Il cane domestico un tempo era allevato solo per svolgere compiti di utilità (caccia, guardia, difesa, controllo bestiame) mentre ora la sua grande diffusione è dovuta ad una inedita funzione di "compagnia", per la sua capacità di creare legami affettivi con i padroni.
L'origine del rapporto tra cane e uomo si perde nella notte dei tempi e secondo gli scienziati il progenitore del cane sarebbe il lupo selvatico, un predatore territoriale molto aggressivo che vive e caccia in branco (impossibile da addomesticare).
Confrontando i caratteri del lupo con quelli del cane domestico ci si chiede come sia stato possibile che l'uno sia derivato dall'altro e le spiegazioni fornite dagli scienziati sono solo ipotesi basate su scarsi reperti archeologici e paleontologici.
Secondo la paleontologia alcune forme di rapporti tra discendenti dei lupi, e l'uomo risalirebbero all'età della pietra ma le condizioni dell'ominide di allora escludono che potesse essere stato in grado di compiere un qualunque processo di domesticazione.
Le precondizioni di una domesticazione vogliono che l'uomo avendo il pieno controllo del territorio e di animali (già in parte sottomessi), possa fare accoppiare quelli in possesso delle qualità che vuole trasmettere ai discendenti.
All'età della pietra ogni energia, ogni risorsa, ogni capacità dell'ominide erano concentrate nella ricerca del cibo per sopravvivere, perchè la caccia era aleatoria, difficile e pericolosa per l'assenza di strumenti che compensassero la sua carente dotazione anatomica.
L'uomo era allo stesso tempo predatore e preda, viveva e cacciava allo stesso modo di tutti gli altri animali predatori, uccidendo e mangiando (solo con la scoperta dell'arco il suo ruolo è divenuto dominante ).
Per di più anche affinità fisiologiche esistevano tra uomini e predatori vertebrati perchè secondo i neurofisiologi la struttura base cerebrale dei vertebrati predatori è uguale in tutte le specie, quindi i moduli comportamentali genetici (fissati per selezione dei più adatti, cioè gli istinti) sono comuni a tutti (incluso l'ominide), ed è l'opportunismo che sovrintende e condiziona le azioni di tutti.
E' pur vero che l'uomo a differenza degli animali, possiede l'intelligenza creativa, ma questa si è evoluta in modo lentissimo attraverso i millenni, perchè in gran parte è legata alle condizioni di vita, come dimostra la sua accelerazione successiva all'agricoltura.
Allora sia gli uomini che i lupi, vivevano e cacciavano in gruppi (ostili tra loro), e questo tipo di aggregazione funzionale importa socialità, collaborazione, relazione tra i compagni, organizzazione gerarchica (con al vertice un capo); forte spirito di adattamento; spirito di squadra, e divisione dei compiti nella caccia, difesa del territorio e ostilità verso gli estranei. Ma il dover dividere il territorio e la selvaggina rendeva concorrenti e rivali uomini e lupi.
In questa condizione di reciproca ostilità, occorre pensare che solo un forte allettamento opportunistico può aver indotto il lupo a vincere la diffidenza verso l'uomo, e quindi è verosimile immaginare che alcuni lupi abbiano preso l'abitudine di aggirarsi attorno agli accampamenti umani per mangiarne i rifiuti, (prima della scoperta del fuoco gli avanzi scartati delle prede erano notevoli), ed in un tempo successivo abbiano seguito (da lontano) i cacciatori nelle loro battute per divorare le carcasse degli animali abbattuti.
In sostanza i lupi possono aver trovato nei rifiuti umani un arricchimento della loro dieta facile e senza rischi, e questa opportunità può essere divenuta abitudine.
Dal canto suo l'uomo, superata la diffidenza, ha trovato utile sia l'opera di spazzini fatta dai lupi e sia il fatto che la loro presenza tenesse lontani altri animali pericolosi: (e così può essere iniziata quella reciproca convenienza destinata a svilupparsi nel tempo).
