E' uno dei vanti del nostro bel paese baciato dal sole: grazie a miracolose combinazioni di microclimi particolareggiati, di regione in regione, anzi di provincia in provincia, si raccolgono delizie altrove irriproducibili come il pomodoro di Pachino, la nocciola del Piemonte, le lenticchie di Castelluccio di Norcia o il Fagiolo di Sorana, solo per citare alcuni degli 84 ortaggi che si sono guadagnati la certificazione IGP sul campo, sugli stessi terreni coltivati da centinaia di anni da generazioni di contadini. Produzioni Dop come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, le centinaia di etichette di vini di altissima qualità e di olio extravergine d'oliva per tutti i gusti e per tutte le tasche, completano il quadro del patrimonio agro alimentare italiano: una vera e propria punta di diamante per il made in Italy, moltiplicatore della domanda turistica insieme al patrimonio artistico e culturale.
Eppure molti paesaggi rurali spariscono inesorabilmente di fronte all'avanzare delle periferie cittadine e su grandi appezzamenti di terreno fioriscono come funghi pale eoliche devastanti per l'ambiente circostante e distese di pannelli solari. E' l'effetto della corsa sregolata alle energie rinnovabili, condotta per lo più da affaristi di ogni sorta e in alcuni casi dagli stessi agricoltori, che cercano nuovi modi per stare sul mercato.
E' un dato di fatto che il maggior margine di crescita lo dà in questo momento il settore dell'energia verde. Pannelli solari installati su serre e appezzamenti di terreno, biomasse, biocarburanti, impianti eolici: un numero sempre maggiore di imprese agricole scelgono di autoprodurre l'energia che serve per far funzionare i propri impianti e, possibilmente, di guadagnare su quella prodotta in eccesso. “L'agricoltura vuole essere protagonista degli investimenti sulle rinnovabili, ma senza sacrificare la sostenibilità e la tutela del territorio” si legge in un accurato lavoro sul tema realizzato da Comunicare energia in collaborazione con Coldiretti. E' proprio sul tema della sostenibilità che l'agricoltura intende puntare, cogliendo l'occasione di sfruttare il sistema degli incentivi pubblici per supportare le proprie campagne sulla filiera corta e il biologico (ad esempio con impianti alimentati da biomasse di origine locale), e, al contempo divenire attori importanti sul piano dell'approvvigionamento energetico.
L' “agroenergia” viene infatti presentata come un'opportunità di sviluppo per le imprese agricole. E i numeri aiutano a capire perché: con 300 mila impianti fotovoltaici installati presso le aziende agricole (per un totale di 500 MW di energia), 53 impianti per le biomasse solide (573MW), 521 produttori di biogas a 350 MW, il contributo al bilancio energetico delle rinnovabili agricole, è già del 2,2 % del bilancio energetico nazionale. Ma è soprattutto in prospettiva che il fenomeno mostra tutta la sua potenzialità. Lo scenario previsto da Coldiretti immagina un raddoppio della produzione energetica agricola entro il 2020, stimando la quota di espansione potenziale al 5,9% del fabbisogno nazionale. Negli ultimi anni la crescita del numero e della potenza degli impianti fotovoltaici è avvenuta a ritmi molto sostenuti. Gli impianti esistenti a fine 2008 sono circa cinque volte di più rispetto a quelli installati fino al 2007. Nel 2009 e nel 2010 più che raddoppiano rispetto all’anno precedente: in testa nella produzione energetica solare c'è la Puglia che, con meno di 10 mila impianti, grazie ovviamente alla sua posizione soleggiata, produce il doppio dell'energia della Lombardia, che ne conta quasi 25 mila. Seguono, a sorpresa, altre regioni non particolarmente baciate dal sole, come Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.
