A mano a mano che si avvicinano i finanziamenti del PNRR (Piano Nazionale di ripresa e Resilienza), emanazione italiana del Next Generation EU, che prevede per l'Italia una cospicua fetta di finanziamenti di cui gran parte riservati ad affrontare i problemi ambientali (progetti per il clima), in parallelo aumentano gli appetiti e di conseguenza suggerimenti e soluzioni per orientare i finanziamenti verso questo o quell'area dell'economia e delle finanza nostrana.
Succede da quando mondo è mondo e non c'è da sorprendersi se anche stavolta si dovrà stare attenti affinchè questa enorme messe di fondi finisca nelle tasche giuste. Ovviamente non è cosa semplice se si pensa che in discussione c'è il futuro del pianeta, e con esso la nostra civiltà, o addirittura la nostra specie.
Il quadro: i principali accusati sono carbone e petrolio, che negli ultimi due secoli sono stati alla base dello sviluppo economico e sociale delle nostre comunità. Con impennate verticali successive all'ultima guerra. Basta controllare i diversi indicatori per rendersi conto che la situazione sta degenerando. Il cosiddetto progresso, insieme a un benessere diffuso, ha portato con sé un enorme sviluppo della popolazione mondiale. In due secoli da poco più di un miliardo abbiamo raggiunto a oggi la bellezza di quasi otto miliardi di individui (quasi nove entro il 2050). E tutti hanno diritto a mangiare e vivere dignitosamente.
E a muoversi, con mezzi di locomozione sempre più veloci e confortevoli. Mentre così, causa la produzione di CO2, la temperatura si alza, i ghiacciai si sciolgono, i mari andranno a occupare infinite aree costiere costringendo a spostarsi nell'interno intere popolazioni. Senza contare che serviranno ulteriori impegni per dar da mangiare a tutta questa gente, con ulteriori problemi nella produzione delle derrate alimentari, ormai frutto di un'agricoltura a tecnologia avanzata, che purtroppo già oggi contribuisce all'aumento dei disastri che già si possono toccare con mano e di molti altri che se ne prefigurano. Noi cacciatori, che frequentiamo tutto l'anno le campagne, lo sappiamo bene.
Ma cosa possiamo fare nel nostro piccolo? Difficile a dirsi. Di sicuro, arricchita la nostra conoscenza dei problemi e affinata la nostra sensibilità "ambientalista", ci dovremo adoperare per denunciare tutte le storture a cui il sistema è sottomesso. Per un'agricoltura sostenibile, per una ricerca a dimensione naturale, per favorire comportamenti responsabili. Per combattere ideologie da consumismo esasperato che a lungo andare ci renderanno tutti più poveri. Già si sta introducendo l'idea che né l'eolico, né il fotovoltaico saranno sufficienti a superare l'era dei fossili. Già si riaccende il dibattito sul nucleare: l'averlo bandito dal nostro territorio ci è servito a poco, se appena aldilà delle Alpi, a est a nord e a ovest, funzionano a pieno regime centrali a cui anche noi siamo collegati. Si spera nella nuova generazione di centrali per le quali si segnalano meno rischi. Ma se non ci daremo una regolata come specie, come comunità, come paesi, come stati, come individui senzienti, le future generazioni avranno enormi problemi.
Poi c'è da considerare il parallelo rimedio. La CO2 è elemento determinante per la produzione di ossigeno. Per cui, come dice il biologo vegetale Stefano Mancuso, piantando mille miliardi di piante riusciremmo a mitigare il clima. Impresa ardua, sembra, ma secondo Mancuso si può fare.
E allora, detto fra noi, la caccia che fine farà? A mio parere, se tanto tanto riusciremo a dare inizio a questo processo di ravvedimento operoso in tutto il pianeta, la caccia sarà un elemento essenziale per stabilizzare la presenza di animali selvatici ovunque, senza dimenticare che la cosiddetta biodiversità deve essere mantenuta in equilibrio fra terre, acque, specie vegetali, specie animali di tutti i generi: si parla delle api, giustamente, ma si glissa su tanti ordini di insetti che sono l'alimento essenziale di centinaia di specie di uccelli, per esempio. E in un pianeta dove tutto ormai si pretende di pianificare, la caccia e la carne di selvaggina potrebbero dare una grossa mano per ristabilire quel circolo virtuoso che - invece - se va avanti così, perderemo definitivamente entro pochi decenni.
Se lo vorremo, il nostro contributo sarà sicuramente importante.
Alessio Corsaro
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