E' facile immaginare che queste primitive forme di relazione, possano avere innescato una spirale virtuosa perchè tra i lupi, quelli più opportunisti e meno timorosi dell'uomo, hanno iniziato a condividere tra loro una fonte alimentare sempre più importante nelle carcasse delle prede dei cacciatori e questo tenore di vita diverso da quello originario può aver contribuito a formare tra loro un gruppo imparentato ed autonomo.
E tra questi lupi, quelli più e meglio adattati a sfruttare la situazione possono essere riusciti a vivere più a lungo e quindi a trasmettere i loro geni a molti discendenti, e così si è instaurato un processo evolutivo naturale di soggetti sempre più geneticamente predisposti alla convivenza con l'uomo (perche secondo gli etologi il patrimonio genetico delle specie è il risultato della selezione naturale dei più adatti).
Tra questi lupi (ormai mezzo selvaggi) e i cacciatori si può essere instaurata una cooperazione sul terreno venatorio (in vista del comune risultato finale) concretizzatasi spontaneamente in una divisione dei compiti, sul modello del modo di cacciare congeniale ad ogni gruppo.
Gli uomini possono aver sfruttato la superiore abilità dei lupi nello scovare la selvaggina e nel seguirne le tracce, mentre i lupi possono aver lasciato all'uomo il compito di abbatterla grazie ai più efficaci strumenti di offesa da questo inventati.
La istintiva propensione alla gerarchia e alla gregarietà può aver fatto accettare ai lupi una certa la dominanza degli uomini, così lasciando a loro la priorità nella scelta delle parti migliori dei selvatici, e divorando poi le carcasse rimaste.
Durante questa lunga fase anche l'uomo può aver contribuito (inconsapevolmente) all'evoluzione selettiva del lupo, privilegiando in qualche modo solo i soggetti meno aggressivi e più utili, in grado di fornire discendenti sempre più adatti, ma solo con l'avvento dell'agricoltura si può dire che possa aver avuto inizio il processo di domesticazione.
In conclusione a me pare sia stato l'ambito venatorio il catalizzatore fondamentale dello speciale rapporto tra uomini e lupi.
Infatti, con l'agricoltura si sono create per l'uomo condizioni enormemente migliori sotto ogni aspetto, (anche per lo sviluppo intellettivo) perchè l'uomo divenuto sedentario ha potuto realizzare abitazioni più sicure ed igieniche; è diventato produttore di tutto ciò che gli occorre (affrancandosi dalla passiva dipendenza dei prodotti spontanei della terra), ha potuto costituire riserve alimentari per i periodi difficili e così si è liberato dall'incubo della fame; il miglioramento dell'alimentazione ha giovato al corpo e alla mente; non più costretto a cacciare tutti i giorni (come avveniva prima, perchè la carne non si manteneva) ha potuto godere del tempo libero consentito dai cicli agrari e così ha potuto sviluppare il pensiero, ha inventato armi e utensili e ha acquisito competenze varie.
Avendo il controllo del territorio ha potuto domesticare animali così da avere latte, carne e forza lavoro, (gli animali domestici hanno reso progressivamente superflua la funzione alimentare della caccia) e ha iniziato la domesticazione di quei discendenti dei lupi ormai divenuti domesticabili e adattati alla convivenza, (anche perchè dipendenti dall'uomo per l'alimentazione).
In conclusione il processo evolutivo dal lupo al cane può essersi svolto in due fasi: una la più antica, secondo un'evoluzione naturale, ed una seconda di domesticazione vera e propria pilotata dall'uomo, che si è conclusa con la piena dominanza dell'uomo.
La domesticazione fatta dall'uomo imita il meccanismo della selezione naturale dei più adatti, in quanto l'uomo nutre e fa accoppiare solo i soggetti già in possesso delle qualità che vuole nei discendenti (un sistema empirico ma efficace) e in tal modo attraverso i millenni si è giunti al cane domestico attuale, docile con capacità di adattamento e di apprendimento, dotato della plasticità neuronale (che consente modificazioni genetiche) e di una sinaptogenesi fattiva (fino all'età "sensibile", circa 24 mesi) che in base alle sollecitazioni dell'esperienza, modifica e fa maturare le sinapsi, così rendendo il cane adatto ad una grande varietà di compiti.
Primo e assoluto: la caccia. (n.d. r.)
Enrico Fenoaltea