Anche la categoria dei giornalisti, sempre incline ad anticipare le correnti di pensiero (una volta qualcuno li chiamava "pennivendoli") s'è accorta del pericolo integralista dei cinquestelle. Fino ad oggi, e probabilmente anche in futuro, ha continuato e continuerà invece a glissare sulle falsità sulla caccia sostenute pure dagli stessi grillini ormai in sovrapposizione algoritmica (col guru jr. che con i sui algoritmi - appunto - ancora fa da ispiratore al fintofolle burrattinaio) con gli animalisti metropolitani, quelli che si inalberano se qualcuno gli contesta le cacche di gattini e canini sui marcia-piedi, che... ai piedi muniti di scarpe dovrebbero servire.
Guarda ad esempio la vicenda lupo. Nessuno ha nemmeno ipotizzato la caccia a questo splendido predatore. Tantomeno i cacciatori. Semmai, cacciatori e soprattutto agricoltori hanno denunciato un'anomalia tutta italiana. Che a suon di balle ormai ha trasformato in struzzi buona parte di coloro che si credono sensibili alla salvaguardia degli animali.
(Notarella prima di proseguire: Si, è vero, appunto. L'argomento nulla ha a che vedere con la caccia. Tuttavia, il lupo, la sua consistenza, i problemi che provoca al patrimonio faunistico, i danni agli agricoltori, questi si che con la caccia hanno a che vedere. E, infine: poichè l'argomento è strategico, se riusciamo a far passare il concetto che la wilderness in Europa non esiste, e che questi sciagurati di animalisti intendono la natura come un grande supermercato, riusciremo anche ad accreditare le nostre idee e i nostri comportamenti come più funzionali a un disegno di tutela otttimamente congegnato. Punto).
Non c'è bisogno di scomodare i signori Lotka e Volterra, peraltro illustri sconosciunti almeno nei fatti alla maggioranza dell'ambientalismo nostrano (sull'animalismo meglio stendere uno spesso velo pietoso); i quali signori con i loro calcoli (1925-1926: equazioni preda-predatore) hanno codificato un vero e proprio modello matematico sulla dinamica della popolazioni, che i nostri eroi (scienziati compresi) si ostinano ad ignorare, perchè si figurano un mondo dove l'uomo (che è un animale predatore) non esiste. E qui, funzionano ancora più rigorosamente gli algoritmi del marketing, che impongono a una multinazionale della grande distribuzione di fare outing per svarioni da cabaret.
Il lupo, dunque. Nei giorni scorsi tutti i giornali, con i più importanti nel calcare più la mano, hanno sentenziato che "fortunatamente" è stata sventato il disegno criminoso del Ministro dell'Ambiente Galletti, dell'Ispra e di un pull di una settantina di ricercatori ed esperti lupisti, col quale si voleva aprire una caccia indiscriminata al quadrupede dagli occhi di ghiaccio. Indicibile falsità. Totale mistificazione. Come ormai sono adusi a propalare le ancora potentissime lobby degli amici e delle amiche della nutria, del granchio favollo, del topo da compagnia. Malgrado il Ministro Galletti stavolta continui a sostenere quello che è: e cioè che il piano è indistensabile e la caccia non c'entra niente.
Tra i tanti dati che circolano (fra tutti vedi LINK su PIANO LUPO 2017), strumentalizzati e mascherati fino alla noia, alcuni, poichè non funzionali, vengono nascosti o sbertucciati. Proviamo a ricapitolare. Partiamo dall'Italia. Nel 1970 la penisola era popolata da un centinaio di soggetti. Prima di allora, nei decenni e decenni precedenti non ce n'erano molti di più, eppure la materia prima (pecore, agnelli) era enormemente più consistente. Quali che siano state le ragioni di questa modesta consistenza (probabilmente, appunto, lo spopolamento delle campagne e la conseguente riduzione di greggi, armenti e cortili), la cosiddetta fiera, terrore allora di tutti i cappuccetti rossi del contado e non solo - fai il bravo, si diceva al pargolo discolo, sennò chiamo il lupo -, veniva tenuta sotto controllo. Con cosa? Soprattutto col fucile. Quello del "luparo" di professione, che veniva retribuito da pastori, allevatori, contadini in ragione dei risultati. La "lupara", tristemente ben nota per altre vicende, era lo strumento messo a punto per massimizzarne l'efficacia. Prova che smentisce certa pubblicistica incline a far credere che il controllo con strumenti analoghi non ottiene risultati, ma ne provoca di contrari.
