Una cosa è certa. Ne sappiamo più noi di loro. In generale, quanto a vita morte e miracoli della fauna selvatica aerea e terrestre, un cacciatore ne sa più di coloro che sbandierano una “coscienza” da naturalista. Sia la sparuta minoranza di cacciatori, ormai, che non ha dovuto superare un esame (i primi a sostenerlo erano maggiorenni nel 1968, e oggi hanno come minimo almeno una quarantina d'anni d'esperienza sul campo) sia i più giovincelli, se vanno a caccia non commettono gli errori pacchiani di scambiare una faraona per una pittima o una tortora per una cocorita. Un cacciatore vive sul territorio, lo presidia per tutto l'anno, non si limita a fare la scampagnata in trattoria, oggi in agriturismo, al fine settimana.
L'ambientalista tipo, d'estate va al mare, d'inverno va a sciare. Il cacciatore, estate o inverno è in campagna, dove spesso collabora alle attività di gestione del territorio. Gli indicatori turistici ci dicono che quel sedicente novantapercento di anticaccia, nella stagione morta fa "volontariato" allo stadio o davanti al televisore, accanto a un termosifone. Di conseguenza, la preparazione naturalistica dei nostri dirimpettai è scarsuccia, raccogliticcia, quasi sempre scimmiottata dai soloni del piccolo schermo. La nostra è fatta di sudore, di genuina curiosità, di passione, d'amore per la natura.
Una cosa è certa. Dopo il voltafaccia dell'Ispra sullo storno, favorita da un Galan in migrazione, è apparsa chiara l'inconsistenza scientifica che si può attribuire ai Key Concept comunitari, basati per l'Italia su dati vecchi, frammentari, fortemente intrisi di pregiudizi ideologici. Ne cominciano a dare conto gli uffici delle associazioni venatorie che con sempre maggiore dovizia di particolari e determinazione confutano le frequenti baggianate con inoppugnabili riscontri tecnici e scientifici, a dimostrazione che se mettiamo a frutto le nostre competenze, non ci insegna niente nessuno. L'hanno fatto da sempre i Migratoristi e la Federcaccia, collaboratori storici del Laboratorio di Bologna, fin dai tempi di Chigi, Toschi, Leporati. Lo sta cominciando a fare anche LiberaCaccia, con l'attivazione di appassionati che nulla hanno da invidiare ai tanti sedicenti "ricercatori organici". Di cui si avvale invece anche Arcicaccia, indulgendo purtroppo nello stesso vizio di personalizzare le ricerche di una anomala componente ideologica.
D'altra parte, però, queste sono le regole; gli enti preposti, nazionali e internazionali, seguono i protocolli, che contemplano percorsi accademici, spesso inadeguati. Altrettanto spesso fuorvianti.
Ultimamente, ad esempio, grazie alla Conferenza delle Regioni, s'è riaperto il tavolo degli Stakeholders, oggi ribattezzato tavolo tecnico, che raccoglie i rappresentanti di regioni, agricoltori, ambientalisti e cacciatori. Coldiretti e Legambiente (col contributo implicito, c'è da scommetterci, di Arcicaccia, che non a caso si è accodata), legittimamente, hanno presentato un documento che intende fornire un punto fermo alla discussione, con l'intento di trovare una sintesi che vada a superare quel guazzabuglio di sciocchezze contenuto nell'art 42 della comunitaria, approvato l'anno scorso. E anche qui, ferme restanti le intenzioni a proseguire nel dialogo, tante cose non tornano..
Soprattutto perchè sotto sotto emerge ancora il solito vizietto, per cui, prendendo a spunto dati incompleti, si ripropongono soluzioni superprudenziali che niente hanno a che vedere con la scienza, con la ricerca, con quella funzione di supporto che dovrebbe essere un imperativo categorico.
Ricordiamo a tutti, intanto, a scanso di equivoci, che i primi a preoccuparsi della consistenza delle specie selvatiche siamo proprio noi cacciatori. Non regge infatti l'accusa che noi pensiamo solo a raccogliere. Se così fosse, andremmo poco avanti. In poco tempo, contro il nostro interesse, avremmo fatto fuori il capitale. Inoltre, con un territorio agrosilvopastorale ampiamente popolato di cartelli di divieto (vogliamo dire almeno il venti percento?), non c'è scienziato serio o esperto che dir si voglia, che possa collegare con l'attività venatoria eventuali indici di rischio. Lo sanno bene soprattutto quegli agricoltori che hanno i loro coltivi all'interno delle aree protette o nelle loro prossimità.
