Davanti a un Fabio Fazio sbigottito, imbarazzato, il mostro sacro dell'intellighenzia italiana, Roberto Calasso, snocciolava il suo verbo per una platea di nostri concittadini che i dati auditel dicono raggiunga la bellezza di due-tre milioni di ascolti.
L'aveva invitato, il Fazio, magnifico conducator di "Che tempo che fa", a presentare la sua ultima fatica letteraria, ricca come sempre di rimandi di una erudizione unica, con garbo ma con fermezza. Una fermezza, feconda di certezze, a cui il campione del politicamente corretto - attònito ("lo stupore che mi ha colto, vorrei che arrivasse anche a casa"", ipse dixit) da tanta sapienza - non riusciva a confutare neanche una virgola.
Ma andiamo per ordine.
Chi è Roberto Calasso. Per chi non lo sapesse, è un grande intellettuale, raffinato scrittore, saggista, editore de l'Adelphi, una fra le più prestigiose case editrici del paese, che fra i 2500 titoli in catalogo propone grandi pensatori e scrittori, come Emanuele Severino, Milan Kundera, Jorge Luis Borges, Bruce Chatwin, Vladimir Nabokov, William Faulner, Joseph Roth, George Simenon, Friedrich Nietzsche, spaziando dai testi di fisica ai classici delle varie tradizioni letterarie euroasiatiche (esempio: il Mahabharata, ovvero "La grande storia dei discendenti di Bharata", uno dei più grandi poemi epici dell'India, che risale nella sua prima stesura a tremiladuecento anni avanti Cristo).
Ininterrottamente alla guida della casa editrice dal 1971, Calasso ha al suo attivo 14 opere monumentali, la più nota "Le nozze di Cadmo e Armonia", dove fa sfoggio della sua profonda conoscenza della storia e delle letteratura greca intrecciate con gli affascinanti miti che costituiscono tutt'oggi la piattaforma del nostro vivere in occidente.
La sua ultima fatica letteraria - si potrebbe dire: la pietra dello scandalo - s'intitola "Il Cacciatore Celeste".
Una breve sintesi delle certezze antropologiche di Calasso: "Ci fu un'epoca - si legge nel risvolto di copertina de "Il Cacciatore Celeste", che vi invito a leggere, ovviamente - in cui, se si incontravano altri esseri, non si sapeva con certezza se erano animali o dèi o signori di una specie o demoni o antenati. O semplicemente uomini. Un giorno, che durò molte migliaia di anni, Homo fece qualcosa che nessun altro aveva ancora tentato. Cominciò a imitare quegli stessi animali che lo perseguitavano: i predatori. E diventò cacciatore. Fu un processo lungo, sconvolgente e rapinoso, che lasciò tracce nei riti e nei miti, oltre che nei comportamenti, mescolandosi con qualcosa che nella Grecia antica fu chiamato "il divino", tò theìon, diverso ma presupposto dal sacro e dal santo e precedente perfino agli dèi. Numerose culture, distanti nello spazio e nel tempo, associarono alcune di queste vicende, drammatiche ed erotiche, a una certa zona del cielo, fra Sirio e Orione: il luogo del Cacciatore Celeste. Le sue storie sono intrecciate in questo libro e si diramano in molteplici direzioni, dal Paleolitico alla macchina di Turing, passando attraverso la Grecia antica e l'Egitto ed esplorando le connessioni latenti all'interno di uno stesso, non circoscrivibile territorio: la Mente".
Come dire: se noi siamo quello che siamo, e se vogliamo continuare ad esserlo, non possiamo tralignare dal nostro essere cacciatori, che nel salto evolutivo che ci ha affrancato dalla natura bruta ha ritualizzato e sublimato la nostra essenza animalesca, predatoria. Siamo cioè diventati cacciatori, mangiatori di carne di selvaggina. Perchè in principio, come si potrebbe parafrasare dalla Bibbia, in principio - prima di essere homo sapiens (o sapiens sapiens) - eravamo frugivori raccoglitori e...mangiatori di carogne, come le iene.
Così parlò Calasso.
Mangiatori di carne. Si. Siamo mangiatori di carne. Di selvaggina, per giunta. Macchè vegetariani, macchè vegani. Se non vogliamo che le nostre capacità intellettive degenerino, dobbiamo perseguire la nostra natura - magari con la moderazione necessaria per il contemporaneo. Oggi più che mai.
In Italia, ovunque, malgrado tutto, malgrado le vicende avverse, malgrado certe nostre inadeguatezze, la selvaggina è abbondante. Sta diventando un patrimonio, anche di carne pregiata, che in molti ci invidiano. Quale occasione dunque, se non quella di procedere nella razionalizzazione della cosiddetta filiera? Lo so, è complicato, è difficile, siamo al centro di infinite sollecitazioni di diversa provenienza. Le popolazioni di ungulati, soprattutto, e soprattutto il cinghiale, fanno gola - è il caso di dire - a tanti. Ecco che bisogna mettere ordine.
Da qualche parte bisogna cominciare. E non si può prescindere dai cacciatori. In molti sollecitano un percorso ordinato, che partendo dai singoli, organizzati in squadre di cacciatori di cinghiale, selettori, controllori, porti alla formazione di un vero e proprio percorso virtuoso, che qualifichi il ruolo di chi effettua il prelievo (cacciatori, non ci sono alternative, se ne devono convincere tutti, anche i più scettici) e definisca un nuovo tragitto, che tenga conto degli interessi di chi - ancora i cacciatori, ma anche gli agricoltori e gli altri cosiddetti "portatori di interessi", appunto - questo patrimonio lo gestisce e lo cura amorevolmente, che non è un paradosso.
