Percorso tortuoso e probabilmente tempi lunghi per la nota risoluzione - presentata in commissione agricoltura del Senato dall'on. La Pietra, sulla quale in molti, da destra a sinistra, si sono tanto accapigliati per sostenerla quanto per lasciarla sprofondare poco dopo nel dimenticatoio, pressati forse dalla ricerca di soluzioni più sbrigative che tuttavia portano voti. Chissà chi l'avrà ispirata, questa risoluzione.
Certo è che è abbastanza circostanziata, anche se non pone abbastanza in luce alcuni aspetti del sistema gestionale del territorio italiano che invece necessiterebbero di migliore attenzione. Minimo, nella premessa, è infatti il cenno alla "mancata gestione delle specie all'interno delle aree protette", vera causa della proliferazione del cinghiale, insieme - bisogna dirlo - alla ormai rara presenza antropica in gran parte dell'Appennino, salvo appunto il benefico e unico apporto dei cacciatori, e non solo per la gestione del cinghiale.
D'altro canto, un bel branco di cinghiali, al sicuro durante il giorno all'interno dei confini di un parco (adesso ci si è messa anche la Presidenza della Repubblica che implicitamente ha denunciato un forte esubero nei parchi presidenziali), fa presto nelle scorrerie notturne a far fuori per esempio qualche decina di quintali di granturco maturo.
Siamo - dicono - il paese delle emergenze (sembra che rendano di più ai soliti noti), tanto che molti problemi non più rimandabili vengono risolti con l'abuso di decreti legge, invece che con soluzioni concertate con i cosiddetti portatori d'interesse. Poi c'è l'equivoco di fondo. Si continua a girare intorno al "danno", facendo finta che l'obiettivo non sia invece quello della "risorsa". Cacciatori e agricoltori ben lo sanno, ma ci si perde su discussioni che si limitano alla questione delle competenze: squadre di cinghialai, selettori, agricoltori, filiere della carne. E fin che va così, gli ambientalisti si limitano a denunciare chi tira in ballo, invece del cinghiale, il lupo, che se si procede di questo passo (senza decidere) sicuramente inciderà molto più degli ungulati sulle economie rurali. Anche perchè, mentre l'Europa autorizza piatti a base di tarme della farina, la carne di lupo (o ibridato col cane randagio che sia) non credo faccia gola a nessuno, da queste parti. Non si capisce poi come si farà - seguendo le indicazioni della risoluzione - a reintrodurre il "tipico" cinghiale maremmano, quando dagli ultimi rapporti si parla di due forse tre milioni di cinghiali sul territorio, ormai frutto di accoppiamenti con tutto quello con cui c'era da accoppiarsi, scrofe di large white e cinta senese comprese.
Non parliamo poi di certe soluzioni, come quella di recintare campi e pascoli. Avete un'idea di cosa costerebbe a un paese dissestato finanziariamente come il nostro, mettere al sicuro prosciutti, bresaole, fiorentine, barolo e brunello e Senatore Cappelli da lupi, cinghiali e caprioli? Senza contare gli storni che fanno man bassa di olive, ciliege e altri frutti.
Insomma, abbiamo capito dalle grancasse dei media che c'è un'emergenza, ma non siamo convinti che gli strumenti prospettati possano risolvere il vero problema degli squilibri nel rapporto fauna selvatica (troppa o troppo poca) e territori. Almeno fino a quando si continuerà con le solite ipocrisie dell'ambientalismo nostrano che ha ormai condizionato l'opinione pubblica e tutte le forze politiche. Da qui in avanti, non servirà più nascondere la polvere sotto il tappeto e additare la caccia come comodo capro espiatorio. Si dovrà aguzzare l'ingegno alla ricerca di vere soluzioni, non ultima quella di ripensare anche questa agricoltura, che non dico di Columella, ma nemmeno di Giuseppe Medici ha conservato alcunchè.
Alessio Corsaro
Note: Lucio Giunio Moderato Columella, vissuto nel primo secolo dopo Cristo, scrisse il primo trattato di agricoltura (De re rustica). Giuseppe Medici, professore universitario e parlamentare, fu Ministro dell'Agricoltura nel 1954 e sostenitore della riforma agraria dell'ultimo dopoguerra.
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