Nello specifico, tuttavia, visto che certe disposizioni contenute nelle direttive comunitarie sono frutto di decisioni mediate con i nostri concittadini del Nordeuropa (notoriamente poco teneri nei confronti dei cacciatori che vivono sulle rive del Mediterraneo), quanto a tempi di caccia previsti dalla normativa europea non c'è dubbio che abbia prevalso la prudenza. E quando a proposito di epoche di ripasso (inizio periodo prenuziale) si fa riferimento alla metà dell'inverno, si presume che si intenda il periodo che va dalla seconda decade di di gennaio alla seconda di febbraio. Quanto meno. E ormai lo sanno anche i sassi che fino alla fine di febbraio le gonadi degli uccelli migratori, in genere, non subiscono modificazioni almeno fino alla fine di febbraio. Ed è solo dopo l'inizio questo fenomeno fisiologico (la modifica delle gonadi) che si può parlare di periodo degli amori. E quando ci si riferisce a specie ritenute in difficoltà (esempio, combattente, starna) ci si dovrebbe preoccupare più degli habitat a loro adatti (a partire da quelli nelle aree protette) che di proibirne il prelievo. Al massimo si potrebbe pensare di contingentarne il carniere.
E quando si richiede una valutazione d'incidenza, come minimo si dovrebbe riconoscere che per usufruirne è necessario disporre di una rete di rilevatori (chi ce l'ha, così tanti e diffusi sul territorio se non si attinge alle schiere dei cacciatori, che fra l'altro non costano?), di un sistema di Osservatori regionali, organismi ferocemente osteggiati da quei pochi che fino ad oggi hanno tenuto ben stretto il potere di decisione, giustificandolo con competenze accademiche o funzionali, più di facciata che reali. Non basta un osservatorio a Ponza, per raccogliere dati che da chiaramente parziali vengono utilizzati come se fossero il frutto di indagini distribuite su tutto il territorio nazionale. Il fenomeno del passaggio della presenza e della permanenza dei migratori è talmente complesso che va monitorato tramite punti di osservazione diffusi. Perchè allora non tener conto di ruoli/incarichi da affidare agli ATC? Oggi, un ATC che funziona, sotto la supervisione di tecnici preparati, in stretta sintonia con le organizzazioni venatorie presenti sul territorio, è in grado di gestire problematiche ecologiche complesse, fruendo soprattutto dei cacciatori, che si aggiornano, frequentano corsi, forniscono un contributo di conoscenza straordinario. Intervengono gratuitamente, a sostegno degli interessi degli agricoltori e della comunità. Nutrie, gabbiani, cormorani, piccioni, volpi, ma anche cinghiali, corvidi, storni, tortore dal collare e anche ungulati cosiddetti di pregio. Oggi ne abbiamo popolazioni talmente abbondanti, che se non li controlliamo ci mettono a soqquadro l'intero paese. E abbiamo visto che le soluzioni cosiddette "politicamente corrette" non funzionano!
Mancherebbe invece, per il mondo della caccia, la disponibilità, il collegamento con un qualche organismo scientifico di coordinamento, magari a livello sovranazionale, più pratico, meno legato a interessi di parte (ma qui si aprirebbe un discorso complicato, legato alle troppo frequenti adozioni di "casacche"), più dotato di "buon senso". Tanto per restare nel concreto, mentre si sollecita da più parti l'esigenza che il Governo ci doti di "linee guida" per l'applicazione delle deroghe, si fa di tutto per misconoscere la "Guida" interpretativa sottoscritta a livello Europeo da Birdlife e da Face. Eppure basterebbe che il Governo l'adottasse in toto, per risolvere il problema!!!
E una volta per tutte, lo tengano bene a mente i nostri rappresentanti nei consessi istituzionali, quando si tratterà di assegnare fondi nostri, provenienti dalle tasche dei cacciatori - che spesso finiscono per ingrassare portafogli e tenere in piedi strutture anche delle organizzazioni ambientaliste - che almeno vengano spesi per arricchire la conoscenza delle realtà naturalistiche di stretta competenza faunistico-venatoria. In altri termini, invece di rilasciare vergognosi pareri negativi adducendo la giustificazione di non disporre di dati scientifici sufficienti e aggiornati, ci si dia da fare per aggiornarli. E se qualcuno vorrà approfondire la conoscenza della sterpazzola nana (esiste?, Mah!), lo faccia con i suoi, di soldi, non con i nostri!
Vito Rubini
(Nella foto Ugo Tognazzi nel film Amici Miei durante una delle più celebri "supercazzole", da cui prende spunto il titolo)