E' proprio come cercare i funghi in mare. Questo il commento, giusto un anno fa, a proposito di una specie di miracolo, forse cercato e ovviamente mai trovato. Tutto vero, anche perché, oltre al problema pratico - ambientale, con una spiritosaggine scientifica è stato fatto notare che i funghi sono vegetali privi di clorofilla, che si nutrono di sostanze organiche già elaborate.
Credo sia vero anche questo, ma non avendo capito cosa c’entra la clorofilla con tutto il resto, ho provato a chiedere. La risposta, accompagnata dalla immancabile e dotta citazione “rebus sic stantibus”, è stata breve e chiarissima: - Avere la fissazione su certi argomenti è una fastidiosissima e inutile perdita di tempo - . Forse giusto anche questo, ma siccome “gli argomenti” consisterebbero banalmente nel cercare un minimo di dialogo con gli anticaccia, devo ammettere di esserci rimasto un po’ male, anche e perché, ultima spiritosaggine, non ho ancora capito cosa ci manca, al posto della clorofilla, per poterne parlare.
Tutti noi abbiamo presente il lungo periodo di convegni, incontri, congressi, simposi e tavole rotonde, dove abbiamo avuto modo di ascoltare, parlare, proporre, leggere e soprattutto prendere atto che uno degli obiettivi primari per gli anni a venire è mantenere un alto livello di biodiversità. Il concetto è chiarissimo e condivisibile, ma è anche d’obbligo considerare che nelle società occidentali l’influsso della tecnologia e la mentalità mercantile tendono ad assoggettare tutto al regno della quantità. Così ne consegue che il nostro quotidiano è valutato soltanto nell’ottica della maggiore convenienza, l’avere si sostituisce all’essere e gli individui valgono soltanto per quello che hanno.
Con lo stesso principio di rendimento, si stabiliscono i tempi di lavoro e quelli di svago. Spesso trasformati in cose - oggetti, siamo destinati a vivere il presente nella totale insoddisfazione. Le arti, spesso adattate ad attività industriali e il linguaggio ridotto al solo compito di comunicare, portano e invitano alle mode e agli spettacoli, evitando accuratamente di “ascoltarsi”.
Giustificato, credo, un po’ di rammarico per le grandi immagini di passione per la natura e la caccia lasciate da molti uomini che consideriamo di valore. Pagine di cinegetica e narrativa venatoria di assoluta bellezza, dove risultano anche evidenti i continui cambiamenti che la caccia stava subendo con il passare degli anni. L’abbandono della campagna e conseguentemente modifica dell’ambiente, rendevano in poco tempo storiche le forme di caccia più diffuse, richiedendo nel contempo continue innovazioni, difficili da mettere in pratica senza rinnegare il passato. Anche allora si diceva che un equilibrio tra ambiente, selvaggina e cacciatore è grande quanto il suo proposito. Molti i rilievi, i dubbi, le contestazioni e qualche ammissione. Per certi aspetti la nostra caccia è stata male concepita e male attuata. Innegabile quindi che, da sempre, abbia la necessità di essere aggiornata, diversamente concepita e organizzata, individuando le cause per intervenire razionalmente e ripristinare la sua verità morale.
In certi periodi la caccia è anche stata proposta come supporto ai regolatori biologici. In mancanza di predatori naturali (aquila, lince e lupo), una funzione così necessaria potrebbe costituire anche il suo fondamento etico, ma il riconoscersi in un compito così “nobile” è difficile, e ci sarebbe di certo odore di ipocrisia.
Sotto altri aspetti, tutti sappiamo che un pò di cacciatori sono tali solo perché in possesso di una licenza, e della preoccupazione per la superficialità con cui si propongono, e dei cacciatori, quelli veri, prima rispettati e poi ritenuti espressione di un mondo retrogrado. A seguire la provocazione: andare a caccia significa essere vittime di un insopprimibile istinto primordiale, che impedisce qualsiasi capacità di adattamento e di evoluzione. Ovviamente non commentabile. In casi del genere lo psichiatra è indispensabile.
In un passato non lontanissimo Camillo Valentini, uno straordinario personaggio che si firmava Il Picchio Verde, era spesso accusato di ritenere la caccia attività da signori. Io ho avuta la fortuna di conoscerlo bene e posso assicurare di averlo sentito spesso dire e ripetere quello che poi ha scritto: - La caccia è un’arte riservata agli eletti, siano essi ricchi o poveri, gente di penna o di vanga, principi o paduloni. Gente semplice, aperta di cuore, conoscitrice della vita anche se analfabeta, e delle verità essenziali, come sa essere ogni persona che vive dappresso alla natura.
Il suo e nostro amico Giorgio Gramignani, marchigiano come lui, medico e grande cacciatore, a cui la febbre della passione non impediva di creare oasi e zone di protezione, pensava ed agiva nello stesso modo. Molto impegnato nel mondo venatorio, è stato anche Presidente della Sez.ne Anconetana di Italia Nostra, la benemerita Associazione sorta, come diceva lui, in difesa dei valori culturali e naturali di questa nostra disgraziatissima Patria.
Nella prefazione di un suo libro, anche questo piuttosto datato, si legge: - In questi anni, la polemica tra il mondo della caccia e quello della ecologia naturistica ha assunto toni di grande asprezza, esasperata da intromissioni politiche, fino ad assumere assurdi aspetti di autentico linciaggio morale della caccia e di tutti i cacciatori. Vi sembra giusto? -.
Questi due signori, ovviamente insieme ad altri, molti altri, hanno segnato un bel periodo, che fortunatamente ho vissuto, e anche per questo mi è impossibile non pensare al recupero di qualcosa.
è piuttosto recente una notizia che ci riguarda. La rondine, bellissima e venerata nell’antichità, rischia di scomparire. Secondo gli ornitologi, il calo è continuo in tutta Europa e negli ultimi anni la diminuzione ha raggiunto percentuali altissime. L’uso indiscriminato di pesticidi uccide gli insetti che sono il loro cibo naturale. Sono escluse, una volta tanto, responsabilità della caccia e dei cacciatori.
Il mio più grande in bocca al lupo, e ricordate: la caccia è sempre domani.