Anche le recenti vicende politiche dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che la comunicazione in sè è diventata ancor più determinante nella nostra società, ormai incontrovertibilmente legata alla...comunicazione, appunto. Altra storia è come applicarla. Da quando Mc Luhan coniò il mitico aforisma ("il medium è il messaggio"), n'è passata di acqua sotto i ponti, e tanta ne dovrà passare, sempre più con caratteristiche torrenziali, se non alluvionali.
Il nostro mondo da sempre si arrabatta alla ricerca di un modello per comunicare, che purtroppo stenta a venire e, ahinoi, quando sembra confezionato ci si accorge che è già vecchio. Colpa dei diversi interessi che ci animano, che non sono solo di tipo passionale. C'è il business, come c'è sempre stato, dal tempo in cui si scambiavano cibarie con conchiglie, choppers con cosciotti di mammuth, mazzi di tordi in cambio di una benedizione o di un'indulgenza. C'è il punto di vista: il ricco che guarda alla caccia tastandosi la scarsella, il montanaro che affumica le braciole come faceva Otzi e come fanno ancora gli eschimesi, il migratorista che rimpiange Carducci. Ognuno di loro ha un'idea. Ognuno di loro la comunica e vorrebbe che fosse comunicata secondo copione.
Oggi, la scomparsa di Zygmunt Bauman ci ha ricordato che viviamo in un epoca "liquida". Senza saperlo, molti di noi, direi proprio molti, ne fanno parte. Internet è l'universo liquido, caotico, nel quale... "navighiamo".
Senza scorrere tanto indietro nel tempo, negli ultimi cento anni siamo passati dalla carta stampata (quotidiani, riviste, libri) alla televisione (ecco Mc Luhan), dalla televisione al computer inter(net)connesso, dal computer ai telefonini/smartphone/tablet, che sempre più ci hanno aggregato con i cosiddetti "social".
Questo tumultuoso divenire sta spiazzando anche i guru più scafati. L'economia e, a ruota, la politica vi si stanno applicando, convinti di aver trovato la soluzione più efficace, sempre più spesso accorgendosi che quando credono di essere arrivati al bandolo della matassa si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Costretti quindi a ricominciare da capo.
Figuriamoci, perciò, in un bailamme del genere, che capacità abbiamo, noi, modesti cacciatori (e le ancor più modeste, ormai, centrali di elaborazione del nostro pensiero), di poter incidere in questo quadro, composto da miliardi di puntini luminosi - "uno vale uno" ci ha detto di recente uno di questi nostrani stregoni da palcoscenico, smentendosi poi quasi subito - ognuno dei quali cerca di richiamare l'attenzione su se stesso, in totale competizione con gli altri. E in questo, anche noi, che abbiamo cominciato a strimpellare su tastiere fisse, mobili, grandi, medie e piccolissime, non ci risparmiamo soddisfazioni.
Soddisfazioni. Si fa per dire. Stiamo ai social. Della caccia, ovviamente. Se ne trovano in rete tanti quanti sono i cacciatori. Che è un bene, ovviamente, perchè denotano ancora interesse, passione, attenzione. E, poi, ci fanno capire che, insieme alla massa vecchiarella, c'è anche qualche giovane, sempre di più, anche in gonnella, fortunatamente, che si fa carico di prendere il testimone, la fiaccola, e portarla in alto, verso il grande tripode che illumini quel grigiore che molti lamentano.
Siamo, ovviamente, in un'epoca pioniera. Chi meglio di noi, adusi ai cicli della vita (che non solo vita comportano, ineluttabilmente), può capire che tutto questo fermento porterà - ineluttabilmente, appunto - a sintesi anche dolorose? Il caso e la balentia (valorosità; un insieme di forza e talento) decideranno su quali staffette aggregarsi. Viene in mente l'episodio di quel vecchio film di Woody Allen ("tutto quello che avreste voluto sapere sul..."), nel quale milioni di dubbiosi spermatozoi/paracadutisti stavano per lanciarsi in quell'antro sconosciuto, terribile e meraviglioso, consapevoli che solo uno di loro, il più veloce, il più abile a sgomitare, il più fortunato a trovarsi al punto giusto nel momento giusto, avrebbe potuto concepire il frutto per il quale erano tutti stati programmati.
Ma insomma. Belle chiacchiere, diranno i soliti. Ma che cosa hai voluto dire? Ci vuoi dare la linea? Certamente no. Non ne sarei capace. Ho voluto solo prospettare un tema. Una provocazione più che altro, per ammonire: occhio, ragazzi! La sfida è grande, sicuramente dobbiamo imparare a collegarsi allo strumento (che sguscia via come un'anguilla), attrezzarci, ricordarci che c'è bisogno di competenza e dedizione. Nessuno ha la carta vincente con tanto di timbro (imprimatur).
Rapide riflessioni s'impongono, insomma, per andare il più dritto e veloce possibile verso una meta che si sposta momento dopo momento. Poi, se qualcuno volesse applicarsi e dire la sua, tanto meglio!
Mirko Meroni