I buoni esempi ci sono. In altri paesi sono prassi comune. Solo da noi si fa di tutto per complicare le cose. Ma, questi siamo, e con noi stessi dobbiamo convivere.
La carne di selvaggina è la più sana, la più nutriente; non a caso Calasso - ma non soltanto lui, diciamolo - la pone alla base della nostra evoluzione, antropologica, ma soprattutto spirituale. Trascendentale, nelle diverse accezioni del termine.
Se ne stanno interessando da tempo centri di ricerca e organizzazioni che sono il fiore all'occhiello delle nostre eccellenze nell'agroalimentare.
Se andiamo in Trentino o in Alto Adige, senza nemmeno scollettare in Austria, Germania o Slovenia, anche il più sprovveduto gourmant torna con la sua bella confezione di prosciutto di cervo o di arista di camoscio. Non senza aver gustato su quelle aspre vette almeno uno stufato con polenta, che ricorda i fasti venatori di Ceccobeppe. Del resto, chi ha avuto modo in questi anni di passare dalla scuola di caccia del Latemar (Nova Levante - Bolzano) ha acquisito anche i primi rudimenti nel cosiddetto trattamento delle spoglie, che sta alla base per ottenere una carne di selvaggina (ungulati) come dio (o Zeus) comanda.
Personalmente non posso non ricordare la sapiente promozione del mio antico mentore Enrico Vallecchi, che associò alla sua attività di grande editore una testimonianza appassionata delle gioie della vita in campagna, delle nostre tradizioni, della buona cucina, della carne di selvaggina. Pubblicò una serie infinita di ricettari, antichi e moderni. Famoso "Il Girarrosto-Come si cucina la selvaggina", della marchesa toscana Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa, allevatrice di cani, appassionata di caccia, di pesca, cuoca per diletto, scrittrice per vocazione. Un sodalizio, il loro, che negli anni sessanta costituì un vero e proprio punto di riferimento per la gastronomia della caccia, a cui - più tardi, scusate l'ardire - detti anche il mio modesto contributo, favorendo fra l'altro la pubblicazione di una selezione di ricette artusiane a base di cacciagione e collaborando all'organizzazione della Settimana della Gastronomia della Caccia nella provincia di Firenze. Evento che fu ripreso in Lombardia e che tuttora prosegue con grande successo.Per non ricordare i primi "laboratori del gusto" promossi al Game Fair, con l'aiuto dei colombacciai di Amelia o del "padulino" Giovanni Franceschi.
Un filone, quello vallecchiano, in parallelo al quale mosse i primi passi Carlin Petrini, che - come lui stesso racconta - quando dette corpo alla sua grandiosa idea (la chiamò, come tutti sappiamo, Slow Food, "mangiar lento", in contrapposizione all'imperante fast food di matrice americana), che concepì, udite udite, a Montalcino, ospite di suoi amici cacciatori e gastronomi di ArciGola, in occasione della fastosa Sagra del Tordo.
E Slow Food, anche recentemente persegue e dà forza alla teoria di Roberto Calasso, tant'è vero che la qualità e la bontà delle carni di selvaggina sono oggetto di un impegno per un progetto che l'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (fondata a Bra-Cuneo proprio da Petrini) ha intrapreso con altre organizzazioni ed enti dei diversi settori interessati. Un progetto ("Selvatici e buoni") che si prefigge la valorizzazione della carne di selvaggina, attraverso la tracciabilità e la sicurezza alimentare "per garantire trasparenza e legalità" a questo patrimonio, che grazie all'impegno dei cacciatori acquisisce sempre più valore anche dal punto di vista economico.
E si susseguono iniziative del genere grazie ai territori, alcune da far invidia ai cugini austrungarici. Aumenta l'attenzione da parte di tanti chef pluristellati, come Igles Corelli, che proprio a partire dalla primavera ha intrapreso un tour che in autunno porterà nel tempio della sua scienza culinaria (Atman-Villa Rospigliosi di Lamporecchio, dove Lilia Orlandi con l'ATC di Pistoia, lo scorso anno ha lanciato il primo corso per cacciatori abilitati nel trattamento delle carni di selvaggina) ben venticinque superprofessionisti, maestri di cucina in altrettante parti d'Italia, per dar vita a una kermesse di altissima gastronomia col solo limite di mettere a frutto la loro arte gastronomica, cimentandosi su pregiati e meno pregiati tagli di carne di selvaggina.
Ne sortirà una pubblicazione curata da Michele Milani, anche lui appassionato gastronomo e cacciatore.
Insomma, ci si sta avviando verso la costituzione di una filiera sempre più definita, che porterà all'individuazione di un marchio di qualità, per dare sostanza anche al mirabile affresco di Roberto Calasso, che provocatoriamente ci erudisce: "Chi è il Grande cacciatore? - si chiede - Oltre a Zagreus - risponde - vi sono altri grandi cacciatori fra gli dèi. Zeus è il Grande Cacciatore. Un invisibile filo a piombo scende dall'alto del cielo, attraverso tutta la terra e sprofonda sino all'imo degli Inferi: è il Grande cacciatore. In nessuna parte il divino accetta di separarsi dal gesto dell'inseguire una preda. A nessuna altezza, nell'aria trasparente dell'Olimpo, nell'aria turbolenta della terra, nell'aria perennemente fosca dell'Ade, scompare il profilo aguzzo del Grande Cacciatore".
E se pure noi ci daremo da fare, prima o poi anche il più accanito sostenitore vegan dovrà capirlo.