In un recente pezzo di Valeria Rossi (Le esposizioni canine hanno ancora un significato?) si leggono delle scomodissime verità e molte cose non dette o non potute dire.
Poi si precisa che per fortuna non è sempre così, ci mancherebbe, ma in situazioni del genere viene anche spontaneo dire o dirci: “prendiamo atto che...," ma tanto non cambia niente. E' il modo giusto per tirarsi addosso il resto dei vituperi e turpiloqui di riserva.
Quindi, cercando di semplificare abbiamo: “c'era una volta, oltre alla cinofilia, anche la cinotecnia”. Molto vero. E uno dei principi di questa sorta di filosofia cinofila è proprio quello per cui un cane dovrebbe essere costruito nel modo più corretto per svolgere il lavoro per il quale è stato selezionato. Chiarissimo. E i Giudici, “in quei tempi remoti, erano nella maggioranza Allevatori, abilitati da un severo esame tecnico, e con grande esperienza”. Assolutamente vero anche se, comprensibilmente, non sempre “grandi” né come Allevatori, né come esperti. Infatti, è veramente difficile pensare a grandi esperienze acquisite su una decina di razze, figuriamoci per qualche centinaio.
Poi, con il tempo, la qualifica di Esperto è arrivata d'ufficio, perché le cose cambiano, si dice. Altrettanto vero, ma andrebbe fatto notare che il cercare di rendersi conto del come e del perché, non è certo peccato. Anzi. Ora, giustamente, siamo arrivati a chiederci se le esposizioni canine hanno ancora un senso, e in linea di principio la risposta è sempre quella facile, vecchia e un po' banale: “Se operano un controllo di rispondenza al tipo e validità attitudinale, indicando potenziali riproduttori", certamente si.
Assolutamente no, se invece servono a creare “campioni senza valore” o ad evidenziare i successi “sportivi” (termine che neanche dovrebbe essere usato per una attività zootecnica).
Doveroso riconoscere che sono sul groppone di tutti, insieme alle porcate, il lavoro di pochi o tanti Giudici corretti, qualche volta insieme a quello dei corrotti, gli all round e i giovani volenterosi che però restano quasi sempre tra il timido e l'imbranato, gli anziani un po' rincoglioniti e i professionisti “anche troppo”. A completare, gli organizzatori “so io come fare” e qualche proprietario “lei non sa chi sono io”.
Apprezziamo anche il consiglio di non badare a qualifiche e classifiche, leggendo solo le relazioni. E' giustissimo e condivisibile, ma anche praticabile? E per quanti?
Allora, prima di lasciarmi o lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, forse è utile ricordare un altro “c'era una volta”.
Tutti sappiamo che molti anni fa, un certo numero di cultori appassionati, di allevatori e di utilizzatori di una razza, si sono messi insieme per salvaguardarla e possibilmente migliorarla, creando le prime Società Specializzate, piccole o grandi, con cento soci o qualche migliaio.
Efficace lo schema di Statuto: “Essa mira a svolgere ogni più efficace azione per migliorare, incrementare, valorizzare la razza e potenziarne la selezione e l'allevamento”.
Scopi e intenti chiarissimi e di grande responsabilità che dovrebbero esser, credo, identici a quelli del Club citati dalla Rossi.
Per questo è molto spiacevole sentire che anche quello funziona, o non funziona, in un certo modo.
Ovviamente posso parlare soltanto di ambienti che ho conosciuto e frequentato, e so pochissimo delle situazioni attuali.
Ricordo invece con piacere il lavoro di grande responsabilità svolto allora e il difficile impegno di mantenere un certo grado di autorità, con l'Enci, ente sovrano, a sovraintendere e tutelare tutte le razze. Nel corso degli anni si era anche messa in evidenza una indispensabile necessità: avere Giudici specializzati.
Argomento delicato, certo, sul quale già nel secolo scorso Giulio Colombo ebbe più volte a ripetere: “... l'Enci ha bisogno di specialisti consci, non di dilettanti estemporanei, per non sfigurare di fronte agli allevatori che dimostrano di saper bene, loro, cosa vogliono e cosa fanno, e sono più in grado di dar consigli che di riceverne, se non da tali davanti ai quali ci si inchina. A parità di intelligenza e di cultura generale, l'allevatore di una razza che abbia scelto non per sofisticarne l'impiego, sa di essa più di qualsiasi tecnico secchione che ne abbia ponzato sui libri lo standard”.
E Attilio Dassi, un quarto di secolo più tardi, aggiungeva: “... senza nuocere alla onorabilità di coloro che sono genericamente abilitati al giudizio di più razze, la Società Specializzata dovrebbe conferire un particolare riconoscimento a coloro che, sulla base di superiori perché specifiche esperienze, possono individuare e classificare pregi e difetti di una razza semplicemente meglio che in altre.
Si potrebbe anche dare, e questo è indiscutibile, quello che ogni appassionato si attende per la legittima valorizzazione dei propri soggetti e quello che il neofita ricerca per la verifica delle proprie valutazioni...”.
Personalmente non sono mai riuscito a capire perché una cosa tanto semplice sia stata sempre considerata quasi un'eresia.
Mario Biagioni