In un mondo che spesso fa pensare a un imminente, ineluttabile disastro, le persone con la testa sulle spalle devono fare il possibile per usarla. E usarla bene. Le sfide che ci attendono come abitanti del pianeta sono immani. Ce ne dobbiamo far carico, ognuno per la propria competenza e per il ruolo piccolo o grande che riveste nella società. Lo faremo, lo dobbiamo fare. Ma a noi, che viviamo nella caccia e per la caccia, interessa anche quest’altro micromondo, e vogliamo occuparcene. Dobbiamo occuparcene. Il Senatore Collacchioni, un secolo fa, diceva che in mezzo agli affanni, è bello parlare di caccia.
Per una volta, quindi, dimenticando di guai più grandi, convinti che anche per sostenere la caccia si deve lottare quotidianamente, cerchiamo di darci forza e ricordare a noi stessi quello che spesso, nei momenti di sconforto, non riusciamo ad apprezzare. Anche perché, per raggiungere l’obiettivo, è indispensabile avere ben chiari i nostri punti deboli ma anche valorizzare i nostri punti di forza. E a noi, al nostro mondo, di sicuro non mancano.
Partiamo dallo spirito. Dai nostri sentimenti. Giustizia, onestà, onorabilità, rispetto fanno parte del nostro modo di essere. Lo testimonia la nostra licenza di caccia. Se non fosse così, non ce l’avrebbero concessa. Siamo persone rispettabili. E ne dobbiamo andare fieri.
Siamo persone responsabili. Consapevoli di usare un arma. Chi contesta la nostra pericolosità lo fa sulla base di elementi inconsistenti. Sciare, cercare funghi, ad esempio, sono attività molto più pericolose della nostra. Lo dicono le cronache, lo dicono i dati.
Andiamo a caccia negli scenari più ricchi di cultura del mondo. Il paesaggio è da millenni a nostra dimensione, modellato dal nostro ingegno, estratto dalle viscere della natura che a volte è madre, ma spesso è matrigna.
Il nostro impegno di cacciatori ha difeso un patrimonio faunistico che tutti ci invidiano. Dove non si pratica la caccia, spesso l’incuria, l’ingordigia speculativa, un ambientalismo di maniera producono il deserto. Altro che tutela dell’ambiente. Lo si capisce bene dal rapporto dell’ISPRA, che contrariamente a quanto ci vogliono far credere, non prevede l’attività venatoria fra quelle che mettono a rischio la biodiversità. E questo lo dobbiamo sostenere a gran voce.
Nonostante tutto, nonostante le campagne anticaccia messe in atto con virulenza da più parti politiche, abbiamo un sessanta per cento degli italiani che - se non ci apprezza appassionatamente - quantomeno non ci disprezza. Anzi, sono in molti moltissimi a professarsi nostri amici. Il nostro impegno dovrà essere quello di convincere l’altro quaranta per cento a capire l’importanza della nostra presenza sul territorio.
In Parlamento abbiamo ben centotrenta fra deputati e senatori che ci sostengono ufficialmente. Contro di noi registriamo solo alcune decine di scalcagnati, spesso in contraddizione fra loro. La senatrice Poretti, radicale, mentre ci avversa in tutti i modi perché siamo minoranza nella società, ci accusa di aver imposto in Toscana una legge ultra permissiva. Dimentica però di dire che quella legge è stata fortemente voluta dagli agricoltori e dallo stesso presidente della Regione. E soprattutto, è stata approvata quasi all’unanimità (se non andiamo errati, su sessantacinque consiglieri, con la sola astensione di un verde e con il voto contrario di un rappresentante di rifondazione comunista). Caso eccezionale anche in Toscana. L’onorevole Giammanco, berlusconiana, discepola della ministra rossa animal friendly, mentre si strappa i capelli per le vittime della caccia, giura che nessun rappresentante della maggioranza ha mai avanzato proposte estremiste a favore dell’attività venatoria. Perché non ci spiega allora, poverina, come mai la proposta Orsi, fino a prova contraria suo collega di partito, giace lì, negletta, in commissione ambiente del Senato, a causa anche degli strali dei suoi accoliti Brambilladipendenti? Perché non la sostiene, la Giammanco? Perché non la fa sostenere dai suoi, invece di sottoscrivere mozioni di fuoco contro qualsiasi modifica della legge?
Abbiamo un associazionismo spumeggiante. Anche se, fra di noi, ci accusiamo a vicenda di non fare abbastanza. O di sprecare le nostre energie per sostenere l’insostenibile. Ognuna della decina e più di associazioni, fra riconosciute e non riconosciute, raccoglie migliaia e migliaia di attivisti. Un grande patrimonio. Non c’è categoria che possa vantarne altrettanti. Pensate un po’ se invece di dividersi sui dettagli, questi nostri animatori si unissero sui principi. Un unico ideale, un unico obiettivo, un unico coordinamento. La caccia in Italia, si sa, non ha un’anima sola. Sull’arco alpino la si intende in maniera diversa che in Sicilia. In Calabria si fa fatica a introdurre i concetti dell’Alto Adige. Ma anche questa è una ricchezza. Pensate, per un momento, agli Ambiti territoriali di Caccia (ATC). A Cremona se ne contano sette, a Piacenza diciassette, mentre a Pistoia ce n’è solo uno. A Bolzano invece ci sono otto distretti, ma ogni comune ha una sua riserva con rigidi regolamenti: in sostanza, vi possono cacciare solo i residenti nel comune. In Puglia, escluso Foggia, che ne ha due, le altre province ne contano solo uno a testa. Una mappa variegata, come si vede, ma che dimostra una cosa importante. Aldilà delle consuetudini, delle situazioni faunistiche e venatorie, la gestione della fauna, dei territori di caccia, dell’ambiente favorevole al passaggio e alla sosta degli animali selvatici, è di nostra stretta competenza. Siamo noi che possiamo fare la differenza. E si vede. In molte aree a parco o comunque interdette alla caccia - e sono sicuramente più di un terzo del territorio italiano – ci si trova di fronte a situazioni faunistiche e ambientali a volte disperate. Mentre i nostri “Ambiti” sviluppano realtà ecologiche sicuramente più coerenti. Pensiamo per un attimo cosa potrebbero essere anche le aree a parco se ci consentissero di fornire la nostra esperienza, la nostra competenza,, la nostra dedizione anche in quelle zone. Per ora non ci è consentito di dire la nostra, ma noi ci dovremo adoperare fortemente per entrare a far parte anche degli organi amministrativi dei parchi. In un modo o nell’altro. Qualcuno, alla chetichella, l’ha già fatto. E’ un buon segno. E ne dovremo essere orgogliosi.
Per questo, insieme al rinnovato impegno a difesa delle nostre tradizioni, della nostra storia, del nostro patrimonio umano che si applica con dedizione alla salvaguardia del comune bene ambientale, dobbiamo essere orgogliosi di vivere da protagonisti una vicenda, quella venatoria, che nella varietà delle sue espressioni riserva ancora gioie, emozioni, speranze.
Piero Galigan |