Ma se le fonti rinnovabili si presentano come qualcosa di estremamente intelligente in grado di abbattere le emissioni tossiche, nel nostro paese, che spesso certo non brilla per lungimiranza, c'è ancora molto lavoro da fare per raggiungere quella sostenibilità tanto agognata, di cui spesso ci si fodera entrambi gli occhi a tutto vantaggio di meri interessi corporativi. In molte zone d'Italia infatti l'agricoltura non è stata aiutata da qualche pannello solare ai margini delle coltivazioni, ma le ha sostituite e sacrificate a fronte di guadagni facili. Per molti agricoltori, vessati dai danni causati da fenomeni atmosferici e specie invasive, e dal crollo del prezzo sui mercati dei prodotti, il ricorso al solare, al di là dei bei discorsi sull'energia pulita, è una comprensibile via d'uscita dopo mille porte chiuse di fronte alle legittime richieste di una maggiore tutela del loro preziosissimo lavoro.
A ciò si aggiungono speculazioni di ogni sorta, che non escludono, purtroppo, le intromissioni da parte della malavita organizzata. Non è un caso che gran parte dei pannelli solari installati siano ancora non integrati ad edifici o altre strutture (condizione niente affatto conveniente vista l'estensione territoriale italiana e la doverosa tutela del paesaggio, vincolo – spesso aggirabile - che giustamente riguarda molte regioni). In Puglia si raggiungono addirittura l'87% di impianti a terra (ovvero circa 15 milioni di metri quadrati di terreno), seguono Basilicata (66%) e Sicilia (56%), tutte regioni ancora fortemente rurali, in cui l'agricoltura costituisce un motivo di orgoglio e un pezzo importante delle tradizioni locali. La situazione cambia al nord dove il rapporto è a vantaggio dei sistemi integrati, con esempi virtuosi come la Valle d'Aosta e il Trentino Alto Adige (regioni da anni convertite al solare domestico) ma anche la Lombardia, con l'89% di pannelli integrati o parzialmente integrati. Scenario simile per l'eolico, fiorito in molte regioni del sud in maniera eccessiva, senza per altro portare vantaggi alle economie locali (le pale sono installate da società private, spesso straniere, che non reinvestono nulla dei loro consistenti introiti nelle zone interessate). Per l'eolico poi si aprono ulteriori problemi che riguardano la salute umana e l'impatto negativo sull'ambiente e sulla fauna selvatica.
Le giuste obiezioni sull'impiego delle rinnovabili non devono farci dimenticare però l'oggettiva importanza di investire risorse e impegno per arrivare ad ottenere energia davvero pulita al minimo dei compromessi possibili. A onor del vero l'Italia sta facendo la sua parte nella fase più importante, quella della progettazione e della ricerca. Come lo studio su celle solari di nuova generazione, molto più efficienti di quelle attualmente in commercio, condotto dalla società pubblica Rse a Piacenza o i nuovi modelli di mini eolico (piazzabile su tetti e pali della luce) lanciati sul mercato dalla ditta torinese Deltatronic.
Non si può far finta di nulla di fronte all'evidenza dei danni prodotti all'ambiente da petrolio e carbone e alla certezza che queste fonti siano agli sgoccioli. Se ne sta accorgendo anche il mercato automobilistico, che inizia a mettere in circolo modelli ibridi sempre più efficenti. Si calcola che entro il 2040 i tre quarti degli spostamenti in auto saranno elettrici. Questo vuol dire che le energie rinnovabili sono per forza di cose destinate a crescere. E che se non si investirà pesantemente sulla scienza su nuove soluzioni meno impattanti, anche che dovremo probabilmente sacrificare altri pezzi del nostro prezioso territorio. E per evitare questo, lo diciamo da cacciatori che si preoccupano di quel paesaggio antropizzato che per secoli ha “protetto” il nostro patrimonio faunistico, non basterà tutta la tecnologia di questo mondo, se non cominceremo a riflettere sullo sciagurato modello di sviluppo che sta soffocando il pianeta.
Cinzia Funcis