Ilaria Capua la conosciamo tutti. Oggi. E' da mesi in televisione, da mattina a sera, a far da corona ai tanti talk su questa sciagurata vicenda che sta intristendo e impeverendo il mondo. E noi tutti, italiani ed europei. Per noi cacciatori era nota anche prima, diversi anni fa, quando all'epoca dell'aviaria rese di dominio pubblico la sequenza del genoma del virus che faceva stragi nei nostri allevamenti, compreso quelli di alcune specie collegate alla caccia, fagiani e starne, e anche germani, in particolare.
In quell'occasione dimostrò il suo senso civico e le sue idee sul patrimonio della ricerca, che deve essere messo in comune, a vantaggio di tutta l'umanità. Una scelta che, insieme a un encomio generale, le valse un elezione in parlamento, ma le fece anche guadagnare una violenta campagna di delegittimazione, come se avesse commesso i peggiori crimini del mondo. Andata a processo, fu assolta ovviamente, ma la vicenda la convinse a mollare questo paese e a ricominciare la sua attività di ricercatrice. Ma in America. Mostrando a tutti una personalità ferrea e una determinazione, che le proveniva da un'educazione familiare (il padre, l'avv. Carlo Capua, era un grande cinofilo e un appassionato cacciatore) e accademica (indirizzata alla professione veterinaria) che le aveva fatto conoscere e amare profondamente la natura e gli animali.
Chi oggi l'ascolta, quando si confronta sulle vicende di questa tragica pandemia, non può fare a meno di notare lo stretto legame fra la sua competenza scientifica, la sua saggezza e la sua umanità. Frutto di una cultura umanistica che, appunto, proviene da lontano, dalle sue esperienze professionali e di vita.
In questi giorni, ha raccolto grandi consensi la pubblicazione di un estratto del suo ultimo libro, "Il dopo - Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale", nel quale invita a riflettere sui cambiamenti a cui ognuno di noi è soggetto nell'affrontare le diversità.
Alcune verità che descrive sono attinte dalle sue esperienze professionali. La vicenda della nutria, per esempio, importata in Italia un secolo fa dal Sud America per farne "pellicce", è emblematica per definire azzardato il concetto di libertà della natura preso a modello da tanti animalisti nostrani. Finito il business, come tutti noi sappiamo, quelle nutrie furono "liberate" in natura. E oggi costituiscono uno dei problemi ambientali più gravi che assillano gli amministratori locali di molte parti del paese. In alcuni casi, sono state la causa di vere e proprie alluvioni. Senza dimenticare i guasti provocati dal lupo, dall'orso e - perchè no - anche da una errata gestione di alcune specie oggetto di caccia.
"Abbiamo capito sulla nostra pelle - scrive la Capua - cosa può accadere se si mescolano specie provenienti da continenti diversi. Mi piacerebbe che questa consapevolezza non ci portasse solo a finanziare una delle varie associazioni per la tutela del pangolino in estinzione: immagino che da domani i loro siti Internet saranno impallati da richieste di informazioni! Il trovarci faccia a faccia con un virus nuovo, proveniente da una foresta asiatica, passato per due animali che non avrebbero mai dovuto trovarsi nello stesso posto - dichiara la scienziata - e diffusosi su scala globale a una velocità insostenibile anche per l’uomo, ci costringe a fare i conti con il nostro ruolo sulla Terra. Che deve necessariamente evolversi da quello di invasore a quello di custode del pianeta e dei suoi equilibri. Volenti o nolenti, infatti, siamo noi la specie che ha la capacità di comprendere i meccanismi che regolano la natura e, di conseguenza, ne ha la responsabilità. Conoscere e, quindi, tutelare la biodiversità deve essere uno dei nostri compiti primari, per almeno due ragioni: innanzitutto per proteggerci dai «pericoli» che essa cela (ovvero i patogeni a noi sconosciuti che albergano in tutte le specie animali); in secondo luogo, perché la biodiversità è una ricchezza straordinaria anche in termini di soluzioni agli stessi pericoli che genera".
Grande verità, che la tanta demagogia che pervade la nostra società e la nostra politica, senza alcuna esclusione purtroppo, viene spesso nascosta, quando non addirittura negata. Forse, non sarebbe male che anche noi, cacciatori, vi ponessimo un po' più di attenzione e ci facessimo testimoni, portavoce di una realtà, una civiltà che ancora ci appartiene, ma che senza sufficienti conferme sarà destinata a scomparire.
Vito Rubini