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Chi di voi non ricorda quella tipa che - cambiato il clima, faceva più caldo, buttate via le pellicce – scoprì che si poteva avere successo con l'ecologismo di maniera e magari farci anche qualche soldino? Beh, la ricordano tutti, anche se da un paio d'anni non conduce più quella nota rubrica televisiva della Rai che promuove il turismo anche d'avventura: Licia Colò! Come no, Licia Colò.
Quella che - giornalista pubblicista - si beccò due mesi di squalifica dall'ordine professionale (ma lei fece ricorso) proprio perché - dimentica delle regole della categoria che non consentono di prestare la propria immagine per la pubblicità, se non per alti fini umanitari e gratuitamente - con l'avallo del WWF, "spiegava nello spot tra i ghiacci e le nevi, che (il consumo di una caramella) avrebbe contribuito a salvare l'orso bianco". Erano gli anni novanta e tanta acqua da allora è passata sotto i ponti. Acqua che, seguendo il ciclo, si suppone provenisse e sempre più provenga dallo scioglimento di ghiacciai e soprattutto del pak polare. Con buona pace di quel residuo delle antiche glaciazioni che si chiama Orso Bianco, appunto, il più grande mammifero (carnivoro) terrestre, il quale anno dopo anno vede ridursi suo malgrado i territori di caccia (la banchisa), le sue popolazioni, le sue riserve di grasso; ormai è magro sull'osso.
Allora, una ventina di anni fa, non sappiamo se e quanto abbia fruttato alla signora anticaccia quella campagna. Sicuramente, rispolverando le cronache di quella stagione (periodico "Vita") scopriamo che "ha fruttato alle casse degli ecologisti oltre un miliardo di lire (150 milioni ogni anno come quota minima più 50 lire per ogni confezione venduta in più rispetto all'anno precedente che nel 1996 ha significato altri 80 milioni in più rispetto al '95)". Che, si dice, andò a contribuire alla salvaguardia delle riserve naturali di Canada, Siberia ed Alaska.
Ok. E allora?
E allora, perché, oggi, a vent'anni di distanza, l'allarme per l'orso bianco è ancora più attuale e preoccupante? Lo stesso WWF, dimentico a questo punto di aver buttato al vento tutti quei soldi tratti dalla caramella, ridenuncia l'imminente scomparsa della specie. E lancia l'ennesima campagna di raccolta fondi per impedirla. Impegnandosi, poco più poco meno, per un'opera di misericordia, visto che nel progetto si prospetta anche di "attrezzare le nostre squadre di pronto intervento per gli Orsi Polari e acquistare radio collari, motoslitte e kit veterinari". Magari mettendo su anche qualche ospedale tipo "emergency", tanto per spettacolarizzare ancora di più la campagna. Ma queste sono solo nostre maliziose supposizioni.
Mentre il problema è grave, altro che storie. E non solo per l'orso bianco, ma per tutti gli esseri viventi, noi compresi.
E intanto, mentre si continua a reincontrarsi ora qua ora là, da un anno all'altro, senza compicciare niente, con codazzo di ambientalisti al seguito che sempre di più appaiono come funzionali al sistema - che ovviamente ormai l'hanno capito tutti: è sbagliato! -, si persevera nell'attaccare l'anello più debole della catena, spesso esplicitamente, a volte implicitamente. Anche in maniera subliminale: si parla di bracconieri, ma si intende cacciatori.
Tale Isabella Pratesi, ad esempio, con la responsabilità di tanto nome, e per conto del WWF Italia, ovviamente, si scaglia in questi giorni contro il bracconaggio, non solo in Africa, che falcidia le popolazioni di leoni, elefanti, tigri, rinoceronti, squali (...e lupi in Italia), e "alimenta con 25 miliardi di dollari il traffico internazionale di droga, il terrorismo e le guerre". Leggendo la denuncia, ricca di dettagli, anche orripilanti (fra cui la scomparsa dell'80% dei territori adatti alla sopravvivenza di queste specie), risulta però difficile individuare una proposta o una soluzione che è una. Forse perché da una parte si dovrebbe dire che nei territori in cui certi misfatti si consumano la caccia è severamente proibita, in conseguenza delle campagne di mistificazione promosse decenni fa proprio dalle quelle stesse organizzazioni ambientaliste che oggi si strappano le vesti, e soprattutto si dovrebbe fare un vero e proprio mea culpa e riproporre una caccia ben regolamentata, testimoni del fatto che - dove si è continuato a praticarla, la caccia - ha consentito un migliore presidio del territorio, una oculata gestione faunistica, maggiore reddito alle popolazioni locali.
Il problema è globale. E certe organizzazioni, anch'esse globali, non possono non averlo capito. Ma finché continueranno a proporre soluzioni locali, e settoriali, sicuramente riusciranno a sopravvivere, loro, con i loro radiocollari, le loro motoslitte e kit veterinari. Ma noi, poveri cittadini inermi, cacciatori compresi, dovremo ancora sorbirci le solite tiritere da salotto, e assistere all'inesorabile dissipazione di infinite risorse, naturali, economiche, sociali.
Fino a quando?
Roberto Campigli