Il mondo della politica è attraversato da una crisi epocale, che mette in discussione tante certezze, frutto di una lunga stagione di immobilità. Qualsiasi movimento, piccolo o grande, darà pochi frutti, se non quello di una protesta sempre più vibrata contro logori poteri che ormai consumano, fino all'esaurimento, le residue rendite di posizione.
Grillo o la Brambilla, tanto per citare due portabandiera di un'animalismo/ecologismo da bar sport, sono il sintomo della malattia, non certo la cura. Proprio in questi giorni abbiamo toccato con mano quanti danni possa ancora fare alla nostra attività certo straripante pressappochismo di chi, pur di conquistare facili consensi (voti, lo sappiamo bene, strappati agli allocchi), ricorre a ignobili falsità – prima gli incendi, poi la siccità – per denigrare, additare la caccia come il peggiore di tutti i mali e i cacciatori come degli irrecuperabili criminali.
Il nostro impegno, la nostra attenzione, nel medio e nel lungo periodo dovranno perciò spendersi al massimo, affinchè nel nuovo parlamento e nei futuri parlamentini locali, quali che saranno, abbondino le persone fiere di mostrare la loro licenza di caccia, segno incontestabile di onestà, equilibrio fisico e mentale, genuino interesse per la tutela del patrimonio naturale. “Rappresentanti del popolo” implicitamente consapevoli di una cultura e di una tradizione tipicamente nostrana. Aldilà delle sigle, che – l'abbiamo capito tutti – sono ormai vuote di significato, sia politico sia ideologico. Cambia poco se i gatti sono bianchi o sono grigi, l'importante è che acchiappino i topi, diceva un noto rivoluzionario cinese del secolo scorso.
Quindi, la prima domanda a chi verrà a chiederci il voto, dovrà essere: fammi vedere la tua licenza di caccia! Non disgiunta dalla richiesta di una percepibile garanzia di passare il turno, per evitare una peccaminosa dispersione dei nostri preziosissimi consensi. Premesse indispensabili affinchè la nostra passione possa acquisire presso i legislatori una maggiore considerazione.
La nostra politica. Va bene insistere su date di apertura, di chiusura, elenchi delle specie cacciabili, deroghe. Ogni richiesta, tuttavia, - le cronache odierne ne sono trista testimonianza - andrà sostenuta dai sempre più cospicui dati tecnici e scientifici che – gratuitamente, e comunque con risorse che noi stessi mettiamo a disposizione – noi stessi siamo in grado di produrre, a supporto di una palese e persistente incapacità di enti e organismi pubblici a far fronte alle esigenze della collettività.
Stesso discorso per la cosiddetta mobilità. Una libertà di movimento su tutto il territorio nazionale, sostenuta da rigorosa programmazione. E' ovvio che se oggi sono qui, non posso essere là. Ma è altrettanto ovvio che in una società organizzata, soggetta alla sollecitazione da parte di molteplici soggetti (agricoltura, turismo ed ecoturismo, sicurezza), come ormai tutti programmano con largo anticipo i loro periodi di vacanze, anche le uscite a caccia devono essere soggette a regole analoghe. D'altra parte, molte regioni hanno da tempo pianificato anche le eccezioni, se si pensa ad esempio al pacchetto autunnale per la migratoria.
Sarebbe bene tuttavia adoperarsi di più anche per un consolidamento della nostra immagine nei confronti di un'opinione pubblica che si fa infinocchiare dalla martellante propaganda anticaccia, basata su slogan tanto d'effetto quanto vuoti di contenuti. Gli argomenti non ci mancano. Primo fra tutti il valore inestimabile del nostro presidio sul territorio, sia per la salvaguardia del patrimonio naturale, sia per l'azione diretta nella gestione di un bene che noi sentiamo nostro ma che arricchisce economicamente e socialmente tutti i cittadini. E anche questo aiuterebbe, e non poco, a fornirci una personalità "politica".
Non sono novità, lo so. Ma la provocazione, e l'auspicio, è che di tutto questo se ne possa parlare: sempre di più.
Giuliano Incerpi