La maggior parte dei padroni ha la convinzione che il cane sia intelligente, capace di sentimenti e di comprendere il linguaggio.
I cani, dal canto loro, fanno il possibile per rafforzare questa opinione perché si conformano con accorta piaggeria a tutto ciò che il padrone mostra di gradire, e questi interpreta le moine come affetto, dando una lettura antropomorfica a quello che è un opportunismo istintivo.
Sembra un paradosso, ma in effetti il cane domestico è uno sconosciuto perché non è mai stato oggetto di studio scientifico (con l'eccezione della teoria dei riflessi condizionati): solo l'etologia da alcuni decenni ha intrapreso una ricerca sistematica.
La scienza dice che il cane è un animale e, come tale, non ha coscienza di sé, è dominato dall'istinto, non ha sentimenti, non ha senso morale, non sa programmare il futuro, non sa stabilire rapporti logici tra causa ed effetto, non è intelligente.
Differisce dagli altri animali per lo straordinario spirito di adattamento (di cui il tasso di addestrabilità è un aspetto) e per la fedeltà commovente al padrone che una volta stabilita è immutabile ed eterna.
Per capire la natura del cane domestico occorre fare riferimento all'istinto del lupo, suo progenitore (da cui deriva per selezione), un carnivoro predatore primo ad essere addomesticato tra tutti gli animali, per la sua plasticità neuronale che lo rende sensibile alla selezione, e per la sua capacità di adattamento che gli consente di vivere in qualunque ambiente e in qualunque condizione.
La pressione selettiva ha cercato di accentuare gli aspetti caratteriali più vantaggiosi per lo sfruttamento del cane, senza intaccare l'istinto di fondo del lupo cioè il corredo genetico della specie funzionale alla sopravvivenza (fissatosi nei millenni per selezione dei più adatti).
Inquadrate nella loro propria cornice istintuale, molte abitudini del cane nella vita in casa e in città (condizioni assai lontane dallo stato naturale), appariranno in una luce inattesa: mi soffermo sul rituale di accoglienza al rientro in casa del padrone e sul meticoloso esame olfattivo del terreno durante le uscite in strada.
Del lupo il cane ha conservato la territorialità, che lo vincola alla abitazione del padrone; la socialità (tipica dell'animale che vive in branco) che lo induce a prediligere la vita in comunità ordinata secondo una scala gerarchica; la gregarietà che lo fa assoggettare volentieri al padrone (visto come capo-branco); la capacità di adattamento che lo uniforma alle più varie modalità di convivenza con l'uomo.
Un meccanismo innato (istinto di sopravvivenza) spinge il cucciolo neonato a cercare con tutte le sue forze il capezzolo materno che dà più latte e, dopo i primi giorni, ogni suo sforzo è teso a rafforzare e consolidare il rapporto con la madre (capo-branco, fonte di alimentazione e sicurezza); contemporaneamente nella convivenza con i fratelli si evolve la sua socialità in un assetto gerarchico.
Con la madre si prodiga in un repertorio di moine, contatti, leccamenti, uggiolii, posture di sottomissione tese a provocarne effusioni di ritorno tranquillizzanti.
Le esperienze precoci fatte con la madre orientano lo sviluppo dell'adattamento del cucciolo per sempre, in un "imprinting" che viene ritualizzato, ed emergerà anche nell'età adulta con gli stessi protocolli di sottomissione e allettamenti ogni volta che si tratta di ottenere il favore di qualcuno, o placare l'aggressività di uno più forte.
Quando separato dalla madre e dai fratelli viene trapiantato nella famiglia di accoglienza, il cucciolo si adatta con facilità alla nuova convivenza, fa propri rapidamente i ritmi della vita domestica, identifica la casa con il territorio, socializza con i familiari e si mette in relazione con la nuova realtà attraverso i suoi meccanismi mentali (dotazione genetica).
In base ad imperscrutabili criteri sceglie il padrone (capo-branco) che può non essere il capo famiglia, ne accetta la dominanza con una fedeltà eterna.
Stabilisce una scala gerarchica tra i familiari: al vertice c'è il padrone e poi vengono gli altri, ai quali riserva una obbedienza aleatoria.
Manifesta una sprezzante indifferenza verso la servitù al punto da escluderla financo dalla scala gerarchica.
L'istinto lo induce a comportarsi con il padrone (e capo-branco) e con i familiari (sostituti dei fratelli) come si comportava con la madre per rafforzare il vincolo: il destinatario è cambiato, ma le procedure accattivanti sono le stesse.
