DIRITTI E ROVESCI. Si racconta che tempo fa ma non tanto, in occasione di una delle frequenti trattative bilaterali fra Francia e Russia, Sarkozy e la sua delegazione ebbero a chiedere a Putin e ai suoi di rivedere la posizione della Russia in merito alla
croule, la caccia alle beccacce che in alcune zone dello sterminato paese europeo si pratica ancora all’epoca degli amori. I russi risposero che era una tradizione dei loro cacciatori e che comunque avrebbero fatto sapere. Dopo poco tempo, con molta determinazione, la risposta arrivò. “Dalle ricerche che abbiamo effettuato – dissero i russi - abbiamo appurato che ogni anno, in Russia, nel periodo della
croule, vengono abbattute 20-30mila beccacce, non di più. Mentre risulta, sempre sulla base di dati statistici, elaborati dal consesso tecnico e scientifico internazionale, che in Francia le beccacce abbattute nel corso di una stagione siano almeno un milione e mezzo. Perciò, quando vorrete, potremo affrontare l’argomento beccacce in termini globali.”
Questa la risposta, e di beccacce, e di croule, sembra proprio che fra russi e francesi non se ne sia più parlato. Anche perché ai francesi e ai russi interessava più continuare a fare affari, che stare a litigarsi per una beccaccia in primavera piuttosto che cinquecento beccacce in autunno, visto fra l’altro che nel suo areale, Ispra permettendo, la specie non è in sofferenza. Più o meno, lontano da noi ogni paragone blasfemo - per noi, l’essere umano è ancora un essere umano e l’animale, con tutto l’amore e il rispetto, è ancora un animale – è la pantomima, ridicola se non fosse tragica, per cui tutto l’occidente, Italia compresa, continua a corteggiare la Cina, nonostante là i diritti umani vengano quotidianamente calpestati. La stessa pantomima a cui assistiamo in Europa, faro di civiltà, assolutamente subalterna agli Stati Uniti, anche se là, oltreoceano, vanno avanti con la sedia elettrica, quando da noi la pena di morte è stata messa al bando da tante ma tante stagioni.
Ha un significato, tutto questo? Si, certo che ce l’ha un significato. Da quando mondo è mondo, gli interessi di bottega consentono dimensioni variabili all’etica. E se, con tutto questo, per un attimo ci permettiamo di ricordare le nostre piccole miserie (la ridicola farsa delle deroghe), a qualcuno potrebbe anche venire in mente che per gli interessi di bottega di qualcuno (italiano ovviamente), si sta vendendo quel minimo di dignità che ci rimane, immolandolo sull’altare del rigore ambientalista. E diciamo rigore, non nella sua accezione di “severità”, ma considerando il termine alla stregua di un “penalty”, la massima punizione calcistica. Ovviamente, nel nostro caso, l’arbitro è come minimo strabico, perché nel mentre fischia il fallo (ma quale?) alla nostra compagine, non vede che in campo c’è tutta una squadra che sta facendo strame delle regole.
DEROGHE. Non è certo con i sotterfugi, con l’andazzo da decenni operante – non solo per le deroghe – per cui sembra di vivere nel paese degli azzeccagarbugli. E la caccia è solo l’ultimo dei temi a cui collegare questa discutibile filosofia di vita, che soffoca ogni dignità. No. Se vogliamo recuperare un immagine positiva alla nostra passione, dobbiamo smetterla di dare credito agli avvocati delle cause perse, ai rappresentanti del popolo (quale?) che promettono sapendo di non essere in grado di mantenere, in cerca perenne di consensi ma che nel momento della resa dei conti spariscono dalla circolazione, ai dirigenti grandi e piccoli delle nostre associazioni, grandi e piccole, che non fanno altro che litigare per una tessera in più o, peggio ancora, per farsi belli con il segretario politico del partito di riferimento. No. La strada è un’altra. E’ quella della risolutezza. Orgoglio, signori, certezza della bontà delle nostre posizioni. Determinazione nel voler riaffermare i principii. I principi di una attività che oggi ancor più di ieri ha diritto di cittadinanza nelle nostre comunità.
Dobbiamo partire dalla verità. Dalla verità incontrovertibile che non è certo la caccia che nel nostro paese può mettere a rischio la consistenza delle popolazioni faunistiche. In un paese dove, fra ninnoli e nannoli, si conta quasi il cinquanta per cento del territorio dove l’attività venatoria è impedita. In un paese dove gli squilibri ambientali sono ormai quotidianamente sotto gli occhi di tutti e anche un marziano sa che ciò è dipeso da un’errata politica ambientale, che è sempre stata in mano agli speculatori, ai tanti amministratori, a una gestione della cosa pubblica a dir poco sciagurata. A una politica dei parchi che fa acqua da tutte le parti, connotata soprattutto dallo sperpero di denaro pubblico, clientele, farneticazioni anticaccia e poco più.
Oggi si vocifera di messa in mora dell’Italia da parte della Commissione Europea, a causa di inadempienze di alcune regioni. Si minacciano sfraceli di multe milionarie, se non miliardarie. Si prende a riferimento il mancato rispetto di linee guida dell’Ispra, quando ci si rifiuta di adottare la guida interpretativa della Direttiva Uccelli prodotta in sede europea. Quando ci si rifiuta, il Governo si rifiuta, di rendere operative, invece, quelle sì, necessarie, le conseguenti linee guida da mesi ferme in un rimpallo fra ministeri, perché un certo andazzo ambientalista, ormai bolso, non più credibile – e soprattutto non più sostenibile economicamente, visti i tempi che corrono – pretende di dettare legge.
Insomma, le deroghe non sono la caccia, ma proprio per questo non si può più permettere che ci massacrino solo perché certa gente, senza più nemmeno consistenza politica, pretende di continuare a orientare l’opinione pubblica, con argomenti privi ormai di ogni minima credibilità.
ISPRA. Come gran parte dei partiti politici che ancora la fanno da padroni malgrado lo sconcerto che dilaga in tutto il paese, anche l’ISPRA/Fauna ha cambiato diverse volte il nome (Laboratorio, INFS etc). Nasce con la caccia, per la caccia, e sopravvive ancora con i soldi dei cacciatori, pur se adesso, per le mene dei soliti maneggioni di palazzo, da anni dipende dal Ministero dell’Ambiente, accorpato a un’istituto di ricerca (l’ISPRA, quello vero) che quando emette rapporti annuali dichiara – sostanzialmente – che la caccia non ha alcuna influenza sulla realtà faunistica italiana, e immediatamente si smentisce certificando (ISPRA/Fauna) col crisma della scienza azzardate “opinioni”, nate altrove, probabilmente frutto anche di palesi conflitti di interessi. Opinioni, come quelle, politiche, che la stessa branca di “scienziati” pretenderebbe che fossero prese per oro colato e adottate acriticamente da chi governa la caccia sul territorio.
Quindi, l’ISPRA, continui a fare l’ISPRA, sotto l’egida del Minambiente. E il Minambiente e il Governo gli diano retta, quando denuncia i disastri ecologici e i dissesti del territorio che tutti conosciamo. Quell’altra, l’ ISPRA/Fauna, torni a chiamarsi Istituto Nazionale della Fauna Selvatica; torni sotto il controllo del Ministero dell’Agricoltura, che è il dicastero competente per la materia di cui dovrebbe occuparsi. Dia soprattutto pareri tecnici a chi glieli chiede, glieli paga, ne ha bisogno. Se possibile coordini gli Osservatori Scientifici presenti sul territorio, molto più attrezzati per fare ricerca applicata. E – questo è davvero essenziale – lasci stare la politica.
Alberto Belloni