì possiamo dirlo: “...e vissero tutti per sempre felici e contenti!”.