Riparte in sordina l'assalto all'842 del Codice Civile che prevede l'accesso dei cacciatori ai fondi privati, non segnalati secondo la legge (art. 15 della 157/92). Se n'è fatta carico, di questa ripartenza, l'Accademia dei Georgofili di Firenze, organizzando una giornata di studio (La gestione della fauna selvatica ungulata tra insostenibilità dei danni in agricoltura, tutele e opportunità) su problematiche apparentemente di attualità, legate alla più o meno definita efficace "legge obiettivo" promossa dalla Regione Toscana, per dare una risposta alle lamentele degli agricoltori, che reclamano da tempo maggiori competenze sul prelievo della fauna ungulata in esubero, soprattutto cinghiali, ma non solo, ormai.
Vi hanno partecipato eminenti rappresentanti del mondo scientifico, agricolo e venatorio, che si sono confrontati sulle possibili soluzioni. Sulla scorta dei dati forniti dall'ente regione, passibili di variegata interpetazione, il mondo scientifico e quello venatorio si sono espressi di conseguenza, mentre la rappresentanza del mondo agricolo (Coldiretti, Confagricoltura, Cia) ha mostrato maggiore compattezza. Con qualche distinguo.
Secondo Coldiretti, il problema può essere risolto allargando le competenze soprattutto dell'art. 19 della legge quadro sulla caccia (...le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico artistico, per la tutela delle produzioni zooagroforestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi Ispra). Qualora l'Istituto verifichi l'inefficiacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali (oggi regionali). Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purchè muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonchè delle guardia forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio).
Secondo Cia, sostanzialmente, con qualche correttivo può funzionare la "legge obiettivo", da estendere, si presume, anche alle altre regioni che soffrono dello stesso problema.
Mentre per Confagricoltura gran parte del problema risale all'842 del C.C. (libertà di accesso ai fondi) e all'art. 1 della 157 (proprietà della selvaggina), nonchè, infine, alla legge 394 sui Parchi e aree protette, che impastoia ulteriormente una possibile e necessaria coerenza nella gestione delle popolazioni selvatiche nei territori assolutamente inibiti al prelievo (sottinteso: venatorio).
Appare dunque chiaro, checchè ne pensino governanti, ambientalisti e direttori di parchi, che il problema sta anche e forse soprattutto nella visione tipica dello struzzo, che porta ad ignorare come i veri e propri serbatoi che alimentano le lamentate scorribande predatorie nei confronti del prezioso made in italy agroalimentare siano i parchi e le aree protette. Di conseguenza, niente potrà andare a soluzione se non si interverrà drasticamente sul divieto ideologico di usufruire di una forza competente e pressochè gratutita come quella dei cacciatori. A meno che non si voglia concedere piena e totale autonomia gestionale (nel controllo e nell'utilizzo della pregiata carne) agli agricoltori. Ma non sembra al momento una soluzione praticabile.
Diversamente, apparirebbe agli occhi di molti dalla vista acuta un'opportunità da non sottovalutare quella che tenesse conto dell'indispensabile apporto dei cacciatori alla soluzione del problema. (Fra parentesi, ci sono anche le nutrie, i corvidi che fanno capolino, gli storni, e chissà quante altre specie selvatiche che potrebbero approfittare della situazione). (Fra parentesi, ci sono anche le nutrie, i corvidi che fanno capolino, gli storni, e chissà quante altre specie selvatiche che potrebbero approfittare della situazione). L'art. 1 della 157 è un macigno di difficile ma non impossibile revisione (soprattutto oggi che la richiesta di maggiori autonomie da parte dei territori risuona prepotentemente), mentre potrebbe valere - ora o mai più - la regola del do ut des (io do una cosa a te, tu dai una cosa a me), applicata alle sempre più penalizzate cacce italiane per tradizione. Nel senso che sarebbe un'occasione unica e irripetibile quella di recuperare le piccole cacce alla migratoria, con o senza le deroghe, come ci dimostrano gli infiniti esempi allogeni, ma pur sempre targati EU.
Ma cosa ne pensano le associazioni venatorie, riconosciute o non riconosciute che siano? Ci sarà il coraggio di organizzare una riscossa, unitaria vi prego, sui venticinque anni di scoppole a cui non siamo stati in grado di opporci come avremmo dovuto?
Alessandro Cosmi