Foto Giordano Tognarelli
Il nuovo governo si è insediato e cercherà di portare a termine questa legislatura sulla base di un programma condiviso da Pd (ormai uno e trino) e M5S. Uno dei cardini su cui si basa l'intera tenuta del Governo, stando alle dichiarazioni dei primi giorni e, appunto, a quel programma, è la “protezione dell'ambiente e della biodiversità”. Il nuovo esecutivo, infatti, intende realizzare un “Green New Deal”, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire ambiente e biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale.
Sulla carta niente di più giusto... Quanto a tutela della biodiversità e dell'ambiente, qui ne sappiamo qualcosa. Il popolo dei cacciatori – e le prove sono schiaccianti – con le sue migliaia di organizzazioni, circoli, associazioni, ne è protagonista ogni giorno con tantissime iniziative. Dalla manutenzione dei sentieri e dei boschi, alla tutela di delicati habitat altrimenti lasciati in stato di degrado, fino alla massiccia e capillare presenza sul territorio che permette per esempio di dare immediato allarme in caso di incendio (funzione apprezzata dalle pubbliche amministrazioni, come testimoniano le tante convenzioni stipulate in tutto il territorio), collaborare alla ricerca di persone scomparse (la Protezione Civile si avvale spesso e volentieri dei cacciatori per le ricerche), aiutare animali in difficoltà e persino - udite udite! - denunciare crimini nei confronti della biodiversità, commessi da personaggi senza scrupoli, che a volte magari si fregiano anche di distintivi prestigiosi. Se ne può parlare quanto si vuole ma la verità è che la caccia, come è da noi regolamentata, è la soluzione, forse l'unica, in grado di contenere fino al fisiologico le azioni di bracconaggio.
C'è poi la funzione più ovvia, che consiste nel controllo di quella fauna più o meno selvatica che un tempo era annoverata nella categoria delle specie più nocive (termine sicuramente appropriato; come altro dovremmo definire uno stuolo di cornacchie fameliche che si pappa intere covate? O le volpi che fanno manbassa di selvaggina?) o nell'attuare quei principi ultra collaudati e scientificamente inappuntabili della caccia di selezione, per garantire la buona salute di una certa popolazione di ungulati in un dato territorio.
Queste sono le buone pratiche garantite dalla caccia che dovremmo far pesare sul piatto della bilancia quando i nostri concittadini parlamentari pretendono di dettarci nuove regole. Queste sono argomentazioni che non possono essere scalfite, e che, a dispetto di ciò che qualcuno vuol far credere, sono elementi fondanti anche delle Direttive Ue che si occupano di ambiente e diversità biologica, le quali riconoscono nella figura del cacciatore uno dei pochi soggetti attivi e utilmente impiegati a protezione della nostra fauna e dei nostri territori. E a costo zero, anzi, a vantaggio dell'erario.
L'attività venatoria è, per tutti questi motivi, un fenomeno sociale non paragonabile a nessun altro. Ha un grande valore culturale ed educativo, visto che è capace di grandi slanci verso il prossimo (ci sono iniziative di solidarietà ovunque, anche poco o per nulla pubblicizzate, il che dimostra la sostanziale buona filantropia), forma generazioni di appassionati naturalisti e per sua natura ha bisogno di un ambiente che sia adatto alla selvaggina. Quante altre attività possono vantare altrettanti valori? Gli ambientalisti, Impegnati a incamerare risorse pubbliche per auto sostenersi? Gli agricoltori, obbligati a produrre a costi sempre più bassi per riempire a camionate gli scaffali dei supermercati? Gli escursionisti della domenica? I “metropolitani” che si trasferiscono in campagna dopo una vita passata tra il traffico quotidiano e i centri commerciali nei fine settimana e che nulla sanno della natura?
Emblematico a tal proposito il caso diffuso dalla stampa negli scorsi giorni (ne ha parlato perfino il New York Times!), sviluppatosi in Francia attorno all'assoluzione della padrona di un gallo, il cui chicchirichì mattiniero disturbava il sonno dei vicini, condannati poi a pagare le spese processuali, perché in campagna, da che mondo è mondo, i galli cantano al sorgere del sole, e non ci si può fare proprio nulla. Questa vicenda fa il paio con un'altra causa simile che coinvolge un allevamento di oche per la produzione di Foie Gras nelle Lande. Anche qui dei neo vicini ex cittadini hanno denunciato la proprietaria dell'attività, trovando peraltro l'appoggio degli animalisti. Come per la storia del gallo il caso ha aperto il dibattito in Francia sui frequenti scontri fra abitanti autoctoni e nuovi residenti delle campagne, ignari di tutto, e spesso troppo arroganti. A favore dell'allevamento si è mosso il sindaco della cittadina (Soustons) ribadendo che: "qui, come altrove in Francia, è assolutamente necessario preservare le caratteristiche del mondo rurale, che si tratti di agricoltura, pesca, allevamento e caccia". Morale della favola; prima di andare a vivere in un ambiente rurale, forse servirebbe un periodo di rodaggio e di avvicinamento graduale alla vita e alle tradizioni di questi luoghi, per capire che da secoli, se non da millenni, la vita delle comunità che vi abitano dipende da esse, caccia compresa.
