Gestire la fauna selvatica è cosa molto complessa e non se ne esce se non si cambia il paradigma che oggi sta alla base delle "credenze" comuni. Se ne sono accorti quelli della Curlew Recovery Partnership, che si sono presi l'incarico di recuperare la situazione in cui versano le popolazioni di chiurli che si riproducono nelle pianure inglesi, a causa di irresponsabili pratiche agricole e famelici predatori. Un'equipe di ricercatori della Bournemouth University in collaborazione col Game and Wildlife Conservation Trust se ne stanno interessando da anni nella New Forest, parco nazionale nel sud del Regno Unito, area che fa parte della Convenzione di Ramsaar, per i suoi habitat unici e diversificati, dotata di più livelli di "protezione" e di conservazione. Nonostante tutto questo, anche lì i chiurli sono in difficoltà. E a meno che questa situazione non cambi rapidamente, è probabile che il gorgoglìo flautato del loro canto diventi un lontano ricordo anche in quelle brughiere.
Ma quali sono le ragioni di questa sofferenza? Più o meno le stesse che affliggono il patrimonio faunistico ovunque in Europa. Il problema comincia a farsi grave già dall'epoca della nidificazione, con quasi tutti i nidi, falcidiati dai predatori. Principalmente volpi e cornacchie.
Nel caso del chiurlo è ormai chiaro che qualsiasi attività umana (nelle aree protette il turismo ambientale in particolare) nel periodo della nidificazione, ma soprattutto la presenza incontrollata di predatori non permetterà di risollevarne le popolazioni. E volpi e cornacchie fanno ormai parte, come da noi, del paesaggio rurale ma anche di quello urbano, purtroppo. Gli animalisti si oppongono a qualsiasi controllo che riporti a ragionevoli equilibri interspecifici, ma anche se riuscissimo a ridurre le presenze di corvidi e volpi, ben altri potenziali predatori, come tassi, gabbiani per esempio, se ne avvantaggerebbero. Da qui crescono le sconsolate considerazioni di chi se ne intende davvero.
"Se desideriamo vedere gran parte delle piccole specie selvatiche che malgrado tutto popolano ancora le nostre campagne e le nostre paludi - dicono anche fuori dei nostri confini- è di fondamentale importanza che a chi ha la responsabilità del benessere di questo patrimonio naturale, cacciatori insieme a tecnici ed esperti faunisti, venga consentita una maggiore autonomia, vengano concessi supporti economici adeguati insieme a una vicinanza solidale da parte dell'ente pubblico. Altrimenti l'animalismo di facciata, certe ipocrisie culturali e la ricerca di un consenso mal orientato continueranno a fare danni".
Fino a quando, in conclusione, sarà difficile se non impossibile recuperare. Molti di noi l'hanno capito. Adesso dobbiamo convincere gli altri, a partire dal vicino di casa, fino ad arrivare con maggior efficacia possibile ai nostri governanti locali e nazionali.
Maurizio Poli
Redazione Big Hunter. Avviso ai commentatori
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