L'estate torrida e la mancanza di piogge, prima dello scorso fine settimana che ha portato refrigerio e acqua un po' ovunque, hanno messo in ginocchio l'agricoltura dell'intero stivale. Nella morsa dei vari anticicloni dai nomi più improbabili (pian piano con Minosse, Caligola e Caronte, Lucifero e Nerone abbiamo rispolverato la mitologia classica) sono finite pure le fertili aree della pianura padana, dove anche le acque del Po, in area delta, ormai ben al di sotto del livello di guardia, sono diventate inservibili: visto l'abbassamento del livello, il flusso del mare le ha rese temporaneamente troppo salate per l'irrigazione. Di vera e crudele siccit�si parla, la stessa che in America ha devastato la produzione di cereali, e che da noi pare ci prenda gusto a capitare a pochi mesi dal terremoto, in piena crisi economica, annientando così gli enormi sforzi di chi cerca di risollevarsi per continuare il proprio lavoro in mezzo a cataclismi e conti in rosso. Come se non bastasse, nei pensieri attanagliati degli italiani, si aggiunge anche la piaga degli incendi. E questa, purtroppo, è già una estate da record.
Non per il caldo eccessivo e l'assenza di acqua come molti sarebbero portati a pensare (gli incendi spontanei sono rarissimi), ma per la precisa e colpevole volontà di alcuni uomini, che la stampa chiama piromani, (facendoli sembrare degli individui patologici, da aiutare), ma che sarebbe ben più realistico e d'effetto definire criminali, visto che perseguono obbiettivi precisi, approfittano della vulnerabilità dei boschi nei periodi di massima aridità. E' una storia vecchia, gli inneschi trovati sul terreno bruciato dimostrano quasi sempre l'origine dolosa dovuta essenzialmente a pratiche agricole mal interpretate che perseguono l'eliminazione delle stoppie, o pastorali (così da generare germogli graditi al pascolo) e a mire edilizie su territori boschivi, che – pur bloccati per una decina d'anni - gradualmente dopo gli incendi lasciano spazio a cemento e strutture ricettive: è così che il demanio forestale è stato sforbiciato qui e là in decenni e decenni di roghi, con la chiara complicità di amministratori pubblici, che certo non si sono fatti troppi scrupoli nell'avallare speculazioni di ogni genere.
La Forestale parla di oltre 5 mila incendi dall'inizio dell'anno con 33 mila ettari bruciati (20 mila ettari circa di superficie boscata e 13 mila circa di altro tipo di terreno). Il numero degli incendi è aumentato di quasi l'80% rispetto allo scorso anno e la superficie percorsa dal fuoco del 104%, con un incremento del 146% per quelle boscate. Quest'anno a soffrire di più sono state Sardegna, Sicilia (incenerita la bellissima Oasi dello Zingaro, vicino a Trapani), Campania, Calabria, Toscana (l'ultimo importante nel grossetano, partito dal rogo doloso di un maneggio, risultato: cavalli carbonizzati, turisti sfollati e decine di ettari di pineta marittima scomparsi), Puglia e Lazio. Le statistiche fornite dalla Forestale non lasciano dubbi: su questo tema c'è molto da fare quanto a prevenzione e vigilanza, ma soprattutto per educare i cittadini anche verso una attiva partecipazione nella difesa dei beni comuni.
Su questo fronte, insieme ai volontari della protezione civile che operano con grande merito nelle varie associazioni, un grande contributo lo danno i cacciatori che da molti anni si prestano come guardie ambientali coordinate in servizi di allerta antincendio in collaborazione con le diverse amministrazioni provinciali. Eppure c'è chi per lungo tempo ha cercato di buttare fango sulla categoria, arrivando ad accusare gli stessi cacciatori di appiccare fuochi – e qualcuno insiste anche adesso con questa balla - con l'improbabile scusa che così facendo si può sparare alla selvaggina rimasta senza protezione.
Questa tiritera è ricomparsa anche in questi giorni su giornali e tv (che al solito non si prendono la briga di approfondire): la causa del bracconaggio (che non è caccia ma attività illecita per sua natura) effettivamente viene citata nel rapporto del 2010 della Guardia Forestale sui procedimenti giudiziari risolti: il dato, è comunque irrisorio: su 140 arresti solo in 3 casi (periodo di riferimento 2000 – 2010) la causa può essere ricondotta al bracconaggio, il che appare quantomeno secondario rispetto per esempio agli eclatanti 12 incendi appiccati da addetti alle attività di spegnimento per l’ottenimento di vantaggi diretti o per accrescere il proprio ruolo, o i 52 connessi alle attività rurali e pastorizie.
E' vero semmai il contrario: i cacciatori hanno tutto l'interesse a preservare l'ambiente intatto e favorire così una ottimale salute degli habitat in cui prospera la fauna selvatica, a cui va aggiunto che la legge impedisce l'esercizio della caccia nelle aree percorse dal fuoco per diversi anni. E l'ennesima castroneria animalista è confezionata, complice qualche giornalista che punta a enfatizzare una notizia o a derubricare i veri reati. Ma, si sa, il cacciatore è facile preda di un'opinione pubblica distratta, che cerca un colpevole per mettere in pace la coscienza. Basterebbe infatti considerare, storicamente, le frequenze dei roghi per capire che la presenza dei cacciatori sul territorio è un grande freno per i piromani. Quando i boschi si affollano di cacciatori, gli incendi calano drasticamente, segno che la loro presenza funge realmente da deterrente per i malintenzionati.
La prevenzione degli incendi, se lo mettano in testa i nostri governanti - che ogni estate spendono parole di indignazione contro i piromani, ma riducono in parallelo le risorse a disposizione (la crisi economica, poi, sta facendo il resto, perchè già si parla di ridimensionamento della flotta dei Canadair) - è un passaggio di fondamentale importanza. E già che di crisi si parla, si stia ben attenti a regolare la gestione della mano d'opera. Come accennato sopra, è acclarato che, lo dice il Corpo Forestale dello Stato, a volte ad appiccare incendi sono gli stessi operatori dell'antincendio, che pensano bene di non farsi mancare il lavoro.
Ecco che torna importante il contributo gratuito dei migliaia di cacciatori disseminati sul territorio, che da assidui frequentatori delle aree naturali del nostro paese, possono fungere da sentinelle qualificate ed ovviare alle enormi e colpevoli carenze. Veri fruitori della natura e della campagna (mentre cade a picco anche il turismo naturalistico dei grandi parchi naturali), i cacciatori sono forse gli unici a prendersi cura, non solo implicitamente, in maniera significativa e sistematica dei diversi habitat senza chiedere nulla in cambio, se non regole certe per cacciare secondo le prescrizioni europee, senza vizi di forma frutto di aride congetture animaliste. Vi sembrerà un paradosso, ma se la caccia fosse aperta tutto l'anno, e soprattutto in estate, i boschi, le campagne, e di conseguenza la fauna selvatica e l'intera società umana ne trarrebbero grandi vantaggi. Ma vaglielo a spiegare a quelli... Approfondimenti:
Cinzia Funcis
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