Prendo spunto da un'interessante recensione di Giulia Villoresi, sul Venerdì di Repubblica per affrontare il tema complesso e spesso divisivo sul rapporto fra uomo e animali nella società contemporanea.
Nessuno meglio di noi sa, per pratica diffusa, quale affetto l'uomo, le famiglie, riversino nei confronti degli animali. Il cane soprattutto, ma per noi anche i coccolati richiami, merli, tordi, anatre, fringuelli... Resta il fatto che oggi, nella società dei consumi, certi legami rasentino livelli di grave alienazione. Se non follia, quando si esagera da una parte nella personificazione, dall'altra nell'irragionevolezza animalista.
Proprio giorni fa registravo da voce autorevole la necessità che qualcuno risvegliasse, nel rispetto di un legittimo punto di vista, certe contraddizioni: nessuno fa caso al fatto che più si è animalisti e più si butta alle ortiche la capacità di discernere. In altre parole: se sei convinto che tutti gli esseri viventi hanno diritto di vivere secondo natura, come mai nessuno spende un briciolo del suo tempo per difendere le zanzare dai massacri estivi, o i ratti che infestano le reti sotterranee delle nostre metropoli.
IL fatto è - come scrive l'etologo Roberto Marchesini, nel suo ultimo saggio ("L'amore per gli animali" - Lindau Editore) - che se non ci comportassimo anche noi da animali, o meglio, seguendo gli insegnamenti che abbiamo appreso nei millenni dagli animali, "probabilmente resteremmo privi di concetti e di idee". E siamo sulla strada della perdizione, se già il dieci per cento degli americani pensa che il latte al cioccolato provenga da mucche marroni (da un sondaggio dell'Innovation Center of U.S. Dairy). Siamo spettatori di un mondo (dei viventi) che gira al contrario.
La differenza fra la nostra e le altre specie è conseguenza della nostra capacità di astrazione, che ci ha consentito di sviluppare una "cultura" basata sull'osservazione della natura prendendo appunto a modello i disparati comportamenti degli animali. Oggi, secondo uno studio finlandese oltre tre quarti dei cani da compagnia soffre di ansia. La metropoli non è un bosco o la steppa. Un appartamento non è una masseria. Poi ci sono le pure idiozie. Sembra che ci siano "amici degli animali" che dopo aver sterilizzato il proprio beniamino, gli impiantano dei testicoli artificiali per fargli riconquistare l'autostima. E qui si arriva al bivio esistenziale. Ambientalisti veri da una parte e animalisti sempre più schizzati dall'altra. Fino a convincere un altro ricercatore d'avanguardia, Henri Mance ("Amare gli animali" - Blakie Edizioni), decisamente vegano, che tuttavia ritiene giusto l'abbattimento di specie invasive per preservare l'ambiente.
Un punto di vista distante da quello degli animalisti alla Brambilla (per Pasqua la signora ha blaterato che se mangi l'agnello sei un cannibale: "se sei una pecora, si!", gli ha risposto un arguto frequentatore dei social) sia dai conservazionisti assoluti. Fino alla denuncia vera e propria di Marchesini di una eutanasia degli animali (quelli veri) che minaccia la stessa umanità, secondo il quale "E' quasi impossibile immaginare qualcosa che non sia stata modellata sugli animali". La musica dalle armonie degli uccelli, l'arte della tessitura dalle tele dei ragni, la capacità edilizia delle vespe. Tanto per fare qualche esempio.
La caccia, per concludere, da noi praticata fin dalla notte dei tempi, è il massimo esempio che la nostra specie - appena scesi dagli alberi eravamo frugivori-raccoglitori e mangiatori di carogne - ha acquisito dagli animali. "La caccia è naturale" recitava un vecchio slogan coniato in Francia, accompagnato da immagini di un ghepardo che agguantava una gazzella, o da un'averla che infilzava una mosca, o un martin pescatore che usciva dall'acqua con un pesciolino nel becco.
E mentre la stragrande parte dei metropolitani se ne stanno dimenticando, avversandola, c'è invece chi nei segreti laboratori di cibernetica cerca di tradurre in macchine questa sapienza innata. Robot che mutuano le loro capacità dal cane, dall'ape, dalla libellula. Vivremo in un mondo dominato da androidi? Andremo a caccia senza più il nostro setter, accompagnati da un "fermatore" elettronico? Metteremo nel piatto un drone "bio"?
Io di sicuro NO!
E voi?
Renato Gasperi
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