Tempi duri per l'Italia. Mentre la LAC (Lega AntiCaccia), alla chiusura di stagione, per dare cifre che abbiano un minimo di consistenza, denuncia 1200 atti di bracconaggio in un anno - sempre deprecabili, per carità! - dimenticando che in Italia i reati di una certa consistenza (a carceri superaffollate) sono la bellezza (meglio, la bruttezza) di 7360 ogni 100.000 abitanti (quindi, considerando i nostri 700.000 cacciatori, si potrebbe dire che la caccia "produce" cifre irrisorie, pari a 1/42esimo, ovvero lo 0,024%, rispetto alla media), il rapporto Eurispes snocciola dati su dati che danno l'idea di quanti sfaccendati si perdono a osteggiare la caccia, mentre il paese soffre la più grave crisi dell'era moderna. Addirittura, il presidente Gian Maria Fara non esita a lanciare un sinistro avvertimento: il 2013 sarà l'anno cruciale, o in Italia si cambia registro, o non ci sarà più tempo per recuperare. Gli fa eco il presidente della Corte dei Conti, per ribadire che la pressione fiscale, troppo alta, va ridotta, soprattutto contrastando con decisione l'evasione fiscale, la corruzione, anche attraverso una decisa riforma della pubblica amministrazione. Al proposito, Fara, severamente, ricordando la pressione dell'Agenzia delle Entrate, richiama la necessità di costituire un ....Agenzia delle Uscite. Tutto questo a rimarcare che la situazione non è più sostenibile. Altro che problema della caccia! La gente non ce la fa più, come dimostra l'osservatorio sulle famiglie che denuncia una drastica riduzione dei consumi, e un rapido cambiamento delle abitudini, anche alimentari (anche l'Istat ha cambiato il "paniere").
E la LAC perde tempo a sparare sulla crocerossa, ovvero su di noi poveri cacciatori.
Invece, a ben guardare, se c'è una valvola di sfogo, seppur minima, all'indigenza verso cui stanno scivolando le classi più deboli, si dovrebbe ringraziare proprio la caccia, e in particolare il cinghiale, croce e delizia delle campagne nostrane, che tuttavia può essere considerato un vero e proprio salvagente per la quarta settimana. Insieme all'altra discreta fetta di "raccolto", costituita dagli ungulati in genere (capriolo e cervo in particolare) e da tutta l'altra selvaggina, che cresce praticamente a costo zero, a chilometro zero, a impatto zero sulla biodiversità, visto che almeno un terzo del territorio italiano non è soggetto all'attività venatoria.
Un po' di conti. Da anni, ormai, soprattutto il cinghiale fa parte del paesaggio. Fino a provocare - se non controllato - anche spiacevoli incidenti stradali. Data l'abbondanza, la sua caccia si è diffusa un po' ovunque in tutto il paese. Tipico della cultura venatoria della maremma, ha ormai suscitato l'interesse di vaste aree appenniniche, da nord a sud. I risultati degli abbattimenti lo testimoniano. In provincia di Genova, per esempio, quest'anno ne sono stati abbattuti 10.000, a Savona 8.248, a Bologna 5.000, in Piemonte 16.000, nel Sulcis Iglesiente 1.500. In Toscana si parla di ben più di 150.000 cinghiali presenti sul territorio, tanto che le loro scorrerie nei coltivi preoccupano da tempo non solo gli agricoltori ma anche le amministrazioni che cercano di correre ai ripari con leggi e regolamenti, ovviamente contestati dai soliti "animalisti/ambientalisti", che così pensano di far dimenticare il pluiridecennale fallimento della loro scellerate politiche. Adesso sembra che ci si metta anche l'Ispra, con linee guida sul prelievo degli ungulati, che potrebbero andar bene a Vittorio Emanuele II (se fosse ancora vivo, ovviamente), cacciatore e conservazionista tanto appassionato quanto...geloso del suo patrimonio di ungulati.
Insomma, mentre la caccia fra il 2012 e il 2013 perde uno 0,50 di simpatia nel gradimento degli italiani (Rapporto Eurispes 2013), chi volesse approfondire l'argomento, si accorgerebbe che la caccia e il cinghiale già contribuiscono, e più potrebbero contribuire, a sollevare una parte del disagio di molti italiani. Infatti - semplice constatazione - cercando di delimitare i danni, riducendo la polazione cinghiale alle sole "aree vocate", con la superficie forestale italiana pari a un terzo della superficie italiana (30.132.000 ettari), se ad esempio si calcola un capo abbattuto ogni 20 ettari (Liguria, 380.000 ettari di superficie forestale, all'incirca 20.000 capi abbattuti), si potrebbe realisticamente valutare il tableau nazionale a ben 500.000 capi abbattuti all'anno. (Qualcuno dice che già adesso potrebbero essere di più). Che significa, a una media di 30kg a capo, la bellezza di almeno quindicimila tonnellate di carne pregiata. Se consideriamo che nelle squadre di cinghialai una buona fetta di "postaioli" è costituita da persone anziane, pensionati, cittadini a redditto medio-basso, ditemi voi se non è giusto definire il cinghiale un vero e proprio salvagente per le famiglie più a rischio di questo nostro sventurato paese. Senza contare che cosciotti, ariste e fegatelli dell'irsuto abitatore della macchia finiscono spesso anche sulle tavole della Caritas.
Tanto dovevamo alla LAC, e a tutti quegli scriteriati che vedono la pagliuzza negli occhi del vicino e non si accorgono della trave che gli obnubila la vista. E della... tranvata che prima o poi li travolgerà, insieme a coloro che continuano a scambiare una risorsa per un danno. Le elezioni sono vicine.
Vito Rubini
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