Il padrone occupa l'intero universo del cane, ed è il suo costante punto di riferimento.
La liturgia di accoglienza al rientro in casa del padrone evoca l'atteggiamento infantile e accattivante che aveva con la madre per cementare il rapporto: salti, serpentine vorticose, scatti, saltelli, finti assalti, uggiolii, rondò, leccamenti, contatti, che cessano solo con le carezze del padrone o con il tono rassicurante della sua voce.
Le stesse moine, ma in tono ridotto, rivolge anche ai familiari quando si accorge che sono interessati a lui. Il padrone e i familiari scambiano queste effusioni per affetto e inevitabilmente sentono di doverle ricambiare.
L'atteggiamento di questo essere che non parla, si esprime con una mimica corporale, è indifeso e non autosufficiente (come i neonati), e che vive per adorare il padrone e i familiari, evoca in questi il latente istinto parentale alla cura della prole inetta.
E infatti gli adulti si rivolgono al cane (come fosse un bimbo) con toni carezzevoli, parole semplificate, linguaggio scandito, diminutivi, vezzeggiativi, elogi, carezze. Indulgono a giochi scriteriati solo perchè il cane sembra gradirli.
Questo modo infantile di comportarsi del cane in casa è dovuto all'istinto che gli fa collegare le attenzioni che riceve con le sue maniere accattivanti.
La territorialità gli fa considerare la casa e le aree nelle quali viene di solito condotto per le necessità fisiologiche, come un "suo" territorio.
Si irrita al suono del campanello della porta, perchè il segnale preannuncia un estraneo ("sa" che i familiari usano la chiave).
I visitatori della casa sono sconosciuti che violano il suo territorio, da sottoporre ad un diffidente esame olfattivo e la introduzione in casa di un suo consimile è di regola considerata un affronto.
Le uscite in città per le necessità naturali sono considerate dal cane (animale territoriale) come una doverosa ispezione del "suo" territorio per rilevare presenze estranee e ribadire il proprio dominio.
Appena in strada infatti si concentra attivando tutti i suoi ricettori per setacciare il terreno.
Il cane "sembra" che usi solo l'olfatto, ma in realtà il suo "radar" si avvale di forme di sensibilità a noi sconosciute per "marcare", con la massima attenzione, invisibili e impercettibili reperti lasciati da altri cani (urina, feci, liquidi, deiezioni, feromoni o altre emissioni ormonali a noi ignote), che analizza con il suo "computer", tracciando sia una cartella clinica che una carta d'identità dell'autore (sesso, stato ormonale, caratteristiche, disponibilità all'accoppiamento, aggressività da evitare o da soggiogare).
Contestualmente si sente obbligato a lasciare in risposta sul posto le sue "credenziali" con appropriate emissioni organiche, che forniranno risposte esaurienti ad ogni ignoto interlocutore.
E' uno scambio di "comunicazioni" che dimostra come il cane non possa fare a meno della "socialità" e di inter-reagire con i suoi simili, in ogni occasione, anche con le deiezioni che sono una sua forma di "corrispondenza".
Il rapporto con i suoi simili cambia se sta al guinzaglio (o dentro un recinto) o se è lasciato libero.
Il cane (maschio) al guinzaglio in città, assume nei confronti di tutti i cani che incontra un inedito atteggiamento aggressivo e provocatorio: strattona per avventarsi al combattimento, abbaia, ringhia, sembra voglia annientare un nemico che odia da sempre e che solo il guinzaglio salva dallo sterminio: è la sua territorialità istintiva che si manifesta in forma impropria.
Quando invece è lasciato libero, "dimentica" ogni ferocia, si avvicina agli altri cani per la consueta ispezione genitale olfattiva, gira intorno all'estraneo con cautela e poi o lo ignora o cerca di giocare.
E' raro che aggredisca un collega, e di fronte ad un avversario con cattivo carattere cerca di evitare il confronto allontanandosi con molta dignità.
Se si trova in un recinto, o dietro le sbarre di un cancello, è in stato di continua tensione: qualunque altro cane passi nel suo raggio visivo viene considerato un pericoloso "provocatore" al quale con ringhi e latrati dichiara una guerra senza quartiere che di colpo (e senza vergogna) si trasforma in atteggiamento di blanda curiosità se con la inopinata apertura del cancello il contatto fisico diventa possibile.
Enrico Fenoaltea