Dicono che sono vecchio. Lo so, sono vecchio. No, anziano. Ma quando vado a caccia, quando penso alla caccia, il tempo scompare, gli acciacchi pure, e mi luccicano gli occhi. Sarà la gioia o la nostalgia? Forse tutt'e due. Fatto sta che mi si apre lo scrigno delle bellezze. La memoria è quella che è, ma anche questo è un vantaggio. Ti restano impressi quegli attimi indimenticabili, sublimi, che poi a ben indagare dentro di te, hanno segnato il tuo essere.
Sono un migratorista. Nato migratorista cresciuto migratorista, vissuto per tutta la vita migratorista. Se così si può dire. Oggi. Certo che oggi la caccia non è quella di allora. Appena fanciullo, si usciva a buio, con mio padre, e a piedi, dal paese, lui con il fagotto delle gabbie alle spalle, si raggiungeva il capanno nel bosco, in collina. Se non c'era la luna, una pila in due ci aiutava a individuare il chiodo dove attaccare le gabbie. I tordi qua, il merlo là, i fringuelli, il fresone, la peppola, le capinere. Con la prima luce dell'alba partiva il merlo e poi tutta l'orchestra. Se la mattinata era buona, il capannetto si riempiva di quell'aroma magico della polvere da sparo che ti inebriava. Il mazzo di uccelli allo strozzino, modesto, che odorava di muschio, ti faceva sentire orgoglioso di essere un cacciatore. Nel paese erano tutti cacciatori. Alcuni si distinguevano per competenza, per dedizione. Altri per censo. Che faceva la differenza, potevi disporre del tordo campione del mondo, o della postazione migliore del vicinato. Chi aveva l'automobile, o comunque una vespa, una moto, si poteva spostare in cerca di paradisi anche più accoglienti.
Poi arrivò il boom. Anche la caccia cambiò pelle. Fucile nuovo, sempre più spesso automatico, caccia al passo, le tortore all'apertura, i colombacci, il padule. Sicuramente, il padule, un mondo magico. Albe incantate, fuori dal tempo. Fatto ancor più di sacrifici, freddo, acqua, vento, bufera. Competenza. Gli stampi da mettere in posizione. Le anatre da richiamo, occhi attenti al minimo frullo in lontananza, accovacciati nella botte, per lanciare bene il volantino. La sintonia col compagno per alzarti al momento giusto senza rubarsi la fucilata. Il recupero col barchino. Lo spadulare col cane, a giorno, in cerca di gallinelle e porciglioni.
La liturgia casalinga, le cartucce, caricate a una a una, tutti gli strumenti in ordine, le bilancine, i misurini, le dosi a seconda del tipo di polvere, le borre, la consistenza dei pallini, cinque-sei per le anatre, sette per i colombacci, dieci per i tordi, undici per i fringuelli, le allodole. Le allodole. Una festa. Prima con la civetta, o col Macaco, quell'attrezzo a specchietti che facevi girare con una lunga corda, e quelle credulone curavano a branchi, come ammaliate. Poi con i richiami in gabbia, e le allodole alla stecca, che facevi frullare appena ne avvistavi nei dintorni. Era davvero una festa. Al tempo giusto le trovavi in tutti i coltivi della piana. A mano che mano che passava il tempo, però, ti dovevi spostare sempre più a sud. Nelle maremme, prima toscane poi laziali, in Campania, in Calabria. E i colombacci in Sardegna, i tordi in Puglia, le beccacce sul Gargano. O in Jugoslavia. Eravamo diventati cittadini del mondo senza saperlo. Alla ricerca di un mistero che ancora oggi ci avvolge.
Oggi. Oggi è ancora diverso. Siamo consapevoli di questo nostro potere di annullare le distanze. Sicuramente ci siamo fatti un'idea più precisa del meraviglioso fenomeno della migrazione. Del perchè e del percome questi stupendi esseri che riempiono i nostri pensieri si muovono, crescono, calano, legati come sono alle trasformazioni dell'ambiente. Alla distruzione dell'ambiente, così come l'avevamo visto noi da ragazzi. Siamo pieni di scartoffie, di regole, di strumenti diabolici per muoverci, per non incappare in errori che ci potrebbero procurare spiacevoli esperienze, quando un tempo bastava il porto d'armi, lo schioppo in spalla, una mela in tasca, una borraccia, la cartuccera piena e una valigia di sogni.
Nostalgie? Rimpianti? Vedete voi. Io, finchè le gambe mi reggono, la testa funziona e l'occhio è vigile continuerò a calcare i miei amati sentieri.
Giampiero Orlando