Dicono che sono diminuite e in effetti abbiamo avute annate che non si sono viste. Ma non dovunque. Quando non sono passate in Maremma, erano invece frequenti in Veneto e sull'Adriatico; quando qualche pianura del Sud era rimasta silente, su colline e passi reali se ne vedevano a branchi.
Poi è così. La migratoria è ciclica. La migrazione non è il passo. Ricordiamocelo. Il cosiddetto passo risponde più a condizioni locali, meteorologiche e ambientali, piuttosto che a leggi collegate alla genetica. Quante volte abbiamo dovuto condividere certe ansie con i nostri correligionari di fede migratoria, anche per i colombacci, che sì, passano alti, a branchi, ma non curano. E per i tordi, che, per la miseria!, sembra che abbiano il fuoco al c..., che hai voglia di avere zirli buoni, passano di striscio come pagati...
Recenti ricerche, anche italiane (Scebba e altri), dimostrano che, appunto, l'allodola è soggetta a significative fluttuazioni da un anno all'altro, ma tuttavia è sostanzialmente stabile. Il fatto è, a parere di molti, che anche il territorio è cambiato. E le abitudini venatorie, anche. Bei tempi quelli narrati, letti e riletti, dai "pionieri" della bella vita vagabonda, che per Santa Teresa (..."allodole a distesa") scendevano nelle maremme dalla Padania, magari in treno, facendo scalo ad esempio a Cecina, dove incrociavano i civettai, una vera e propria attività autunnale, che li aspettavano per accompagnarli trespolo alla mano (a volte coronato da un falchetto), nelle vaste distese di stoppie col fischio in bocca, un tascapane scarno, e molta solidarietà cameratesca.
E giù giù, fino a Canino, nel viterbese, in competizione con fiorentini, pistoiesi e lucchesi, dispersi in prati-pascoli brulli, fra greggi e mandrie, regno non solo di allodole, ma di pispole, ballerine, calandre, strillozzi, con aggancio di spolli e rientri a tordi e...fringuelli. E poi ancora più giù, nelle ex paludi pontine, Borgo Taro, Borgo Grappa, Latina, con puntatine alle propaggini del Circeo. Magari col cockerino da riporto. Dove ci scappava anche qualche lepre, una beccaccia, un paio di colombacci. Ma erano tempi un po' meno eroici e un po' più "tecnici". Con i toscani che avevano scoperto le allodole da richiamo. Ben addestrate e compite nella gabbia, a lanciare il loro grido d'amore (avevano passato, tranquille, tutta l'estate "in chiusa", come i tordi, i merli, i fringuelli, i passeri. E i lucherini, i cardellini, le peppole, indispensabili per il capanno). I più abili, vi abbinavano anche allodole "a zimbello", prima accodate, poi imbracate, per evitare le note obbiezioni che si facevano sempre più minacciose. Tecniche che vennero esportate a mano a mano sempre più in basso nello stivale, a Capua, in tutta la Campania, in Basilicata, nei paradisi della valle dell'Agri, oggi Texas, in Calabria.
Come i pellerossa che seguivano le mandrie di bisonti, anche i nostri, migranti ante litteram, seguivano gli spostamenti delle allodole. E come i pellirossa, in diversi periodi hanno assistito alle trasformazioni conseguenti… al progresso. Aree libere diventate parco, per consentire all'intorno le più bieche aggressioni, campi diventati discariche, radicali cambi d'indirizzo colturale, dove c'era il grano i pomodori, o le noccioline americane, insediamenti urbani, impianti petroliferi. E veleni, veleni, veleni.
Molti appassionati di allodole si trasferirono in Albania, in Romania, alla ricerca dell'eden perduto. Ma molti altri hanno resistito e resistono ancora. I carnieri sono contingentati, si potrebbe dire ingiustamente, sempre per rispondere a quell'errato concetto modernista. Una cultura metropolitana che vive di fantasie disneyane, che crede che la natura sia un luogo idilliaco, dove il lupo si fidanza con l'agnello. Le civette sono rimaste sotto la voce "archeologia venatoria", le allodole in gabbia devono essere di stretto allevamento in cattività, qualcuno utilizza ancora soggetti matusa, gli zimbelli: in plastica, anche se ben riprodotti, il fischio a bocca, per chi è riuscito a conservare questa straordinaria abilità, che fa ancora la sua bella figura. Ma la passione, quella, la passione della festa nel sole d'autunno, fatto di zirli arrotati, di frulli e di schiocchi, chi ce l'ha, ce l'ha per sempre.
Roby Parretti
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