Ambienti, forme di caccia non praticate e razze di cani poco conosciute. Se qualche volta capita di parlarne, gli amici ascoltano e pensano, credo, a una specie di confessione laica, frutto di ricordi e lontanissime immagini. La confessione vera è che il riconoscerlo mi dà un po' di fastidio, ma in sostanza è così. Magnifiche sensazioni vissute da ragazzo in una terra allora ricca per la caccia, e i cani semplicemente distinti in “da lepre” e “da penna”.
E proprio il mondo dei lepraioli, che io ho vissuto piuttosto di riflesso, è quello che ancora mi incuriosisce ogni volta che si torna a parlare di razze, varietà, caratteristiche e impiego.
In quel mondo c'è anche una sorta di rammarico per un qualcosa che non sono mai riuscito a spiegarmi: in generazioni di cacciatori della mia famiglia, stranamente neanche l'ombra di un cane da seguita.
Ce n'erano però tanti dei nostri amici cacciatori, quelli che prendevano accordi per non trovarsi in difficoltà con i cani nelle stesse zone. Animali sobri e di una certa eleganza, dallo sguardo tranquillo, allevati e addestrati in modo semplice e razionale da cacciatori veri.
Ho la sensazione che dopo tanti anni, qualcuno saprei riconoscerlo anche per nome. Tutti sotto i cinquanta centimetri di taglia e certo non esempi di standard, ma agili e funzionali. Particolarmente utili, si diceva, per cacciare al meglio la lepre in collina e in appennino. Usati sia da soli che in coppia, scovavano e seguivano in modo superbo. Per inciso, negli stessi anni si parlava anche di un piccolo segugio a pelo forte, con taglia e caratteristiche simili ai nostri, abbastanza diffuso in Piemonte. Le cose però stavano rapidamente cambiando. Ormai da anni era stato approvato lo standard e questi soggetti iniziarono a scomparire; per fortuna, particolarmente gli appassionati del segugio italiano, si resero conto di cosa si stava rischiando e furono fatte delle proposte, dando anche incarico all'ing. Migliorini Balderi di stilare le norme tecniche per il riconoscimento ufficiale del tipo per un segugio italiano di media taglia, in grado di poter utilmente sostituire i numerosi briquets e bassets importati principalmente dalla Francia.
Il cambiamento di questa caccia si poteva anche notare nei primi tentativi di organizzare piccole o grandi mute, con relative enormi difficoltà per chi non aveva né esperienza, né preparazione. Così, l'ottenere un insieme equilibrato e in armonia, con voci distinguibili che raccontano tutto quello che sta succedendo, era una pia illusione, rifiutando ostinatamente di rendersi conto che erano cose diverse e magari prendendo a riferimento razze e varietà di segugi francesi o inglesi, selezionati da secoli per il lavoro di muta e che ovviamente si adattavano male a quello di coppia o anche di piccola muta.
In proposito Emile Guillet, famoso giudice francese che conosceva bene anche le diverse situazioni italiane, ebbe a dire che qualunque segugio risponde bene nella propria regione d'origine, facendo notare che proprio per questo in Francia esistevano 43 razze di segugi, poi ridotte, sembra, a 32.
Per fortuna da noi il centro delle attenzioni è sempre stato il segugio italiano, da tutti ritenuto il miglior cane da lepre, ma anche da sempre discusso e proposto come migliorabile e modificabile.
Tutti poi ricordiamo le vivacissime polemiche di trenta o più anni fa, quando alcuni segugisti accusarono apertamente Mario Quadri di favorire e incrementare le importazioni di segugi stranieri. La cosa, piuttosto strana, suscitò molto imbarazzo perché, insieme al Prof. Solaro che aveva redatto lo standard e al mitico Zacchetti, il fondatore della Pro Segugio, era noto a tutti come il massimo assertore del segugio italiano.
In verità, il fenomeno delle importazioni aveva assunto in quegli anni proporzioni a dir poco allarmanti e il clima derivato era quello.
Poi, come quasi sempre succede, le cose in qualche modo si sistemano, anche se magari ognuno resta della propria idea; così, a seguire, tornano i mugugni, le proposte e le polemiche. Mi sento proprio di potervelo assicurare, visto che certe cose le ho vissute, è vero, abbastanza dall'esterno, ma per tanti anni.
E nel bagaglio di ricordi di quel periodo, c'è anche una piacevole stranezza che potrebbe addirittura far sembrare meno laica l'occasionale confessione: pur senza mai utilizzarli, ho avuto la fortuna di conoscere, seguire e ammirare una quantità di segugi grazie a due sacerdoti, tra loro piuttosto distanti nel tempo.
Don Ugo, parroco nella piccola parrocchia dove sono nato, era un bravo prete e un grande cacciatore. A noi ragazzi spesso ci riempiva di scapaccioni, ma sapeva farsi seguire; sbrigativo e di buon senso, ascoltava tutti e non aveva paura delle critiche.
Nella lista dei miei difetti – diceva – c'è una grande debolezza. Anche se non sono a caccia, quando sento la canizza su una lepre non resisto alla tentazione di correre alla posta più vicina.
