È alto una settantina di centimetri, lungo poco più di un metro, pesa oltre venti chili e d’estate ha un colorito rossiccio. State in guardia, è un capriolo. E sta devastando le campagne italiane. Non se ne può più: lo hanno segnalato, con una serie di clamorose prese di posizione, diverse associazioni agricole di categoria. I caprioli, sembra, ci priveranno, per esempio, dei più pregiati vini italiani.
In una provincia Emiliana si sono persino, pare, raccolte firme per intervenire drasticamente sulle popolazioni. Con una petizione che su diversi blog e siti internet di ambiente venatorio suonava così: «Siamo invasi dai caprioli: 51.000 esemplari sul territorio. Portano le zecche, danneggiano le auto e l’agricoltura… Oltre 3000 firme raccolte in pochi giorni.»
Io, che vivo in una regione (il Trentino Alto Adige), dove l’agricoltura di pregio (frutteti e vigneti) convive da molti decenni con alte densità di ungulati, primo fra tutti il capriolo, sono rimasto abbastanza perplesso. Non avevo sentore di questa calamità a quattro zampe.
La questione dei danni causati dalla fauna selvatica all’agricoltura è però concreta e, giustamente, sentita. Se ne parla anche a livello scientifico e tecnico-gestionale. Non molto tempo fa si sono tenuti ben due convegni sul tema: una giornata di studi presso la prestigiosa Accademia dei Georgofili di Firenze e un incontro, organizzato da Arcicaccia di Piemonte e Liguria, con il patrocinio delle due Regioni e i rispettivi politici, nonché rappresentanti di altre associazioni venatorie, a Mornese nell’alessandrino.
Al convegno di Alessandria, la documentata relazione della dottoressa Maria Luisa Zanni (tecnico faunistico della Regione Emilia Romagna) portava una quantità di dati precisi sui danni da fauna selvatica registrati nel quadriennio 2004-2007. A me piacciono i dati, quando c’è da discutere, e questi erano illuminanti.
Se stiliamo una “classifica di colpevolezza” in quella regione, fra le sedici specie elencate, l’animale più temibile risulta essere indubbiamente lo storno (1.129.793,17 Euro di danni). Seconda, per un pelo, la lepre (1.127.669,30 Euro), terzo il cinghiale (956.901,85 Euro) e, a un passo dal podio, nutria (943.656,61) e uccelli ittiofagi (920.256,02) quasi a pari merito. Il capriolo, un dilettante, si piazza solo all’undicesimo posto (280.335,55 Euro di danni) “realizzando” poco più dei fringillidi (254.771,40 Euro), facendo una figuraccia rispetto ai corvidi (571.343,42 Euro) o al fagiano (513.037,73 Euro). Stracciato persino dai passeri e dai piccioni di città. Cervo e daino sono a fondo classifica, con le anatre.
Allora, se i danni prodotti da tutti gli ungulati (cinghiale escluso) sono il 5,1% del totale, meno di quelli provocati dal solo fagiano, perché tanto clamore e avversione riservati in particolare al capriolo?
Forse perché, a differenza di lepre e fagiano, è uno sconosciuto. O quasi.
Una specie che, seppur presente nel passato lontano, ritorna e prospera è di fatto nuova in quel paesaggio culturale. Poco familiare alle persone, difficile da comprendere. E quando succede qualche guaio… non è proprio sull’ultimo arrivato, sullo “straniero”, che si punta subito l’indice accusatore?
Con questa sommaria argomentazione (ma i dati sono dati), non si intende certo negare il problema - perché il capriolo può fare dei danni, in determinate situazioni anche significativi - ma solo esortare ad affrontarlo in modo razionale (i dati sono dati!).
Cioè con conoscenze e competenza. Per quantificare esattamente i danni, risalire con ragionevole certezza alla specie che li ha provocati, monitorarli, risarcirli equamente e soprattutto prevenirli. Magari attingendo alle esperienze fatte altrove. L’obbiettivo è, o dovrebbe essere, eliminare i danni, mica eliminare i caprioli.
Certo, la storia della gestione faunistica italiana non sempre brilla di razionalità, anzi. E il rischio di funzionali strumentalizzazioni resta sempre in agguato, lo abbiamo percepito all’istante.
Per cui, con l’aria che tira, se fossi un capriolo un po’ mi preoccuperei. E mi preoccupo anche da cacciatore che, i caprioli, li ama nel profondo.