Da che mi ricordo, e sono per fortuna tanti anni, tutti noi ci siamo impegnati di dimostrare che la caccia è un'attività importante, anche a salvaguardia dell'ambiente, che recupera zone agricole abbandonate, fa prevenzione degli incendi e selezione degli animali (una volta cosiddetti) nocivi.
Di contro, e da che mi ricordo, il mondo degli animalisti e pseudo-ambientalisti considera invece i cacciatori dei pericolosi sciagurati che si divertono a fare danni, senza minimamente rilevare che questi sciagurati, oltre a pagare tasse e assicurazioni, sono forse gli unici ad avere la fedina penale pulita. Il che non è davvero poco, viste le difficoltà che si incontrano anche per gli argomenti basilari: collocazione nel contesto sociale, recepimento delle direttive comunitarie e non, adeguamento delle leggi e dei regolamenti.
Questioni vecchie, praticamente irrisolte e continuamente rimpallate; in mezzo i cacciatori, diminuiti di numero e sempre più divisi e impegnati, è vero, a coltivare ognuno l'orticello della “sua” caccia, sperando che qualcuno decida per il meglio e soprattutto anche per lui.
È un muro di gomma fatto di burocrazia, di inutili quanto improbabili tentativi di coinvolgimento di altri settori fino all'incongrua idea di pensare a un partito dei cacciatori.
In proposito si fa sempre notare che “prima” era più facile. Certo, è vero: c'era la caccia col cane (da “penna” o “da lepre”) e poi il resto, ma non sono state solamente le diverse forme di caccia a creare problemi, ma anche una cinofilia venatoria sempre più desueta e distratta, con responsabilità e cause che partono da lontano. Particolarmente per le razze da ferma più utilizzate, gli inglesi sin dall'inizio hanno allevato gun-dogs e show-dogs, con quale danno è facile capire.
Dai cani importati in Italia più di un secolo fa, tutti pesanti e poco nevrili, con l'evoluzione e l'adattamento del tipo si sono ottenuti soggetti sportivi (magari anche troppo), estremamente nevrili e veloci operando principalmente su nomi affermati in concorsi a grande cerca, mentre la selezione dovrebbe esistere solo come adeguamento ai mutamenti della pratica venatoria.
Nel tempo le prove sono diventate semplicemente gare, mentre “la prova”, quella vera, dovrebbe considerarsi una intera giornata di caccia, in cui la nota del concorso è dettata dalla selvaggina, mentre i limiti della prestazione sono fissati dal corretto funzionamento del complesso psicosomatico del cane e dalla capacità di adattamento del proprio potenziale.
È invece fin troppo facile capire che un cane selezionato per certe prove (o gare) ha l'assoluta necessità di esasperare il ritmo, adeguandolo ai tempi brevi. I galoppatori su lunga distanza, in particolare, hanno un “tempo genico” come diceva Don Rino, e tutti i cani “da caccia”, di qualsiasi razza, varietà e taglia, dovrebbero essere adatti a servire un fucile.
Senza voler giudicare se in proposito sia stato fatto tanto, poco o niente, ci chiediamo in quanti manterranno ancora o acquisteranno un cane per andare a caccia, senza neanche una piccola tentazione di un riconoscimento o gratificazione su notiziari o riviste.
Ormai molti anni fa chiesi, tra amici, perché non si decideva di proclamare campioni di lavoro soltanto soggetti che ottengono certi risultati in tutte le note di concorso. Più uno scherzo che una provocazione, ma qualcuno mi consigliò di non occuparmi di certe cose. A dire il vero il perché non l'ho capito, ma l'avrei fatto lo stesso, anche senza consiglio.
Nel frattempo sono nate le PAV (Prove di Attitudini Venatorie), dalle quali tutti noi aspettiamo risultati, tenendo sempre presente quello che ha detto l'Avv. Zurlini: “Il giorno che dietro un Pointer non ci sarà un fucile, avremo perso la caccia e lo stesso Pointer”.
Non credo sia necessario far notare che ha parlato della “sua” razza, ma vale per tutti, ovviamente.