Leggo e rileggo il bellissimo libro "Dove ci porta il vento" di Carlo Rizzini, patron di Casa Rizzini e "inventore" e animatore del Club 410.
Più o meno della sua generazione, faccio scorrere nella memoria certe esperienze di cacce, esotiche per l'epoca, che ho avuto la ventura di praticare, là dove momento per momento mi portava il vento. Niente a che vedere con le gesta di Rizzini, ovviamente, ma significative per la mia formazione venatoria. E poi, lo sappiamo tutti, ognuno di noi vive e rivive la propria... epopea, come se fosse unica e straordinaria.
Allora, appena ventenne, alla fine degli anni sessanta, cacciatore nel sangue grazie a mio padre, fin dalla tenera età, approdai per puro caso sui lidi di "Diana", a Firenze, suddito devoto e riconoscente di un grande editore del passato. Migratorista nato, incrociai le grandi cacce, quando il Conte Paul Palffy passò in casa editrice per dare il via all'edizione italiana (Editoriale Olimpia) del suo "Mezzo Secolo di caccia". Ne lessi e ne corressi le bozze, sognando di quelle fantastiche esperienze.
In quegli anni, su Diana, trascorsa l'epoca Pieroni, passato alla concorrenza (fondò "Caccia e Pesca"), imperavano le gesta di Gin Bardelli, friulano come Carlo Rizzini, cacciatore professionista per vocazione, libero e vagabondo che anche lui lo portava il vento, in cerca di bianche, cedroni, forcelli, ma anche e soprattutto di anatre e beccaccini. Memorabili le sue cronache dal Delta. Del Danubio, ovviamente.
Delta le cui isole galleggianti mi trovai a tastare poco dopo, quasi digiuno di quegli orizzonti, insieme a Giorgio Veller, anche lui cacciatore professionista, e...Piero Pieroni. Lui, il Piero, immancabilmente a sognare beccacce, io e Veller ad anatre. Rientri magici ad alzavole, una mattinata praticamente abbandonato dal barcaiolo ucraino nel mare di canne e di acqua di quel grande fiume, una tripletta ai fischioni turchi prima che mi si congelassero le mani. Racconti intorno al fuoco nella gelida notte dai contorni ancestrali.
Lo ritrovai, Pieroni, per tre anni di fila, all'Auto Caccia Rally Trieste-Zagabria, che la Libera Caccia di Migliorelli e Pagnoncelli - Gran Cerimoniere Adelio Ponce de Leon - organizzava abbinando una competizione automobilistica alle lepri, le starne e i fagiani di Varazdin. Non ero una grande risolutore, e di fronte a tanta munificenza le emozioni si sprecavano. Le padelle pure, malgrado il mio primo A300 calibro dodici. Figuriamoci se avessi maneggiato un 410. Se può interessare, più tardi, molto più tardi, e ancora oggi, esco con una doppiettina calibro venti, che non si comporta poi tanto male, devo dire.
Anni eroici, per la caccia all'estero. Tante promesse, qualche delusione. In Romania, per esempio, sono tornato a più riprese, per cervi, orsi, cinghiali, anche con esperienze incredibili. Ma la nostalgia del Delta, di quel Delta selvaggio ha sempre prevalso.
La Scozia e l'Irlanda, la terra promessa dei Rizzini. Cacce vere, fin d'allora. I beccaccini delle marcite di Ballywillon, in piena guerra civile. Con Massimo Roth, primo segretario dell'Unavi, Siro Brugnoli e lo stato maggiore di Libera Caccia. I fantastici ghirigori di oche selvatiche, i branchi di zamperosee delle brulle terre di Scozia, a nord di Perth, con Gino Fantin, grande cacciatore di valle, che ogni volta che i voli si avvicinavano alla tesa, si emozionava come un bambino. Con intermezzi pomeridiani ai colombi, che anche lì... li portava il vento, e pesca al salmone e pernottamenti in castelli con fantasma incorporato.
E ancora con Massimo Roth, per le multiformi avventure cubane: anitre dai colori smaglianti, tortore, francolini, con contorni di barracuda e trionfi di aragoste; e gli ojeo e le pernici "a la mano", sulle ardue pietraie dell'Extremadura.
Con tanti, tanti inserti fantastici, dal paradiso delle oche canadesi del Manitoba, con siparietti incredibili alle pernici nordiche e all'orso nero; alle magiche galoppate nella Pampa argentina, fra lepri, pernici, oche di magellano, visibilii di anitre, tortore beccaccini e... armadilli; alle profusioni di quaglie della Voivodina dell'indimenticabile Piero Arvedi d'Emilei; ai codoni dell'Ebros e alle beccacce istriane del mio amico fraterno e indimenticato Benedetto, irrimediabilmente perso anche lui sulle ali del vento.
Niente a che vedere ovviamente con le gesta uniche e irripetibili di Carlo Rizzini, alla cui arte, alla cui passione, al cui talento doverosamente mi inchino. E ringrazio per avermi consentito di veleggiare ancora una volta sulle ali della nostalgia.
Giuliano Incerpi
Nota: Complimenti anche al bellissimo corredo fotografico di Riccardo Camusso: come se fossi lì, anch'io, come dieci, venti, cinquant'anni fa. Ah, la magia della caccia!
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