Da cento lupi negli anni settanta, siamo arrivati a oggi che se ne contanto, secondo stime molto accreditate, fino a 4500 (quattromilacinquecentoooo). Nel 2005 erano 500 (cinquecento). Chi vuole, faccia i conti, tenendo conto, appunto, che nel frattempo abbiamo perso una larga fetta di superficie agroforestale (30% in quarant'anni). Onde per cui, abbiamo quarantacinque volte più lupi di un tempo, che affollano un territorio tristamente ridotto.
Perchè così tanti, allora? Perchè provocano cosi tanti danni? Due principalmente le ragioni, sottostimate ad arte. La prima, quella dei parchi e delle aree protette: si arriva a più del 30% della SAF se si tiene conto dei territori dove la caccia è interdetta. La seconda, che deriva dalla prima: l'abbondanza di ungulati. Si arriva addirittura ad auspicare un incremento di caprioli per fornire più materia prima per la mensa lupina. Visto che - qualcuno se n'è accorto fra questi scienziati? - le popolazioni di cinghiali si sono attrezzate per cui oltre a stare prudentemente lontane dalle doppiette, rifugiandosi nelle aree no-kill, hanno messo a punto una strategia antilupo, a difesa dei porcastri (i più vulnerabili), che da tempo ormai vivono intruppati, circondati come un castro romano dalle piuttosto arcigne madri, tutte insieme. Con la conseguenza che la fame, che secondo il proverbio leva il lupo dal bosco, dirotta le attenzioni su più facili prede come pecore, agnelli, vitellini, polli e tacchini, ma anche cani da guardia, da pastore e da cortile. (A quando, dio non voglia, la terrificante sorpresa di un infante non sbranato dal solito cane problematico, evento ormai tristemente comune, ma preda di certi soggetti che non si sa più se sono lupi o cani randagi o incroci o ibridi?).
La normativa. Tutti sanno, gli addetti ai lavori, che già le disposizioni vigenti (dal 1999, mi pare) consentono un prelievo forzoso (anche col fucile, se servisse) previo l'autorizzazione - e sotto lo stretto controllo - dell'Ispra, che finora si è ben guardata da concedere. Tutti sanno, gli addetti ai lavori, che questa consistenza italiana è una grave anomalia, rispetto alla realtà europea. Limitandosi ai paesi nostri confinanti, in Francia si contano 80-100 esemplari, e se ne consente il prelievo. In Svizzera qualche decina, e se ne consente il controllo. In Austria idem. In Russia Polonia, Slovacchia, Bosnia, Croazia, Finlandia, Spagna, il lupo è oggetto di caccia o di controllo (col fucile). E da noi, invece, piuttosto che dare il via a un progetto di gestione, seppur perfettibile - qualcuno, fra gli amici del lupo, addirittura suggerisce in certi casi anche la totale eradicazione! - che almeno cominci ad affrontare il problema, se ne rimanda l'applicazione sine die. Consapevoli, peraltro, che a certe soluzioni (studi e ricerche, prevenzione, investimenti) con la penuria di finanze che abbiamo sarà molto difficile darvi sostanza. Non sarà certo il fucile, comunque, a risolvere il problema, ma sicuramente, nel rispetto di piani articolati, più razionali, meno fumosi, e in casi estremi, farebbe la differenza. E non solo per il lupo.
In conclusione. Noi cacciatori vogliamo portare il lupo all'estinzione? Neanche per sogno. Come sarebbe possibile? Con un terzo del territorio a loro disposizione come rifugio, quando mai potrebbe succedere, anche se volessimo? Ma non lo vogliamo. Siamo, noi cacciatori, preoccupati per questo squilibrio? Si, da cittadini soprattutto, per i danni e per le ansie che provocano e per l'andazzo tutto italiano che punta pervicacemente ad additare la caccia come fonte di inconfessabili nequizie, e permette ai soliti noti di continuare ad agire indisturbati a danno del patrimonio naturale.
Franco Rosselli
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