Quella del “Canis” vero e proprio, termine con il quale oltre al cane domestico si intende anche il lupo, lo sciacallo, la volpe e tutte le specie appartenenti al genere Canis, è una lunghissima storia.
Il lupo, che Linneo denominò Canis Lupus, circa mezzo milione di anni fa era un carnivoro di poco più piccolo del lupo odierno. Infatti, tra le varie tesi, una delle più diffuse ritiene che il cane domestico non sia altro che un lupo addomesticato. L'ipotesi non è senza fondamento, anche se può sembrare strano che un lupo e un cocker siano individui di una medesima specie, ma è anche facile rilevare che per quanto riguarda i caratteri scheletrici le differenze sono minime e quindi i piccoli o grandi mutamenti possono essere attribuibili ad una quantità di cause.
Comunque sia, quali che fossero i suoi antenati e le sue ascendenze, in un certo tempo si generò un animale che ancora oggi chiamiamo cane, e che naturalmente, prima di essere addomesticato, fu selvatico.
Storia misteriosa anche quella della domesticazione. È comunque certo che, allo stato naturale, tra uomo e animale si sono costituite più o meno spontaneamente delle associazioni di lavoro, con reciproco vantaggio, per assolvere determinate incombenze. Per il cane, vivendo di caccia come l'uomo, forse è stato anche più facile: anziché considerarlo un avversario, certamente più intelligente e dotato, ha capito che era più vantaggioso stargli vicino e spartirsi quel poco o tanto che si riusciva a catturare.
Per logica accettiamo questa ipotesi, ma è anche certamente possibile che si siano dovuti impiegare chissà quali metodi “educativi”. Non lo sapremo mai.
Dal 476 d.C., fine del mondo antico, al 1453 decretato inizio dell'era moderna, il cane è stato mal sopportato e avversato in tutti i modi, ma per sua fortuna c'era la caccia, che non era svago o divertimento, ma una forma di lotta per la sopravvivenza.
Nel Cinquecento, il contrarsi della popolazione, l'aumento della selvaggina e l'attenuarsi della grande fame conseguita alle invasioni, fece diventare la caccia anche un sollazzo, fino ai fasti dei privilegi feudali. Grandi esibizioni di lusso e prestigio, spesso legate alle norme della cavalleria, anche se la grande passione per la caccia non giustifica una cinofilia esasperata, specie in un ambiente, quello feudale, dove sudditi e servi erano affidati al signore del territorio.
Ragguagli più precisi si trovano nei diritti popolari germanici, validi anche in altri Paesi, Italia compresa. Sono nominati bracchi, segugi, molossi e levrieri. Ovviamente non si trattava di razze stabili, ma di cani con determinate attitudini, infatti, alla fine del Medioevo i cani più usati erano i bracchi, che i francesi chiamavano “chiens courants” e gli inglesi “running hounds”. Notevole anche l'impiego di segugi, levrieri, alani e mastini, oltre agli “epagneuls” francesi e “spaniels” inglesi, nati per la caccia col falcone.
È l'epoca dei primi grandi trattati di veneria come il Myster of the game e il Miroir de Phébus del Conte di Foix, con indicazioni di allevamento, alimentazione e cura dei cani. Miniature e raffigurazioni servivano per illustrare, appunto, codici e trattati.
Con l'esercizio venatorio, che resta il motore principale, e il miglioramento del benessere e dei costumi, l'Europa del Quattro e Cinqucento gratifica il cane di nuova attenzione, compresa quella dei grandi artisti. In proposito è però curioso notare come, in mezzo a una quantità di opere e nomi famosi, nella pittura da cavalletto di Raffaello non si trova nessun cane, e Michelangelo addirittura li ignora completamente.
Con il Seicento aumentano quelle che ormai si possono più o meno definire razze; in particolare le varietà impiegate per la caccia, che si praticava, sostanzialmente, in tre modi: col falcone, alla posta e in corsa. Famosi gli equipaggi di uomini e cani dei re francesi e dei loro successori, analogamente a quanto succedeva in Spagna e Inghilterra. Il tramonto di vari privilegi, in particolare quelli relativi alla caccia, sempre una nuova vicenda per il cane, naturalmente indifferente al ceto e alla potenza del padrone. Si affermano sempre di più i bracchi di varie origini: italiana, francese, spagnola e tedesca. In Inghilterra, attraverso selezioni rigorose, gli allevatori mettono a punto una vasta serie di setter e il pointer, un fermatore a pelo raso, capolavoro della scienza selettiva. La loro diffusione fu rapida in tutti i Paesi d'Europa, insieme ad altre razze e varietà.
Con il progressivo aumento di interesse per il cane, si cominciarono a garantire e trasmettere determinati caratteri, cosa sicuramente vantaggiosa per gli animali. Il processo prese avvio dalle principali razze venatorie e si estese rapidamente anche a quelle da compagnia e da guardia.
La prima mostra canina fu allestita in Inghilterra nel 1859 e nel '65 il primo concorso internazionale a Islington.
Al tempo erano considerate tre sole categorie: cani da caccia, da guardia e di lusso; niente che ne indicasse caratteristiche morfologiche e genealogia. Si rese perciò evidente la necessità di un sistema di registrazione d'ordine, puntando al miglioramento delle razze con l'impiego di cani “purosangue”. È l'inizio anche per l'Italia, dello stud book. Grazie al lavoro di grandi cinofili e soprattutto del Pointer e Setter club, al tempo diretto dal duca d'Aosta ed Emilio Scheibler, iniziano le pubblicazioni del libro origini e libro dei prefissi e suffissi.
Così, a partire dal 1881, con la prima esposizione italiana a Milano, questo gruppo di “egregi gentiluomini” arriva a far maturare l'idea del Kennel Club Italiano, Società costituita a Milano il 21 febbraio 1898. Dai 204 iscritti iniziali si passa a più di 1000 ai primi del Novecento. Dopo l'immane tragedia della Grande Guerra, il Kennel Club continua la sua opera e nel 1926 ottiene il riconoscimento ufficiale del Ministero. Vengono redatti i primi standard, sancite le classi e approvato il Regolamento giudici.
Nella seduta del 10 novembre 1930 nasce l'ENCI, Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, che sostituisce il Kennel Club. Scopo prioritario dell'Ente è quello di tutelare la Conservazione di tutte le razze canine e disciplinarne l'allevamento, favorendone l'impiego ai fini sportivi, zootecnici ed economici.
Il secondo conflitto mondiale provoca e aggiunge enormi difficoltà, ma la ripresa, con la guida di Carlo Speroni è immediata; nel 1948 si superano le diecimila iscrizioni.
Negli anni '60 e '70 la FCI (Federazione Cinologica Internazionale) stabilisce la classificazione delle razze in categorie e gruppi, ufficializzandone regolamenti e normative. In questo periodo vengono anche definiti e adeguati numerosi standard, nascono i Club di Razza e i field trials; con le iscrizioni nei libri Genealogici in continuo aumento, la cinofilia italiana raggiunge un elevatissimo livello tecnico, testimoniato dai risultati anche in campo internazionale.
Dobbiamo enorme riconoscenza a moltissimi cinofili e cinotecnici. Per l'Italia due nomi di riferimento: Giuseppe Solaro e Giulio Colombo.
Mario Biagioni
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