Sempre più spesso, confrontandomi con amici o colleghi che si occupano d’informazione a livello professionale, arrivo alla conclusione che uno dei grossi problemi della caccia (sicuramente uno dei più gravi) è quello di non riuscire, per mancanza di volontà o di capacità organizzativa, ad uscire dal ristretto ambito degli strumenti d’informazione di settore per andare a colloquiare e a confrontarsi con la così detta “gente comune”.
Tutte le volte che mi è capitato di parlare della caccia attuale, basata su seri criteri scientifici di prelievo degli interessi o comunque di una caccia “buona”, che porti a compimento un prelievo sostenibile, con persone intelligenti e prive di pregiudizi (per i contro a prescindere, i talebani rappresentanti dell’animalismo più ignorante, non si può fare nulla), la naturale avversione presente in ogni individuo che possegga un minimo di sensibilità, con intensità differente, verso un gesto così violento come quello di dare la morte, si è presto trasformata prima in curiosità, poi in comprensione, quando non di condivisione dell’idea che la caccia, quando rispetti i requisiti espressi poc’anzi, può sicuramente sopravvivere.
Ma per andare a colloquiare con la gente comune a testa alta bisogna innanzi tutto avere la capacità si spiegare le cose in maniera civile e non lanciare i soliti slogan violenti e arroganti (gli slogan sono stati coniati ad uso e consumo di coloro che non hanno la capacità di esprimere idee proprie per mancanza di materia grigia), zeppi di demagogia; poi, requisito assolutamente indispensabile, non bisogna avere scheletri nell’armadio, bensì una coscienza cristallina.
Il buonismo e il populismo che hanno impregnato per anni (e non è ancora finita) quasi tutte le iniziative e le battaglie portate avanti dalle associazioni di settore, nell’affannoso, inutile, stupido tentativo di non scontentare nessuno, difendendo pratiche venatorie oggettivamente indifendibili, ci hanno portato all’attuale situazione di stallo, dalla quale la caccia “buona” non riuscirà ad uscire se non sarà in grado di sdoganarsi da tutte quelle pratiche venatorie, ma anche gestionali, che non sono compatibili con una caccia consapevole, che guardi al futuro. E questo sdoganamento, se non verranno prese dagli organi preposti decisioni davvero impopolari, ma necessarie, non potrà mai avvenire.
In questo senso vorrei chiarire un equivoco ancora troppo presente nel nostro specifico mondo di cacciatori a palla o di selezione, come piace a molti dire in modo non corretto (la caccia a palla è uno strumento che può essere usato per praticare la caccia di selezione ed è quello che offre maggiori garanzie, almeno fino a priva contraria, ma non possiamo ritenere a priori che sia l’unico). Il prelievo selettivo (che vuole dire essenzialmente scelta del capo da abbattere) è stato il nostro biglietto da visita, speso malissimo, per la caccia del terzo millennio: molto comodo e politically correct asserire che la caccia di selezione si sostituisca ai predatori naturali, che il prelievo messo in atto sia rivolto esclusivamente agli individui vecchi e malati e che lo stesso prelievo sia in grado di migliorare lo status delle popolazioni animali; molto comodo, ma anche non scientificamente sostenibile oltre che estremamente pericoloso! Le bugie hanno le gambe corte recita un vecchio proverbio e quando si mente (magari anche in buona fede) così spudoratamente prima o poi la si paga; e la stiamo già pagando.
Il lupo ha ricolonizzato quasi tutto l’Appennino e gran parte dell’arco alpino e gli avvistamenti di linci sono sempre più frequenti (ed ecco smantellata la prima necessità dell’uso della caccia di selezione), i piani di prelievo prevedono, correttamente, a prescindere della specie, una quota di animali giovani prossima al 30% (e anche il secondo cavallo di battaglia va a farsi benedire) e in alcune zone della Penisola, dove la caccia di selezione ha tradizioni antiche, si è toccato con mano che un prelievo non perfettamente tarato può (in concomitanza con altri problemi sanitari e/o d’interazione con altre specie, che sono però fattori naturali) creare grossi problemi di sopravvivenza a una specie con una grande capacità di adattamento e dal veloce ripristino dell’effettivo numerico dopo problemi sanitari e/o di altra origine come il capriolo (e con questo abbiamo debellato le giustificazioni - perché in realtà questo sono - alla caccia di selezione).
Quindi, assunti questi fatti oggettivi, come possiamo sostenere ancora le vecchie tesi senza correre il rischio di essere smentiti? Meglio, molto meglio smetterla di mentire e iniziare a descrivere (anche) la caccia a palla per quello che è: un’attività ludica, possibile, certo, solo se pone in essere un prelievo sostenibile, ma non certo necessaria. A chi giova quindi la caccia di selezione? Giova a tutti noi, in quanto è in grado di selezionare in modo accurato (o almeno dovrebbe farlo) chi la pratica e non certo la popolazione animale a cui la si applica.