L’Italia è un paese davvero strano, un paese dove una menzogna ripetuta decine di volte, aiutati da un buon supporto mediatico, diventa una verità, paese dove un inestimabile capitale naturalistico, venatorio e, perché no, anche economico, come gli ungulati selvatici, cinghiale compreso, viene barbaramente svilito a problema insormontabile, nemesi dell’agricoltura e pericolo pubblico di altissimo rischio.
Davvero incredibile che un patrimonio così importante come quello degli ungulati selvatici, che in tutte le altre nazioni europee viene valorizzato e gestito in modo adeguato, con giudizio e pragmatismo, capace da solo di rappresentare una voce importante nel bilancio economico di alcuni stati e in grado di diventare un volano per tutta l’economia rurale, in Italia venga trattato come un problema, strumentalizzato in modo fazioso e ignorante dalle opposte correnti che, senza averne gli strumenti cognitivi, urlano a gran voce il possesso delle soluzioni, impregnate di demagogia spicciola e di interessi di bottega.
Le persone per bene, quelle che la soluzione di questo finto problema la conoscono bene, ma che non sono abituate ad urlare per farsi ascoltare, così come i referenti scientifici, primo fra tutti l’Infs (che dovrebbe rappresentare l’unica voce autorevole sia per le conoscenze specifiche, sia per incarico istituzionale), ormai ingabbiato nell’immobilità del carrozzone Ispra, si trovano pizzicati fra i due estremismi altrettanto nocivi e pericolosi: da una parte chi urla asserendo che l’Italia si trova sotto l’assedio di branchi di famelici ungulati, in grado, da soli, di azzerare il reddito agricolo e di rappresentare un grande pericolo per la pubblica sicurezza, proponendo forme alternative al prelievo selettivo (leggi caccia a cervidi e bovidi con l’ausilio dei cani da seguita); dall’altro un ambientalismo ignorante e talebano, oramai così distante dalle vere esigenze del mondo naturale, che grida allo scandalo, alla barbarie di “prezzolare la vita di un animale selvatico” quando viene correttamente proposta una gestione del patrimonio con ritorno economico sul territorio.
Sia da una parte che dall’altra si sprecano comunicati pregni di demagogia, una vera escalation di bestialità, che sfociano inevitabilmente in un nulla di fatto (quando va bene) oppure in scelte gestionali molto discutibili di alcune amministrazioni che si trovano pizzicate fra l’incudine e il martello. E pensare che sarebbe tutto così semplice, e non si tratterebbe di inventare nulla, in quanto esempi, ben rodati e virtuosi, di gestione del patrimonio ungulati li abbiamo sotto gli occhi, è sufficiente guardarsi un po’ intorno. In Slovenia, per esempio, lo status della fauna selvatica è parificabile al nostro (patrimonio indisponibile dello Stato), e la gestione viene affidata alle cosiddette “famiglie di caccia” (lovske druzine), in pratica riserve di diritto su base comunale (o di più comuni se molto piccoli); i cacciatori partecipano a tutte le attività gestionali e, a seconda dell’andamento dei censimenti, si vedono assegnatari di un certo numero di capi, ma uno solo gli spetta in toto (carne compresa).
Le spoglie degli altri capi abbattuti previsti dai piani di tiro devono essere consegnate dopo un primo, corretto trattamento (eviscerazione e lavaggio), al centro di raccolta, munito di celle frigorifere per lo stoccaggio (in funzione da più di trent’anni…), dopodichè il cacciatore ha due possibilità: acquistare egli stesso la carne del capo abbattuto (l’eventuale trofeo è già di sua proprietà) a un prezzo vantaggioso oppure lasciarlo alla famiglia, che provvederà alla commercializzazione (un paio di volte la settimana le carcasse vengono ritirate da un camion frigorifero). I proventi della vendita della carne vengono investiti sul territorio, per apportare i necessari miglioramenti ambientali e per rifondere in modo snello e veloce i danni all’agricoltura provocati dalla fauna selvatica. Semplice vero? Il cinghiale è aperto 365 giorni l’anno, con chiusure riguardanti sesso e classi di età e viene cacciato prevalentemente il regime di prelievo selettivo; a completamento dei piani vengono organizzate alcune battute alle quali partecipano tutti i componenti della LD, a volte con l’ausilio di un limitatissimo numero di cani da seguita a gamba corta, jagd terrier e similari (le uniche mute di segugi che calpestano il terreno sloveno sono quelle che, totalmente fuori controllo o, meglio, “ben controllate” e illegalmente condotte, arrivano dalle Valli del Natisone…).
Dimenticavo: il piano di tiro ha un costo, non proibitivo, ma consistente, sono previsti pacchetti a pagamento per gli ospiti di altre LD o stranieri e chi porta al centro di raccolta una carcassa con ferite che ne inficino il consumo alimentare (ferite alle spalle o alle cosce e alla schiena) vengono penalizzati con una multa pecuniaria oppure con una riduzione dei piani di tiro per l’annata venatoria successiva. Ma la Slovenia è famosa anche per il pragmatismo con il quale vengono trattati gli incidenti stradali: da decenni vengono applicati e messi in opera tutti i sistemi attivi e passivi di prevenzione (sottopassi, sovrappassi, indicatori attivi, segnaletica opportuna, dissuasori ecc.).
A chi, malgrado queste azioni preventive, investe e uccide un ungulato o qualsiasi altro animale selvatico, non solo non viene riconosciuto alcun risarcimento, ma è chiamato a rifondere il danno biologico provocato dall’incidente. Fantascienza? Assolutamente no. Certo, in un paese come il nostro, dove le invasioni barbariche hanno portato ad occupare cariche istutuzionali individui che asseriscono che “la caccia di selezione ha fallito, in quanto gli ungulati sono aumentati in modo esponenziale con gravi danni all’agricoltura” e ai quali nessuno fa notare che la stragrande maggioranza dei danni deriva dal cinghiale, da tempo immemore “gestito” con le braccate, che hanno così dimostrato la loro totale inadeguatezza (e non ho più spazio parlare dello scandalo delle tonnellate di ottima carne portate a casa, o illegalmente commercializzate, a costo zero da questi zelanti e altruisti benefattori, ma lo faremo in un’altra sede) per motivi di opportunismo politico (i cacciatori di cinghiali in braccata sono tanti e hanno un certo peso politico) può sembrare davvero fantascienza, ma vi assicuro che non lo è!
Gli ungulati selvatici sono un patrimonio, sotto tutti gli aspetti; non caschiamo in questa trappola e non lasciamo che altri componenti sociali accampino diritti assolutamente falsi su questo patrimonio, ma muoviamoci tutti, ognuno con gli strumenti a propria disposizione, per far comprendere questa realtà; questa sarà la nostra missione nei tempi difficili e bui che la deriva culturale che stiamo vivendo