E non si è neanche mai saputo se fossero malignità, ma si raccontava che qualche volta, in chiesa, ci fossero state strane accelerazioni del latino con successive precipitazioni corse verso i campi.
Posso invece testimoniare che quando tornava, spesso con la tonaca inzaccherata, era sempre contento anche senza lepre, e prima che qualcuno aprisse bocca ripeteva: “Il buon Dio capisce. Non è mica come voi”.
E tutti noi, appunto, ci siamo sempre chiesti cosa il buon Dio avrebbe dovuto capire delle lepri, del prete e dei suoi parrocchiani.
Don Ugo non era mai stato proprietario di nessun cane, ma erano praticamente suoi quelli di tutti i cacciatori del circondario. Appassionato e preparato, conosceva pregi e difetti di ognuno dei soggetti che frequentava; dava consigli e spesso decideva su preparazione e impiego, suscitando interesse e passione per quei piccoli cani anche in quelli come noi, che segugisti proprio non eravamo.
Nel dopoguerra poi è successo di tutto e tanto velocemente da non potersene quasi rendere conto; dopo molti anni, forse troppi, era destino che fossi ancora una volta fortunato nel mondo dei segugi. Da una conoscenza piuttosto casuale sono diventato amico di Don Nando Armani conosciutissimo, appunto, come il prete dei segugi. Da sempre li ha allevati, addestrati e portati a caccia. Quelli “pronti” li vendeva per costruire e arredare la chiesa della sua parrocchia. Spiegava e raccontava le cose con una semplicità disarmante, proprio come se tutto fosse facile e dovuto. Poi, anziano e ammalato, ripeteva spesso: “Fate le cose che conoscete e con passione. Riescono sempre”.
Fortunatamente questa passione per la caccia e per i segugi è tramandata dai suoi scritti. Cita spesso Zacchetti, che esortava a ricercare, oltre alla bontà, anche il tipo. Poi il giudice francese Saint Jean che chiamava “i segugi del nonno” quelli adottati per la caccia in zone diverse. Per cacciare la lepre in Appennino, ripeteva, il cane deve avere caratteristiche particolari e diverse da quelli usati in pianura. Per collina e montagna ci vogliono cani più frugatori, caparbi, tenaci, e in pianura di taglia maggiore, più calmi e maneggevoli. Ma in ogni caso, qualsiasi buon cane da seguita deve saper accostare, scovare e inseguire con volontà e intelligenza venatoria.
Sapendomi poi legato a Solaro e al Pointer, ogni tanto mi dava una spillatina: l'ho anche scritto- Guarda che Solaro era bravissimo con i disegni, ma non è mai andato a caccia con il segugio. Ne abbiamo quasi la prova confrontando il suo disegno e quello di Vecchio. L'ho messi apposta sulla copertina del suo libro.
A questo proposito c'era stato un precedente. Nella 5° edizione del “Manuale del cacciatore col segugio” di Luigi Zacchetti (Ed. Olimpia 1957) la Soc. Ital. Pro Segugio aveva inserito come omaggio una stampa a colori del Prof. Solaro raffigurante, si diceva, il segugio ideale. Ora, riguardo a Solaro, mi sono ovviamente interessato di più ai disegni del pointer, ma tutti sapevano che ho sempre considerato bellissimo quel segugio. Se poi fosse anche il più razionale non lo sapevo, quindi rispondere a Don Nando era facile, visto che non ero in grado né di riconoscere in quale dei due ci fosse più “animus” e neanche di pronunciarmi su altre questioni così sottili.
Il discorso si faceva più difficile su altre bonarie provocazioni, qualcuna anche abbastanza ricorrente: “Voi che giudicate così severamente e ricercate quasi la perfezione, morfologica e non, dovreste rileggervi ogni tanto quello che illustri personaggi hanno scritto in proposito. Il riferimento, in pratica, era questo brano di K. Lorenz citato un po' da tutti: “E' triste ma innegabile che un'accurata selezione dei caratteri fisici non è conciliabile con una soluzione di caratteri psichici. Gli esemplari che rispondono a tutte le esigenze in entrambi i campi sono troppo neri per fondare solo su di loro la continuazione di una razza...
Un bastardo intelligente, fedele, animoso e con i nervi a posto dà alla lunga assai più soddisfazioni che non un campione purissimo costato un patrimonio”.
Citando altri e più di una volta ho risposto: “Sono d'accordo che la “moda” ha spesso condizionato l'aspetto dei cani danneggiando le qualità psichiche originarie, che ambienti e condizioni di impiego sono una variabile continua, che molti altri fattori possono essere condizionati, ma da qui a indicare quasi come alternativa il bastardino, sia pure intelligente e animoso, è cosa che non mi sento di condividere.
In seguito, purtroppo, non ho più potuto parlarne o rispondere. E neanche capace di scrivere una riga per dire a Don Nando: Stia tranquillo – Chissà per quanto tempo, con i dovuti e canonici intervalli, continueremo e continueremo a parlare del lepraiolo, del Cravin e del Montagnino. Sono cose che ho imparato a conoscere, quindi pronto a scommettere.
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