Foto Giordano Tognarelli
Torniamo al programma di Governo. Al punto 27 si parla appunto di valorizzazione dei territori, anche attraverso il recupero delle più antiche identità e delle tradizioni locali. Ebbene, qualsiasi evento che meriti l'appellativo di tradizionale ha nel suo DNA la caccia. Anche in Italia miriadi di feste popolari che risalgono alla notte dei tempi, e immancabilmente sono rette dalla passione per la caccia che ancora alberga nelle migliaia di borghi del nostro paese. Sarebbe l'ora che venissero considerate per quello che, fino ad oggi, per secoli sono state, mantenendo vive le nostre radici culturali, le nostre comunità, i nostri valori.
Così succede in Francia, in Spagna, in tutta la Mitteleuropa, nel Regno Unito, nell'Europa dell'Est. Per quello che ci riguarda, ma in genere in tutta l'Europa mediterranea, tutto questo esiste ancora grazie all'amore, alla passione per le cacce tradizionali, tanto vituperate quanto indispensabili. Sarà indispensabile pertanto un approccio che tenga conto della realtà contemporanea, fatta di ricerche storiche, culturali, sociali. Molto stiamo facendo, altrettanto si dovrà fare per far comprendere ai nostri ignari concittadini anche gli argomenti più spinosi, come certe forme di caccia alla migratoria, la cattura di uccelli da richiamo, il loro utilizzo nel rispetto della loro integrità. Per sostenere a testa alta e senza alcuna vergogna, che quelle tradizioni popolari oggi attaccate e vituperate sono totalmente sostenibili. Superare nel contempo la farsa di certi prelievi autorizzati in deroga nei confronti di specie che non soffrono di alcuna criticità. E le disparità di tempi fra realtà contigue, determinate solo da un confine di stato e da cervellotiche interpretazioni, dettate dal livore ideologico.
Poi c'è il concetto di piccole quantità, tanto aleatorio, oggi, quanto strumentale. Si definisca una volta per tutte, gli strumenti per farlo ce li abbiamo. Basta volerli utilizzare. Noi, volendo, siamo anche in grado di surrogare pelose ritrosie. E infine, a fronte di un ambientalismo sempre più animalismo, dettato da motivi di cassetta, c'è il grave problema degli anticaccia, che si alimentano di allarmi ingiustificati, lucrano sul pietismo più becero, rispondono a logiche per se stesse contraddittorie. Bufale, insomma.
Se ne sono dette tante in questi giorni. E di certo per il mondo venatorio la riconferma di un Ministro come Costa, platealmente allineato con le associazioni animaliste, non è una buona cosa. Fortunatamente a controbilanciare all'agricoltura c'è una donna carismatica come Teresa Bellanova, che non è certo contraria alla caccia. Bisogna comunque vigilare e alzare la testa. Se necessario scendere in piazza, se capiremo che questo ruolo salvifico della caccia sarà di nuovo messo all'angolo e sacrificato in una sorta di corsa suicida a favore dei capricci animalisti. Sulla tutela degli animali, siamo tutti d'accordo, ovviamente. I cacciatori prima di tutti. Purchè si tenga conto che la nostra legislazione è di sicuro fra le più avanzate d'Europa e certamente più rigorosa di quanto impongono le direttive comunitarie al riguardo.
In chiusura, immancabilmente, aleggia lo spettro dell'842, spauracchio che alcune ben individuate forze pseudo filantropiche cavalcano da quasi mezzo secolo. La "conversione" di Pratesi è di metà degli anni sessanta. Non c'è disegno di legge, o quasi, in Parlamento, che non contempli l'abrogazione di questo articolo del Codice Civile che fino ad oggi ha consentito nel nostro paese una innegabile caccia popolare. Probabilmente unica al mondo. Occorre vigilare affinché, a una possibile ripresa dei lavori su questi temi, certe minacce vengano definitivamente accantonate. Per questo, anche fra le nostre file occorre una sana lungimiranza.
Cinzia Funcis